Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013
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I post pubblicati nelle pagine de L'anomalia (14 giugno 2009 - 8 febbraio 2010)
Il vecchio forum (19 novembre 2006 - 10 febbraio 2009)

Il manuale del fotografo di strada (sconosciuto a Google)

02.11.13
Sul sito Foto-grafo c'è un ampio e dettagliato vademecum (in inglese) sui problemi che uno street photographer può avere con le autorità italiane. Una traduzione in italiano sarebbe utile, considerando che le discussioni dei fotografi con i nostri tutori della legge non interessano solo gli stranieri.
La cosa curiosa è che Google non conosce questa importante pagina. Nessuna stringa di ricerca la identifica, mentre offre link analoghi per pagine simili, riguardanti altri Paesi.                                                   

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"Il morto è rientrato in casa, poi è uscito"...

05.08.13


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Ormai ai reporter non resta che morire

10.07.13
Leggo la notizia che i ventotto fotoreporter del Chicago Sun Times sono stati licenziati. Al loro posto i giornalisti muniti di iPhone o altri ignobili arnesi del non-giornalismo dei nostri tempi.
Nei prossimi giorni approfondirò l'argomento. Ora devo scrivere, subito, del breve video pubblicato oggi dal Corriere della sera.it. Il titolo dice tutto: "Egitto, video choc: il reporter filma la sua morte". E' uno dei tanti filmati drammatici che popolano le pagine on line, mostrando anche come tanti reporter perdono la vita, mentre sono lì per documentare la morte degli altri. Perché per raccontare la morte devi trovarti proprio dove si muore, non puoi guardare da lontano. Così la tua strada si incrocia con quella di un proiettile e da testimone diventi vittima in una frazione di secondo.
Ma questo video ha qualcosa di profondamente diverso da tanti altri: è una "soggettiva" agghiacciante. L'uomo con la telecamera ha nel mirino l'uomo col fucile; l'uomo col fucile ha nel mirino l'uomo con la telecamera. Ma la telecamera non uccide, il fucile sì.
Adesso sappiamo che il reporter si chiamava Samir Ahmed Assem.
Proprio nei giorni scorsi, all'inizio della rivolta in Egitto, lo stesso Corriere aveva pubblicato in prima pagina delle foto molto efficaci, opera evidente di uno o più fotografi di grande bravura. Ma anonime: la "firma" che accompagna le foto o i video, ormai su tutti i giornali, è quella dell'agenzia, non quella dell'autore del servizio.
Questa è l'informazione di oggi: perché i lettori conoscano il tuo nome, devi morire.                                                                    


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Due link per capire dove va l'informazione

03.03.13
Non mi piace seguire la tendenza sempre più diffusa di riempire il mio sito con pagine riprese da altri siti, anche quando pubblicano articoli che starebbero bene su MCreporter. Ma l'aggiornamento è importante. Ecco dunque due link da tenere tra i "preferiti" per fare il punto sull'argomento "sviluppi dell'informazione".
Il primo lo cito spesso: è il sito di Franco Abruzzo, ex-presidente dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia. L'aggiornamento quasi quotidiano (segnalato da una newsletter) su tutte le vicende della stampa italiana.
Il secondo l'ho appena scoperto. E' un blog ben fatto, che si intitola Il futuro dei periodici e riporta anche articoli pubblicati su siti esteri. L'autore si copre dietro un rigoroso anonimato e spiega anche perché.                  


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Qualche giornalista sa come si chiama Ernst von Freyberg?

15.02.13
Una delle notizie di oggi è la nomina di Ernst von Freyberg alla presidenza della banca del Vaticano. Si pronuncia "ernst fon fraiberg". E' così difficile? Sembra di sì, ascoltando i telegiornali più seguiti: ll "fon" diventa spesso "von" e "fraiberg" è "freiberg". E, per quanto riguarda la grafia, la "v" deve essere minuscola, e non maiuscola, come scrivono moltissimi siti web, perché von Freyberg è un nobile. La differenza è la stessa che c'è in italiano tra il "de" nobiliare e il "De" dei plebei.
Ho voluto verificare la grafia, cronometro alla mano: ho impiegato esattamente trentadue secondi, consultando qualche sito tedesco. Perché non lo fanno gli spesso strapagati professionisti del video? Perché non si informano? Possibile che nessuno senta il dovere - sì il dovere - di pronunciare correttamente almeno le espressioni straniere più comuni?
Il pubblico saprebbe che il russo Putin si chiama Vladìmir e non Vlàdimir, che management si pronuncia (più o meno) "mènagment" e non "manàgment" (o, peggio, "manàggemend"). Che Deutsche Bank si legge "doicce banc" e non "doic benc". E via discorrendo.
Post scriptum. Oggi a Le Storie - Diario italiano Corrado Augias ha osservato che il papa non "si è dimesso", ma "ha abdicato". Grazie, Augias!          

