Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013
Televisione

La TV digitale terrestre nel sistema dei media - 5

16.11.06

Il sistema dei media non può di annullare del tutto il digital divide. E anche la DTT ha i suoi limiti, soprattutto nella fase di transizione.

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La linea rossa del divario digitale

Abbiamo detto che la televisione digitale terrestre è un mezzo teoricamente inutile, perché non può offrire alcun servizio che non possa essere fornito dalla TV satellitare (con i vantaggi della copertura virtualmente totale del territorio) o dall'internet (con i vantaggi della migliore interattività). Però la televisione terrestre è una piattaforma a diffusione universale e il passaggio al digitale consente di offrire più canali e più applicazioni "avanzate". Di conseguenza può rivelarsi la killer application per portare dovunque, e a ogni strato della popolazione, i servizi della società dell'informazione. Con tutto quello che ne consegue in termini di sviluppo socio-economico e culturale.

Ma quando diciamo che la televisione terrestre (per ora analogica) è un mezzo di diffusione universale, esprimiamo un concetto impreciso sotto almeno due punti di vista. Il primo è che le caratteristiche del territorio rendono molto difficile la copertura "totale". E' esperienza comune che in molte zone rurali o montane il segnale televisivo si riceve male o non si riceve affatto e che anche in aree urbane tecnicamente "illuminate" da diversi trasmettitori, alcuni canali non arrivano o arrivano con una qualità molto scadente.

Il passaggio alla DTT risolverà alcuni casi e ne aggraverà altri. Infatti, pur utilizzando le stesse radiofrequenze, il segnale della TV digitale presenta problemi differenti in fase di ricezione. Per questo il tanto conclamato switch-off dell'analogico richiederà anche la revisione della mappa territoriale dei trasmettitori e dei ripetitori.
Ma anche dopo questa fase, che richiederà comunque molto tempo, ci sarà sempre un "ultimo utente" che non potrà essere raggiunto.

Il problema è sostanzialmente economico. Se installare un'antenna costa 10.000 euro (una cifra a caso) e illumina una zona in cui risiedono 10.000 persone, il costo per raggiungere un utente è pari a un euro. Se la popolazione residente è di mille individui, il costo unitario sale a 10 euro. Ma se, come può accadere in un'area montana, la popolazione è pari a cento o duecento persone, il costo diventa insostenibile.

Normalmente l'installazione o l'aggiornamento degli impianti parte dalle aree più densamente popolate e raggiunge gradualmente le altre (si pensi che per la copertura attuale del territorio italiano, che presenta ancora qualche area "buia", sono occorsi una ventina di anni). Per la DTT il problema è alquanto diverso, perché dipende in gran parte dalla disponibilità di frequenze su aree già coperte dalla TV analogica. Allo stato attuale, lo spettro elettromagnetico dedicato alla televisione terrestre appare dovunque saturo.

Dobbiamo aspettare che si concluda il censimento delle frequenze avviato dal ministro Gentiloni e soprattutto che si chiariscano i meccanismi sulla base dei quali le frequenze "libere" o "liberate" saranno assegnate agli operatori vecchi e nuovi.
Ci sarà comunque una fase intermedia, durante la quale la copertura digitale sarà parziale: una parte della popolazione avrà accesso ai nuovi contenuti e ai nuovi servizi, una parte no.

Si ripeterà in questo modo la situazione che viviamo ancora oggi con la diffusione della larga banda sulla rete telefonica. I centri più grandi sono già coperti da tempo, mentre per in molti di quelli più piccoli (dove la larga banda sarebbe utilissima per favorire lo sviluppo economico e sociale) si deve ancora attendere.

In ogni caso la disponibilità della DTT, come di ogni altro mezzo, non potrà mai arrivare al cento per cento. E' praticamente impossibile raggiungere l'ultimo utente potenziale, sia perché costerebbe troppo, sia perché il concetto di "ultimo utente" può può essere visto anche in senso socio-culturale. Esiste cioè un "ultimo utente" da servire, ma che non può essere servito perché non ha i soldi per comperare l'apparecchiatura o perché non conosce nemmeno l'esistenza di un determinato mezzo.

Per capire le dimensioni del problema, riflettiamo su un dato diffuso di recente (vedi le anticipazioni sull'ultimo rapporto Censis sulla comunicazione): circa il 30 per cento degli italiani usa l'internet come mezzo di informazione. Dispone quindi di uno strumento molto utile per una miriade di attività: vi si trovano informazioni della pubblica amministrazione (e in qualche caso c'è anche la possibilità di interazione), gli orari dei treni e degli aerei, le mappe dettagliate di tutto il mondo, informazioni praticamente su tutto lo scibile umano, notizie in tempo reale, approfondimenti su ogni materia. Un solo fatto per rendere l'idea del cambiamento che l'internet ha portato nel mondo dell'informazione: da poco tempo il TG1 invita regolarmente i telespettatori a consultare il sito internet della testata per gli approfondimenti o per scrivere alla redazione.

