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Televisione

Scade il mandato del CDA. Perché non lo vogliono rinnovare?

Un commissario alla Rai: Montalbano o Santamaria?

C'è qualcosa di paradossale nella situazione di stallo del servizio pubblico radiotelevisivo: il mutato contesto politico rende possibile l'uscita dal regime imposto dal signore delle televisioni. Ma la politica paralizza tutto.

26.03.12

Paralisi paradossale. L'espressione è cacofonica, ma rende abbastanza bene l'idea della situazione della Rai. "Paralisi" perché nulla si muove, nonostante il mandato del consiglio di amministrazione dell'ente scada dopodomani. "Paradossale" perché ci sarebbero tutte le condizioni per nominare un nuovo CDA, che ponga fine al controllo quasi diretto della società di servizio pubblico nelle mani del proprietario di buona parte dell'emittenza privata.

E' una pura questione di numeri. Secondo la legge in vigore, la famigerata Gasparri, il consiglio di amministrazione della Rai è composto da nove persone. Sette sono nominate dalla Commissione parlamentare, una dal Mistero del tesoro, che indica anche il nome del presidente.
E' ovvio che la Commissione riflette la maggioranza che sostiene il Governo e quindi elegge un consiglio che rispecchia la stessa maggioranza. Il Ministro del tesoro (cioè ancora il Governo) nomina il proprio rappresentante. A questo punto che lo stesso Ministero indichi il nome di un presidente "di garanzia" è quasi irrilevante.

Ora la situazione è questa: nella Commissione parlamentare non c'è più la maggioranza di centrodestra, a causa del passaggio di un suo componente al Gruppo misto. Il rapporto tra le forze è ora di venti a venti e il voto del presidente Sergio Zavoli è determinante. Quindi la Commissione potrebbe eleggere i suoi sette consiglieri mettendo in minoranza la fazione del signore delle televisioni.

L'ottavo consigliere sarebbe nominato dal "governo tecnico" in carica. Sarebbe, con ogni probabilità, a sua volta un tecnico, non legato a una parte politica. Anche il presidente potrebbe essere un tecnico indipendente.
Dunque, numeri alla mano, oggi sarebbe possibile sottrarre al signore delle televisioni il controllo del servizio pubblico radiotelevisivo. Allora perché tutto resta fermo?

Si dice e si ripete che è necessario liberare il servizio pubblico dall'influenza dei partiti. Per questo occorre una riforma che non può essere compiuta in pochi mesi, soprattutto se  non la vuole il partito che ha ancora la maggioranza relativa nel Parlamento.

L'8 gennaio scorso il Presidente del consiglio aveva promesso novità per la Rai, davanti alla grande platea televisiva di Che tempo che fa: "Mi dia ancora qualche settimana e vedrà". Ma appena ha accennato a occuparsi della questione gli hanno intimato un altolà perentorio.

E' evidente che il signore delle televisioni e la sua ex-maggioranza di governo hanno tutto l'interesse a prolungare il più possibile lo status quo. Ma che fa quella che fino a qualche mese fa era l'opposizione? Nulla. L'ex-opposizione, nella persona del segretario del maggiore partito, dice che non parteciperà all'elezione di un nuovo CDA con queste regole. Ma siccome le regole non è possibile cambiarle in tempi ragionevoli, tutto va avanti come prima.

Qualcuno, al centro dello schieramento politico, propone che il Governo nomini un commissario straordinario. Proporre è sempre una cosa buona e non fa male a nessuno. Peccato che la soluzione sia impossibile sul piano giuridico: servirebbe una modifica legislativa ardua quanto una revisione della legge Gasparri.

"Commissario" si fa per dire, rispondono i più avvertiti. Si tratta di mettere al posto giusto qualcuno che abbia la capacità di mettere in ordine i conti dell'azienda. Come se i bilanci in rosso fossero il problema più grave di un servizio pubblico, pagato dai cittadini, che non svolge più il suo compito. Per risanare le finanze dell'ente basterebbe recuperare l'evasione del canone.

Però l'idea di un commissario a viale Mazzini è suggestiva. Si potrebbe incaricare Montalbano. Oppure il commissario Santamaria, quello delle storie di Fruttero e Lucentini, visto che la televisione italiana è nata a Torino.
Ma probabilmente non riuscirebbero ad arrestare i colpevoli.

Vedi anche:
Rai privata, niente canone: a chi conviene? - 12.02.12
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