In Lingua lessa e cervello fritto
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La maschera della morte e le immagini-simbolo

05.02.13
Sono d'accordo con Ercole Tagliaferri (vedi qui sotto) sullo scarso interesse delle polemiche intorno alla fotografia del militare francese con la maschera che riproduce un teschio, simbolo della morte. Le sue considerazioni sulla paura da incutere al nemico, e su quella del soldato che combatte con la morte accanto, sono giuste: non c'è niente di nuovo.
Però questo tipo di immagini può assumere un valore simbolico importante. Chi ha i capelli bianchi ricorda l'impressione che fece l'istantanea agghiacciante del generale Nguyen Ngoc Loan che uccideva a freddo un prigioniero Vietcong. Fu scattata da Eddie Adams nel 1968 e vinse il Pulitzer. Divenne un simbolo e fu un tassello non da poco dell'opposizione alla guerra in Indocina.
Altre foto sono diventate icone della storia e costituiscono una specie di memoria visiva comune. Oggi tocca al militare francese. Ma non polemizziamo sulla maschera, sulla foto e sulla sua pubblicazione. E' una delle polemiche imbecilli del nostro tempo. Come se la guerra fosse un'invenzione dei fotografi che la documentano e dei media che pubblicano le immagini. Dice il vecchio proverbio, che si vuole cinese: quando il saggio indica la Luna, lo stolto guarda il dito.
Allora, invece di polemizzare sulla maschera, polemizziamo sulla guerra. Su tutte le guerre.                                                          


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La stupida polemica sul soldato in maschera

Ercole Tagliaferri - 05.02.13
L'ipocrisia pseudo-pacifista imperante in questi tempi fa scandalizzare i benpensanti per la foto di un soldato che - in un teatro operativo, guerra, detta in termini concreti - si maschera con l'effige della compagna che si trova sempre a fianco: la morte. A parte che la foto ritrae un teschio e non la Morte (la cui iconografia è molto più articolata), c'è da chiedersi cosa ci sia di nuovo. Da sempre i combattenti a qualsiasi latitudine (dai samurai giapponesi, ai soldati
dell'esercito cinese, ai guerrieri delle tribù africane, alle orde barbariche) conoscono bene il valore della paura e dell'importanza di inculcarla in ogni modo nella psiche del nemico anche tramite immagini (armature o maschere) e suoni (urla, rulli di tamburi).
In parallelo, ogni soldato deve cercare un modo per esorcizzare la folle paura della morte che lo attanaglia ogni minuto che passa sul campo di battaglia.
Breve: la fotografia in sé non è particolarmente interessante. Le questioni che le sono sorte attorno, ancora meno.
Ercole Tagliaferri


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Francia, accordo tra Google e i giornali. Chi ci guadagna?

02.02.13
Grande clamore per l'accordo siglato ieri a Parigi tra il boss di Google Eric Schmidt e il presidente Hollande: la querelle tra gli editori di giornali e il gigante americano si chiude con il pagamento di 60 milioni (di euro o di dollari?) ai giornali e una consulenza di cinque anni da parte di Google per la migrazione alle edizioni on line.
Gli editori cantano vittoria: un po' di soldi in cassa (ma per Google sono una mancia) e una partnership tecnologica al massimo livello.
Ma chi ci guadagna di più è la ditta di Mountain View: accordo già fatto in Belgio, in vista in Gran Bretagna, inevitabile negli altri Paesi. Italia compresa. Alla fine della storia Google avrà il controllo delle ricerche sui siti di informazione di tutta Europa. Le questioni a centro dell'attuale controversia per abuso di posizione dominante, che sembra in via di risoluzione a Bruxelles, al confronto saranno un'inezia.                                            


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Errore Rai: per la vasca dei pesci non si paga il canone TV

29.01.13
Hai pagato il canone TV? O stai per pagarlo? Fa' attenzione: checché ne dica la pubblicità che ci scassa continuamente da tutti i canali del servizio pubblico, non devi pagare per la vasca dei pesci, il distributore di gomme americane, i vasi da fiori e altri oggetti di casa.
Dice la legge: "Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento". Si tratta del Regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, ancora in vigore nonostante la veneranda età.
Ma che significa "apparecchi atti o adattabili alla ricezione"? Ce lo spiega con dovizia di particolari il Ministero dello sviluppo economico con una lettera di chiarimenti all'Agenzia delle entrate (notare gli antichi svolazzi dell'intestazione). Dalla quale si deduce che il canone non è dovuto per apparecchi che non sono adattabili alla ricezione, come appunto una vasca per i pesci rossi.
Questo significa che non deve pagare chi tenga solo, come soprammobile o vaso per fiori, un vecchio televisore analogico, senza un decoder per ricevere il digitale terrestre o il satellite. E' il possesso di uno di questi apparecchi che costituisce il presupposto dell'obbligo di pagare il canone.
Resta la curiosità di sapere a chi sia venuta in mente l'idea di questo spot demenziale.                                                                


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Berlusconi intervistato da un giornalista? Ma va!

17.12.12
Monologo del signore delle televisioni a Canale 5. La conduttrice di Domenica Live Barbara D'Urso pone qualche domanda concordata e non serve il fuori-onda per capirlo. Dal Web si apprende che l'Ordine dei giornalisti del Lazio "si domanda come mai l'intervista non sia stata fatta da un giornalista e chiede che in futuro "non vengano mai più fatte violazioni del genere"(qui su Repubblica.it). Curioso che né su sito dell'OdG nazionale né su quello del Lazio ci sia un comunicato.
Perché, era un'intervista? Ma va!
Il conduttore di un programma di intrattenimento dialoga con gli ospiti. Normale quindi che la conduttrice della domenica dialoghi con l'ospite Berlusconi. Se un giornalista si fosse comportato così, avrebbe fatto una pessima figura. Senza contare il conflitto di interessi di un giornalista che intervista il suo editore.
Per domenica prossima ci aspettiamo che l'ospite sia Pierluigi Bersani, che farà pervenire alla redazione in tempo utile le domande alle quali risponderà con divertenti metafore.                                                       


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L'assurda richiesta dell'autorizzazione del provider