Ebbene, se solo il 30 per cento degli italiani si serve dell'internet, significa che oltre i due terzi della popolazione italiana sono tagliati fuori dalle opportunità offerte dalla Rete. Con un'immagine che non è esagerata come può sembrare a prima vista, si può dire che per due terzi degli italiani il mondo dell'informazione è fermo al secolo scorso. E' un problema serio, alla cui soluzione il digitale terrestre può dare un contributo, data la diffusione del mezzo televisivo.

Lo "scarto di conoscenza"

Ma c'è di più. Proviamo a vedere la questione nell'ottica di un paese si trova ancora nella fase iniziale dello sviluppo, come molte nazioni africane. Che utilità avrebbe un medium interattivo (immaginiamo una disponibilità di internet su banda larga, diffusa in radiofrequenza) dove la popolazione non sa che farsene e, per di più, non c'è la corrente elettrica per far funzionare gli apparati?

Sono questioni di grande rilevanza per lo sviluppo della società, perché la linea rossa del digital divide non costituisce semplicemente un confine tra chi ha e chi non ha accesso a certe fonti di informazione, ma determina un divario crescente del livello di conoscenza tra gli have e gli have-not. In sostanza, quelli che hanno accesso a più fonti hanno sempre più informazione, capacità comunicative, contatti sociali; gli altri restano al palo. E' la materia della "Teoria dello scarto di conoscenza" (knowledge gap), che dovrebbero studiare i politici e i tecnici che programmano gli sviluppi del sistema dei media, se mai fossero interessati alle conseguenze sociali delle loro decisioni.

Un approfondimento di questi problemi ci porterebbe lontano dagli scopi di questa serie di articoli, ma i pochi accenni fatti dovrebbero dare un'idea delle implicazioni connesse ai tempi del passaggio dall'analogico al digitale nella televisione. Il processo avviene inevitabilmente "a macchia di leopardo" e funziona, semplificando, così: su un trasmettitore si libera un canale analogico e al suo posto si trasmette un certo numero di canali digitali (almeno quattro).

Ora, poiché i canali già attivi sono molti di più (già oggi qualche decina) si deve scegliere a quali dare la precedenza, in attesa che si liberino altre frequenze. Quali devono essere i criteri di scelta, considerando che da una parte ci sono forti interesse economici (canali a pagamento, anche in concorrenza fra loro) e dall'altra la possibilità di offrire informazioni e servizi utili per tutti i cittadini?
Non si dovrebbe tener conto dell'utilità sociale di certi contenuti prima che del profitto?

Di fatto, nella situazione attuale, lo switch-over si verifica quando un operatore decide compiere il passaggio su frequenze delle quali dispone, ma è chiaro che questo metodo non può garantire uno sviluppo equilibrato del sistema. Anche perché in queste condizioni il principale fattore di scelta è puramente economico, come si vede dalla diffusione dei canali a pagamento di Mediaset e La 7, molto più diffusi del canale Rai News 24 del servizio pubblico.
Dunque si deve considerare essenziale la correlazione tra scelte operative e aspetti sociali. Forse (ma non è chiaro con quali procedure) ci prova il disegno di legge Gentiloni, che almeno su questo aspetto dovrebbe essere migliorato in sede parlamentare. 

Per concludere riflettiamo su un fatto: dagli anni '50 la televisione ha svolto un ruolo fondamentale nella crescita socio-culturale degli italiani, al punto che qualcuno dice che ha "unificato" il Paese. Ora i nuovi media possono determinare una più avanzata fase di sviluppo, contribuendo a diminuire gli scarti di conoscenza tra zone geografiche e condizioni socio-economiche.
La televisione digitale terrestre, pur con i suoi limiti, può costituire uno strumento fondamentale di questa evoluzione perché per la grande maggioranza della popolazione è un mezzo più "amichevole" dell'internet e più economico e di facile ingresso della TV satellitare.

Naturalmente tutto dipende anche dalla disponibilità e dalla qualità dei contenuti, sui quali si gioca la sfida finale. Ma di questo abbiamo già detto.

(Fine)

Gli articoli precedenti:
1. Perché il digitale terrestre? - La TV digitale nel sistema dei media
2. I contenuti della DTT - Dalla parte dei fornitori
3. Il set-top-box, ma non solo... - Dalla parte dell'utente
4. Diritti digitali, il problema dei problemi

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