Marco Mattiuzzi - 05.11.12
Ho letto il suo articolo Problemi per la richiesta al tribunale in particolare la parte riguardo:
C'è un aspetto più grave. Qualche tribunale chiede di indicare anche gli estremi del decreto di autorizzazione del Ministero delle comunicazioni ex DLgs 103/95 per il provider che ospita la pubblicazione. E' una richiesta insensata. In primo luogo va osservato che il decreto in questione è abrogato da un pezzo (ma, secondo recenti segnalazioni, la polizia postale ancora non lo sa...). Ora ci sono le autorizzazioni generali, che sono rilasciate non dal Ministero, ma dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Per maggiori dettagli si vedano i numerosi articoli pubblicati nella sezione Il decreto legislativo 103/95 - Le autorizzazioni generali.
che però differisce da quanto sostenuto in http://www.informagiovani-italia.com/adempimenti_burocratici_giornale_online.htm  riguardo l'*autorizzazione del Ministero delle Comunicazioni*
"La documentazione necessaria per l'iscrizione è la seguente:
[segue il noto elenco, n.d.r.]
E' necessario indicare il provider che ospita il sito (è il soggetto da cui compriamo lo spazio web) con indirizzo completo e numero di autorizzazione del Ministero delle Comunicazioni. E' opportuno quindi verificare che la società provider sia autorizzata a fornire al pubblico il servizio internet".
In pratica, che si fa? cioè a chi dare retta? :-)
Marco Mattiuzzi

ANCORA!!! Da quanti anni andiamo avanti con questa storia assurda?
La risposta è che si deve dare retta alla legge, la numero 48 del 1947, che all'art. 5 elenca tassativamente i documenti da presentare. L'indicazione dello "stampatore" è prevista dall'art. 2, ma si tratta appunto di una "indicazione" da inserire nello stampato. Nessuna norma equipara il provider allo stampatore. Anche perché la funzione del provider, per la quale occorre l'autorizzazione, riguarda la fornitura di servizi di comunicazioni, qual è l'offerta di accesso alla rete. Il soggetto che mette a disposizione lo spazio per la pubblicazione di qualsiasi contenuto non svolge un servizio di comunicazioni, ma di hosting, per il quale non occorre alcuna autorizzazione.
Quindi, se proprio si vuole stirare la legge fino a equiparare un disco rigido a una tipografia, si deve richiedere di indicare il fornitore di hosting sul sito del periodico.
Perché sia chiaro: il fornitore di accesso alla rete può essere equiparato, al limite, al distributore che manda in giro i furgoni con le copie del giornale. Il fornitore di hosting nel 1947 non c'era.                                   

In Internet e stampa
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Il Presidente non è a fuoco. Che televisione è questa?

13.10.12

Oggi lo abbiamo visto in tutti i telegiornali. Nel videomessagio inviato al convegno della Federazione dei cavalieri del lavoro, il volto del Presidente della Repubblica era visibilmente sfocato, mentre apparivano nitidi gli oggetti alle sue spalle. Una grave sgrammaticatura, molto comune da quando le telecamere hanno la messa a fuoco automatica e l'operatore non guarda nel mirino per controllare l'immagine. Succede in continuazione. Chi ha girato questo video?

Probabilmente la Rai, che ha una postazione fissa al Quirinale. Non ci interessa sapere chi è l'operatore incapace, ma chi è l'incapace che gli ha assegnato il servizio.

E il TG3 è riuscito a fare anche peggio. Guardate questo fotogramma:

Non sono dettagli tecnici. E' pura assenza di professionalità. Un sintomo del degrado di quella che, sul piano tecnico, era una delle migliori televisioni del mondo.                                                                     

In Televisione
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Per favore mettete la data... (documento senza data)

Cesare Gallotti - 24.09.12
Una piccola risposta per il post "Per favore, mettete la data (in alto)
sulle pagine web!"
Qualche tempo fa avevo scaricato questo documento della DigitPA che
raccomanda di mettere la data sui documenti. A sua volta, però, il documento
non ha data...
Saluti
Cesare Gallotti


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Per favore, mettete la data (in alto) sulle pagine web!

17.09.12
Sto cercando notizie e approfondimenti sulla questione del giorno, il ventilato acquisto de La7 da parte di Mediaset. Frugando tra Google e la mia memoria a caccia di un'opinione dell'ex-presidente dell'AGCOM Corrado Calabrò, sono capitato su questa pagina della rivista Millecanali. Vi si parla della relazione al Parlamento svolta appunto da Calabrò nell'anno... In che anno? Mistero: la data sulla pagina non c'è. O non sono capace di trovarla.
Sono molti i siti che riportano informazioni "senza tempo". Ma ancora di più sono quelli che riportano da data in fondo alla pagina. Un esempio per tutti: repubblica.it, che per di più la mette tra parentesi. Come se il giorno in cui è stato pubblicato un articolo fosse del tutto irrilevante per chi cerca qualcosa sul sito di un quotidiano!                                                 


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Monti ai giornalisti: "Diamo il giusto peso alle parole"

07.09.12
"Non e' che per caso usate il termine vertice un po' troppo frequentemente? Se un giorno ho un incontro con il mio ministro per lo Sviluppo economico voi pubblicate che si e' tenuto un vertice. Diamo il giusto peso alle parole". Così parlò Mario Monti il 4 settembre, secondo l'ASCA.
Grazie, presidente. Una tirata d'orecchie così autorevole ci vorrebbe più spesso (vedi Il vertice slitta, il debito si spalma del 2006).                    

In Lingua lessa e cervello fritto
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Rai, non paghiamo noi gli stipendi del presidente e del DG?

25.07.12
Dunque la Rai ha un nuovo consiglio di amministrazione. Che si è messo subito al lavoro sui malridotti conti dell'azienda. Così ha stabilito uno stipendio annuo di 650.000 euro lordi per il direttore generale Luigi Gubitosi. Poi - la notizia è di oggi - ha deciso di tagliare lo stipendio della presidente Anna Maria Tarantola a "soli" 366.000, sempre euro e sempre lordi (il suo predecessore Paolo Garimberti ne percepiva 450.000).
Se ben ricordo, il "decreto salva Italia" poneva un tetto massimo di 294.000 euro l'anno per i dirigenti pubblici. Tarantola e Gubitosi non sono dirigenti pubblici? I loro stipendi li paghiamo noi, almeno noi che paghiamo il canone. Cioè sono soldi pubblici, tanto che i conti dell'ente sono soggetti alle norme della contabilità di stato. E allora?
Ci dev'essere un codicillo, da qualche parte...                            


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Niente di nuovo sul fronte Rai. Il nuovo CDA è lontano

27.06.12
Ho ricevuto diversi messaggi che mi chiedono perché non commento le ultime vicende del rinnovo del Consiglio di amministrazione di Viale Mazzini. Rispondo: perché non c'è niente da commentare. Nulla è cambiato negli ultimi giorni. La trovata di Bersani (impegnarsi a sostenere due candidature indicate dalla cosiddetta "società civile") è stata una mossa per uscire dal cul de sac in cui si era cacciato dicendo che il PD non avrebbe partecipato all'elezione del CDA con le attuali regole. Dimenticando forse che cambiare queste regole, cioè la Gasparri, non è questione che si può risolvere da oggi a domani.
I due canditati, come tutti sanno, sono due degne persone: Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi. Il PdL ha disertato la riunione della Commissione per bloccarne i lavori. La data dell'elezione potrebbe essere lontana. Fine delle notizie.
Facile dietrologia: il signore delle televisioni ha tutto l'interesse a mantenere il più a lungo possibile l'attuale assetto del servizio pubblico. Anche per andare a non impossibili elezioni politiche anticipate con una Rai ancora sotto il suo controllo.                                             


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Gli editori scoprono che nuovi lettori li fa la Rete

23.04.12
La Federazione italiana editori di giornali (FIEG) ha pubblicato il rapporto La stampa in Italia 2009-2011. Dati e cifre che confermano quello che intuisce chiunque si guardi in giro, dal bar sotto casa al Web. Cala il numero dei lettori di giornali di carta, mentre aumenta quello dei lettori online. Tanto che si prevede il sorpasso nel corso di quest'anno: più del 50% del pubblico leggerà i giornali "dematerializzati". Gli alberi ringraziano.
Per gli editori c'è un problema serio. La crescita della pubblicità delle edizioni telematiche non compensa il calo delle inserzioni sul cartaceo. E' per questo, almeno in parte, che cercano di promuovere ancora il giornale tradizionale. Sforzi inutili. Il perché non si trova nelle tabelle del rapporto: mancano dati su come cambia nel tempo la suddivisione dei lettori per fasce di età. Se ci fosse, si potrebbe tradurre in cifre un dato evidente: la carta è per chi è nato con la carta, cioè i lettori più anziani, l'online è soprattutto dei giovani.
Il dato importante è che il numero totale dei lettori è in aumento: il web crea un pubblico nuovo. In altri termini, i "nati digitali" leggono più dei "nati analogici". E' da qui che si deve partire per immaginare i giornali di domani e capire come farli rendere.
Non è facile prevedere quando i giornali di carta si ridurranno a tirature così basse da imporre chiusure su vasta scala. L'agonia sarà lenta. Ma c'è un dato di fatto, anzi una legge di natura, che indica l'invitabile conclusione: i lettori online nascono e crescono. I lettori della carta invecchiano e muoiono.    


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Il crowdsourcing per uploadare su repubblica.it

12.04.12
Niente di grave se il titolo di questo post vi lascia perplessi o furiosi. A me ha fatto venire la voglia di rispondere come il Nanni Moretti di Palombella Rossa, nella celebre scena con la giornalista sul bordo della piscina. Quando urla "Come parla? Le parole sono importanti!" con aggiunta di sberle (qui su YouTube). Ma vediamo i fatti.
Repubblica.it ha lanciato una campagna per arruolare reporter volontari. Si legge sulla pagina del progetto: "Repubblica.it vuole scovare, reclutare e formare il maggior numero di talenti presenti in Italia. Reporter vede la collaborazione artistica di Paolo Sorrentino, il pluripremiato regista del Divo e di This Must Be the Place. Puoi diventare un Reporter e partecipare ad uno dei tanti ingaggi che verranno attivati giorno per giorno!".
Può sembrare una buona idea, una cosa seria. Anche perché i prescelti frequenteranno un corso, dieci lezioni di cui otto a distanza, per imparare i rudimenti dell'uso corretto dei ferri del mestiere. Però qualche dettaglio non convince del tutto.
Tanto per incominciare, ci sono in giro per l'Italia tanti reporter free-lance, seri professionisti sotto-occupati e sottopagati. Perché non rivolgersi a loro? La risposta è facile: primo, perché non è di moda, non fa web 2.0. Poi perché i professionisti costano più dei dilettanti (la qualità dell'informazione è un dettaglio irrilevante).
Ma anche i dilettanti saranno pagati, dice "Reporter". Quanto? Non si sa. All'inizio si era capito che ogni video sarebbe stato compensato con 5 euro. Un equivoco, è stato chiarito in risposta alle polemiche subito rimbalzate sulla Rete. Ma non si fanno cifre.
Il problema è che se capita un contenuto di buona qualità, l'editore se ne riserva tutti i diritti per cinque anni. A che prezzo? Non se ne parla. Però si deve accettare il contratto prima di inviare i filmati. Sarò venale, ma prima di cedere per cinque anni i diritti su un mio lavoro, voglio sapere qual è il corrispettivo: vedere soldi, vedere cammello.
Un altro dettaglio, non trascurabile. L'iniziativa rischia di mandare sotto processo le "antenne sul territorio" per esercizio abusivo della professione giornalistica. Non è una battuta: in questi giorni davanti al Tribunale di Pordenone è imputato il titolare di una web-tv, Francesco Vanin. Denunciato perché svolgerebbe "attività giornalistica non occasionale" senza essere iscritto all'Ordine dei giornalisti.
Comunque tutto bene, se dall'iniziativa verrà fuori un nuovo Paolo Sorrentino. O almeno se miglioreranno i "contributi dal territorio" di infima qualità, che tutti gli organi di informazione pubblicano a man salva, senza pudore.     

In Professione giornalista  -
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Apple e i formati degli e-book

Franco Tommasi - 10.02.12
Gentile Dr. Cammarata,
ricevo con piacere da tempo la sua newsletter e, stavolta, la mia attenzione è stata attratta da un articolo il cui contenuto non condivido completamente. Si tratta di "Formati e-book, Apple aumenta la confusione".
Stavo per scriverle le mie osservazioni quando mi sono ricordato di aver scritto qualche tempo fa un articolo che le contiene in gran parte. Perciò glielo segnalo, nel caso avesse il tempo e la voglia di dargli un'occhiata.
Mi permetta solo di aggiungere che, per carattere, sono diffidente verso tutte le ondate delle mode e detesto chi vi si conforma docilmente. Da persona che usa computer Apple ininterrottamente da 25 anni ho resistito impassibile quando nella mia facoltà tutti mi chiamavano "fissato", "esaltato" ecc ecc, in altri termini quando NON era una moda usarli. Di conseguenza mi sento di ipotizzare, in tutta amicizia e serenità, che lei e coloro che ho citato nell'articolo, siate in errore quando pensate ad Apple esclusivamente in termini di “moda”, ‘snobismo”, “status symbol” e marketing. Questi aspetti possono anche sussistere ma vengono in seconda battuta, dopo che altri elementi più importanti hanno giocato il loro ruolo. I big dell'informatica non li hanno compresi e si affannano a copiare proprio gli aspetti più esteriori, che non sono il fulcro del successo (fallendo perciò miseramente). Se la critica giornalistica comprenderà questi elementi e li illustrerà con chiarezza, aiuterà una vera concorrenza ad affermarsi. E questo di sicuro farà bene a noi e ad Apple.
Con stima
Un saluto cordiale
Franco Tommasi
P.S. Ovviamente la mia osservazione riguardava solo un aspetto del suo articolo. Quello specifico dei formati andrebbe forse rivisto alla luce di questo e forse di questo
.

Gli amori non si discutono. I prodotti e le soluzioni produttive sì. Il punto è che non serve un terzo formato per l'e-book publishing. I due esistenti (ePub e MOBI, ora evoluto in KF8) sono già troppi, perché costringono gli editori a realizzare due diverse versioni dello stesso libro. Non serve neanche per leggere sugli apparecchi Apple, perché ci sono software che consentono di farlo per i due formati.
Ma l'aspetto più grave è che per realizzare un iBook si devono usare macchine Apple. Che fanno le stesse cose delle altre, ma costano molto di più.
Invece un MOBI o un ePub si fa con qualsiasi sistema. E per vendere un MOBI o un ePub ci sono infiniti canali, non si deve passare per un negozio esclusivo. Che per di più si arroga il diritto di decidere se distribuire o no un'opera.
Un tempo si diceva che l'internet è uno strumento di "disintermediazione" delle opere dell'ingegno. L'attuale politica di Apple è la negazione di questo principio, cioè della natura stessa dell'internet.                         

In ebook e dintorni
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Il futuro della Rai: "Ancora qualche settimana..."

09.01.12
"Mi dia ancora qualche settimana e vedrà". Così ieri sera a Che tempo che fa il presidente del consiglio Mario Monti, in risposta a una domanda di Fabio Fazio sul futuro della Rai. Immediata e stizzita la replica dei corifei del signore delle televisioni: "Spettano al Parlamento le decisioni sulla Rai, non al Governo", hanno detto Cicchitto e Gasparri.
Vero. Lo ha sancito la Corte costituzionale nel lontano 1975. Però Gasparri soffre di amnesia, perché proprio la legge che porta il suo nome ha spostato dal legislativo all'esecutivo il controllo sostanziale sul servizio pubblico. In aperta violazione del dettato della Corte. Se ne deduce che la competenza sulla televisione pubblica è del Governo solo quando esso è presieduto dal padrone della televisione privata.
Che cosa farà il presidente Monti? Per ora abbiamo solo un'affermazione che fa ben sperare: "La Rai è una forza nel panorama culturale e civile italiano".

In Televisione -
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I problemi dolenti degli e-book

Salvatore Madrau - 21.12.11
Il problema dolente, anzi i problemi circa la diffusione degli ebook reader in Italia sono:
-IVA al 21% contro il 4% dei libri cartacei, è possibile che le lobbies editori -venditori di materiali informatico non riescano a ridurla?
- costo degli ebook di poco inferiore a quello dello stesso titolo in formato cartaceo. Personalmente ho problemi di spazio per i libri, diciamo da 40 a 50 metri di volumi solo a casa, ma vuoi correre il rischio di vederti cancellato il testo come è successo in passato per gli acquirenti Amazon - hanno rimborsato il costo ma il problema e che tu non sei possessore (almeno con Amazon) del testo.
- 16.000 titoli, o 12.834. il problema non è il numero ma il fatto che una parte significativa di questi sono volumi - pagati molto cari - di classici della letteratura italiana o non, per i quali sono decaduti i diritti d'autore.
Quale interesse posso avere per possedere in formato digitale I Promessi Sposi, i Malavoglia, Il Conte di Montecristo, ecc. ? Non parliamo poi di alcuni titoli recenti, del tipo l'importanza dell'ebook nell'editoria moderna, come vivere felici ecc., che imperversano sul mercato ebay e non solo.
Se gli editori e i venditori di ebook reader la smetteranno con queste "furbizie" da gatto e la volpe di collodiana memoria, oltre all'incremento dei testi in formato digitale probabilmente si avrebbe anche un incremento delle vendite dei libri in formato cartaceo.
Salvatore Madrau

Sono d'accordo con la maggior parte delle sue osservazioni. Per quanto riguarda l'IVA, evidentemente gli editori italiani non hanno alcun interesse alla maggiore diffusione degli e-book, come dimostrano anche gli alti prezzi di copertina, oltre alla scarsa offerta di titoli. Credo invece che disponibilità dei classici a costo zero sia un importante strumento di diffusione culturale. Infine, il "traino" delle vendite di libri di carta da parte degli e-book è un dato acquisito negli USA. Ne parlerò presto.                               

In ebook e dintorni
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Falsa e impropria: la santabarbara

18.12.11
"Vero e proprio" è la coppia di aggettivi che nei notiziari serve a sottolineare affermazioni per lo più false e improprie. L'esempio più comune è ritornato puntualmente nei TG di oggi: il resoconto di un'operazione di polizia che ha portato alla scoperta di un impressionante deposito di armi e munizioni. "Una vera e propria santabarbara" è la descrizione di rigore. Peccato che la santabarbara sia il deposito di munizioni delle navi da guerra e non contenga mai armi. La parola corretta in questi casi sarebbe "arsenale".
E' tollerabile che nel linguaggio comune la parola "santabarbara" sia usata per descrivere un deposito di armi e munizioni. Ma in questo caso non può essere "vera e propria".
Per completezza di informazione: l'espressione deriva da Santa Barbara, la patrona degli artiglieri e dei vigili del fuoco.                           

In Lingua lessa e cervello fritto
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Il caos delle leggi. E della lingua italiana

(Messaggi firmati) - 13.12.11
Per evidenti motivi non pubblico il nome del mittente dei due messaggi che seguono, ricevuti a un giorno di distanza l'uno dall'altro. Il caos normativo sulla registrazione delle testate è immutato da dieci anni. Invece il caos della lingua italiana peggiora di giorno in giorno. Credo che per fare un giornale l'ortografia e l'uso delle parole siano più importanti dell'interpretazione delle leggi.                                                               

Preg.mo Dott. *Manlio Cammarata*
**
sono un giornalista pubblicista e reporter, vorrei aprire una testata
giornalistica online, ho letto sul sito dell'AGCOM cosi riportato:
**

*Ai sensi dell’art. 5 della legge 8 febbraio 1947, n. 48 “Nessun giornale o
periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la
cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve
effettuarsi”.*

*L’art. 16 della legge 7 marzo 2001, n. 62 prevede che i soggetti obbligati
all’iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione sono esonerati
dall’obbligo di registrare la propria testata in Tribunale. L’iscrizione al
ROC è condizione per l’inizio delle pubblicazioni.*

*Ne consegue, pertanto, che nei casi in cui l’editore sia anche
proprietario della testata può avvalersi della facoltà sopra indicata
procedendo solo alla presentazione della domanda di iscrizione al ROC ed
evitando la registrazione in Tribunale della testata.*

Ora chiedo a lei, è possibile? Ho chiamato è mi hanno detto di si che è
posso registrarmi e avviare l'attività, vado all'Ordine e dicono che devo
registrarmi al Tribunale. Cosa mi cosniglia di fare? Attendo una su gradita
risposta.

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Salve

in riferimento al suo articolo http://www.mcreporter.info/stampa/caos.htm 
mi sono informato tramite l'AGCOM e ho parlato con il loro Avvocato, che mi
ha confermato che l'Iscrizione al Tribunale non bisogna farla se il Rapp.
Legale è anche giornalista, nel caso non lo fosse ne risponde il Rapp.
Legale. Ora Le chiedo mettiamo il caso che io voglia aprire più di una
testata non lo posso fare con il tribunale, mentre con l'AGCOM si, quindi
conviene ? Attendo una sua Gradita Risposta


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La Rai del magniloquente leccaterga mollicoso

Claudio Manganelli - 08.12.11
Caro Manlio, ti leggo sempre con attenzione e spesso condivido le tue argomentazioni. Che la Rai abbia bisogno di cambiamenti credo che sia nella testa di molti italiani ancora lucidi di mente. I giovani certamente lo sono per età ma proprio per questo si rifugiano e frequentano altre medialità.
A mio avviso non basta cambiare lo staff di governo ma bisogna prima decidere se la Rai di stato deve o no essere un servizio pubblico: se sì almeno due cose dovrebbero essere attuate; liberare anche le testate dalla politica, non si comprende perché nei telegiornali le stesse notizie di natura economica, o sociale, o politica, debbano essere distorte a seconda del colore della testata (e poi perché tre testate?); reindirizzare la Rai verso una profonda azione culturale, venuta quasi totalmente a mancare da quando si é affermata la televisione commerciale. Ritrovare il teatro, la grande musica, la conoscenza dell'innovazione per colmare lo spread digitale.
E' ora di finirla di propinare anche nei telegiornali, prima, durante e dopo, quanto sarà bello o è o lo è stato un banale spettacolo messo su da Fiorello o da Benigni e ovattare le descrizioni magniloquenti del leccaterga mollicoso: questa non é cultura e sopratutto non è servizio pubblico.
Un servizio pubblico deve inoltre essere imparziale e obiettivo in ogni argomento venga trattato, nell'attualità e nella storia di una nazione.
Infine, se servizio pubblico deve essere, allora va bene un canone, ma solo se gli spazi pubblicitari sono circoscritti in una percentuale di trasmissione molto più contenuta; altrimenti si continui così, con banalità come grandi fratelli, prove del cuoco, giochi vari, insomma poco pane e molti circensi;
ma allora sopprimiamo il canone, lasciamo che la politica si immischi, non ci lamentiamo del popolo bue!
Claudio Manganelli

In Televisione -
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Streaming Rai e neutralità tecnologica - 3

Andrea Gelpi - 26.11.11
Fino ad alcuni anni fa lo streaming di RAI utilizzava protocolli standard che erano utilizzabili da chiunque e da qualsiasi piattaforma. Poi le cose sono cambiate.
Non mi sento di condividere in toto l'idea che chi usa sistemi differenti debba saper "smanettare", anche perchè non su tutti i sistemi si può intervenire.
Ormai chi naviga con strumenti e/o sistemi non Microsoft è una percentuale significativa del totale e non tutti gli utenti che utilizzano strumenti "diversi" sanno "smanettare".
Inoltre esistono strumenti sempre più diffusi dove "non si può "smanettare", nemmeno volendo, a meno di non invalidare licenze e garanzia. Pensa ai prodotti mobile (iPod, iPhone, iPad) di Apple per dirne una.
La distribuzione Linux Ubuntu è nata proprio con l'idea di rendere semplice l'utilizzo del sistema e di evitare che l'utente finale debba "smanettare" per far funzionare il sistema.
I tempi in cui gli strumenti diversi da Microsoft sono "difficili" e richiedono saper fare è in realtà verso il tramonto, infatti anche Linux è ogni giorno più facile da usare.
In conclusione proprio in quanto servizio pubblico ritengo sia compito di RAI "smanettare" ed indicare chiaramente come fare per visualizzare i contenuti anche con piattaforme diverse da Microsoft. E' sul sito RAI che vanno messe le istruzioni o per lo meno le indicazioni per piattaforme Linux e Apple.
E' compito di chi offre un servizio dire come si lo può utilizzare, non 
viceversa. Quando compri un qualsiasi apparato ti danno il libretto delle istruzioni, non è l'utente che va in giro a cercarle.
Rimane in ogni caso il fatto che la scelta fatta da Rai esclude di fatto 
una percentuale significativa di utenti, che se non altro per pigrizia, 
migreranno verso le altre reti televisive.
Ing. Andrea Gelpi


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Streaming Rai e neutralità tecnologica - 2

Niccolò Caranti - 20.11.11
Devo dire che non ho molto apprezzato i toni della sua risposta a Paolo Del Romano. Certo, le due spiegazioni da lui immaginate sono abbastanza offensive nei confronti della RAI, ma confesso che quella alternativa da lei esposta mi risulta molto poco convincente. Appare abbastanza naturale pensare che si sia scelto coscientemente di rendere più difficile la visione della Rai con sistemi alternativi. Quali sarebbero i problemi nell'adottare lo stesso sistema di RaiNews?
Inoltre, c'è secondo me un grosso errore concettuale nella sua risposta. Lei scrive che uno dei motivi che ha portato a scegliere Silverlight è
la sicurezza contro la "disseminazione" dei contenuti (che sono pagati da noi...).
Ma proprio perché pago il canone vorrei poter vedere la Rai con facilità anche se sul mio computer non ho Windows!
Nella sua risposta cita Moonlight, che però come chi ha provato a usarlo ben sa, ha problemi enormi. Fra l'altro va segnalato che una volta era possibile senza troppe complicazioni vedere i principali canali Rai senza usare ne Silverlight ne Moonlight, ma poi il sistema è stato modificato e non è risultato più possibile. Perché è stato fatto? C'era bisogno di farlo? Qualche riferimento qua.
Cordiali saluti, 
Niccolò Caranti

Aspettiamo una risposta dalla Rai.                                         


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Streaming Rai e neutralità tecnologica - 1

Paolo Del Romano - 07.11.11
Non so se lei sa che la streaming tv della Rai funziona solo con tecnologie chiuse (Microsoft e Silverlight). Solo i servizi di Rainews non hanno questo problema. Quindi non riesco a vedere tutti i contenuti della webtv della Rai con il mio Ubuntu.
Faccio notare che mentre gli oligopolisti Rai e Mediaset hanno optato per soluzioni tecniche della webTV che danno questi problemi, tutti gli altri piccoli operatori (La7, repubblicaTv, Sole24oreTv, CorriereTv) hanno invece adottato delle soluzioni aperte che non hanno questi problemi.
Qualcuno nei blog dice che c'è la mala fede da parte della Rai (che ricordiamo essendo un operatore pubblico più degli altri dovrebbe tendere verso soluzioni open e non proprietarie). Cioè si insinua che i lobbisti della Microsoft sono riusciti a foraggiare le persone giuste della Rai. Qualcun'altro dice che questo è da imputare alla mediocre professionalità dell'operatore radiotelevisivo Rai.
Gradirei che lei scrivesse qualcosa nel suo blog al riguardo.
Paolo del Romano

Ho fatto una piccola indagine riservata e ho concluso che Silverlight è stato adottato dalla Rai dopo molti confronti con altre soluzioni. A suo favore hanno giocato, fra l'altro, la grande flessibilità, la diffusione e la sicurezza contro la "disseminazione" dei contenuti (che sono pagati da noi...).
Chi usa Ubuntu o altre soluzioni Linux sa che spesso deve "smanettare" un po' per avere la compatibilità con i sistemi più diffusi. Nel caso di Silverlight la soluzione per Ubuntu si chiama (guarda un po') Moonlight.
Le insinuazioni lasciano il tempo che trovano. Mediocre professionalità? Dal punto di vista tecnico la Rai è una delle migliori aziende televisive in Europa. Il Centro ricerche e innovazione tecnologica di Torino è un polo di eccellenza, al quale si devono molte innovazioni poi adottate dagli altri operatori.
In tutto questo il problema che lei solleva è reale. La neutralità tecnologica deve essere la regola per un operatore pubblico, pagato dai cittadini. Purtroppo non esistono soluzioni "totali" per ogni problema. Occorre trovare l'equilibrio tra diverse esigenze, accettando qualche compromesso. In questo caso è stata penalizzata una piccola parte degli utenti, che però sono quelli più abili nel risolvere problemi come questo.                                            


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Dal servizio pubblico a "Servizio pubblico": Sandro Ruotolo

31.10.11
Ormai è deciso: la trasmissione di Michele Santoro che esordirà "su tutti gli schermi" da giovedì prossimo si chiamerà "Servizio pubblico". E si avvarrà anche del contributo di Sandro Ruotolo, che raggiunge la squadra degli ex di Annozero dopo aver concluso il rapporto contrattuale con la Rai.
Il suo video di saluto riprende il tema caro a Santoro: nostalgia per la Rai-servizio-pubblico, voglia di ritornare. E ripropone il problema, sempre più importante, del futuro del servizio pubblico radiotelevisivo (anzi: multimediale). Quello che la Rai di oggi svolge su alcuni canali, come Rai5, ma sembra scomparso dai "generalisti" e, soprattutto, dall'informazione.
"E' il sogno della mia vita - dice Ruotolo - lavorare solo per il pubblico, per un vero servizio pubblico".
Ne riparleremo dopo aver visto la nuova trasmissione.                      

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La follia tecnologica che ha paralizzato Roma Nord

27.10.11
Lo riportano con grande evidenza tutti gli organi di informazione: questa mattina il traffico della zona Nord di Roma è stato paralizzato da una moltitudine che aspettava l'apertura di un nuovo megastore di prodotti tecnologici. Che per l'inaugurazione aveva promesso uno "specialissimo Sottocosto che durerà fino al 5 novembre". Telecamere in azione, domande di rito agli speranzosi in fila dall'alba e ai fortunati che uscivano con i sacchetti pieni.
"Sa, con la crisi, è un'occasione da non sprecare". "Sono riuscito a prendere l'iPhone4". "La Playstation"...
File dall'alba in tempo di crisi, vetrine infrante. Non per il pane. Ma per l'iPhone 4, la Playstation, il televisore al plasma. Non è difficile immaginare che l'acquirente dell'ultima versione dell'i(nutile)Phone si sia messo in fila avendo in tasca la penultima. E così tanti degli altri assaltatori di megastore. Per i quali l'ultimo giocattolo elettronico è un bene essenziale. In tempo di crisi e mentre milioni di persone in altre parti del mondo muoiono di fame.
C'è qualcosa che non funziona in questa parte del mondo. Rifletta chi continua a ricordare Steve Jobs come un genio che ha migliorato la nostra vita.       


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Piergiorgio Odifreddi: Steve Jobs? Uno stilista

22.10.11
Oggi nel mondo la morte in prima pagina è quella di Gheddafi. Ha preso il posto di quella di Steve Jobs. Due situazioni assolutamente diverse, si dirà. Ma hanno in comune il fatto di essere, appunto, morti da prima pagina. Questo giustifica un breve passo indietro, perché in ritardo scopro che anche Piergiorgio Odifreddi ha commentato la scomparsa del fondatore di Apple, nel suo blog su Repubblica.it.
Odifreddi ha scritto più o meno le stesse cose che abbiamo scritto Andrea Monti e io (vedi L’informatica non era Jobs e non sarà la Apple e L'ultimo capolavoro mediatico di Steve Jobs):
"Al di là delle iperboli mediatiche, Jobs è infatti stato  uno stilista, che ha contribuito a trasformare il computer in un bell’oggetto e un bel giocattolo, ma niente o poco di più. Una specie di Benetton, cioè,  come quello passato alla storia per essersi arricchito vendendo magliette colorate, ma non certo per aver inventato la tessitura o vestito le genti. In ogni caso, il mercato dei prodotti Apple è assolutamente minoritario nel mondo dell’informatica, e  i prezzi dei suoi prodotti contribuiscono a renderlo tale anche in Occidente".          


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Se si spegne Wikipedia

05.10.11
Quella di oggi doveva essere una normale giornata di lavoro. Gli ultimi aggiornamenti a un libro che spero di pubblicare presto, un pezzo sul disegno di legge sulle intercettazioni, corrispondenza arretrata da sbrigare.
Tutto con le verifiche e le ricerche di informazioni che fanno parte della routine.
Ma è stato impossibile. Perché una delle due miei abituali fonti è fuori servizio: Wikipedia (l'altra è, naturalmente, Google). Ieri Wikipedia italiana ha oscurato se stessa per dimostrare che cosa potrebbe succedere se passassero le norme in discussione alla Camera sul dovere di rettifica a carico dei siti Web. Una pagina da leggere fino in fondo. Un esempio più forte di qualsiasi ragionata protesta.
Non sto qui a ripetere le tante considerazioni che si trovano in questi giorni in ogni angolo della Rete (basta il blog di oggi di Mario Tedeschini Lalli). Sulle norme in esame ci sarebbero da fare diverse osservazioni "in diritto", ma è bene aspettare il testo definitivo.

Post scriptum. Secondo le ultime notizie di questa sera, la norma sarebbe limitata alle testate giornalistiche. Per le quali, soggette senza dubbio alle decrepita legge sulla stampa, non ci sarebbe bisogno di altre disposizioni.


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Post precedenti (16 febbraio-31 agosto 2010)

© Manlio Cammarata 2010

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