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Il disegno di legge in discussione va contro le sentenze CEDU

Intercettazioni: abbiamo il "diritto di sapere"

La Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) ha sancito in diverse sentenze la prevalenza del diritto di cronaca su ogni altra questione, compresa la privacy. Non si possono vietare le cronache giudiziarie né perquisire le redazioni.

03.05.10

Siamo alle solite. C'è un indagato eccellente (questa volta tocca al ministro Scajola), ci sono i giornali che riportano la notizia e raccontano l'inchiesta della magistratura. Indignata, la casta politica stigmatizza non il presunto reato, ma il "processo mediatico". Già, perché tra un politico sospettato di rubare (presunto innocente fino alla sentenza definitiva) e un giornalista che racconta i fatti, quest'ultimo è "presunto colpevole", anche senza processo.

Questa volta i giornali non riportano i testi delle intercettazioni, ma il contenuto degli atti dell'inchiesta. La sostanza non cambia: il Palazzo vuole vietare che i cittadini abbiano notizia delle malefatte di cui sono accusati i governanti. Ed ecco che al Senato riprende la discussione di un disegno di legge dell'anno scorso, già approvato dalla Camera, ma poi opportunamente lasciato in un cassetto.

Si tratta del DDL S.1611 - qui l'iter parlamentare - che colpisce su due fronti:
la magistratura, con pesanti limiti alle possibilità di intercettare, e l'informazione, con il divieto di pubblicare atti delle inchieste.
Magistrati e giornalisti sono sul piede di guerra, con molte buone ragioni. Sul piano delle indagini, limitare le intercettazioni significa semplicemente legare le mani ai pubblici ministeri, che avranno minori possibilità di scoprire e provare i reati. Sul piano dell'informazione, si cancella il "diritto di sapere" dei cittadini. Con una legge come quella in discussione nessuno avrebbe saputo, solo per fare qualche esempio, l'esistenza di inchieste come Parmalat e Cirio, per non parlare di Tangentopoli.

Ma la nuova legge, se passerà, non è destinata a durare. Infatti, per la parte che riguarda l'informazione, appare in contrasto non solo con l'articolo 21 della Costituzione, ma anche con numerose pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo. La ricostruzione di Franco Abruzzo è condivisibile: le sentenze sui casi Goodwin v. the United Kingdom, Roemen and Schmit v. Luxembourg, Tillack c. Belgique, Dupuis and Others v. France e Eerikäinen and Others v. Finland parlano chiaro. Sanciscono il diritto della stampa di informare su indagini in corso e quello del pubblico di essere informato su inchieste "scottanti". Con il corollario dell'illegittimità delle perquisizioni a carico di giornali e giornalisti e anche con l'affermazione della prevalenza del diritto di sapere sulla tutela della privacy. 

La nostra Corte costituzionale - ci ricorda sempre Abruzzo - in diverse occasioni ha riconosciuto che le decisioni della Corte di Strasburgo devono prevalere su quelle nazionali (sentenze 348 e 349 del 2007 e 39 del 2008).
E allora che cosa può succedere?

Ipotizziamo che il Parlamento approvi la legge, anche con "alleggerimenti" rispetto al testo attuale. Il Presidente della Repubblica la promulga? Questo è un punto delicato, perché Napolitano potrebbe anche rinviarla alle Camere, richiamando proprio le decisioni della Corte di Strasburgo. Le Camere lo approverebbero di nuovo con poche modifiche e la promulgazione a questo punto sarebbe obbligatoria. Ma è possibile che la legge venga promulgata subito e produca in breve tempo il suo effetto-bavaglio.

Però qualche giornalista con la schiena dritta potrebbe violare consapevolmente la legge pubblicando atti di inchiesta giudiziaria. La prima conseguenza, dopo l'apertura dell'indagine a suo carico, sarebbe la sospensione cautelare dall'esercizio della professione. Poi potrebbe subire una condanna fino a tre anni di reclusione.

La sua difesa potrebbe chiamare in causa la Corte costituzionale, per non infondati sospetti di violazione dell'articolo 21 e delle decisioni della Corte di Strasburgo. La Consulta potrebbe dichiarare incostituzionale la legge sulle intercettazioni e tutto ritornerebbe come prima. Il problema è che l'iter non può essere breve e nel frattempo editori e giornalisti vivrebbero sotto la spada di Damocle delle indagini penali.
Con un evidente ferita per la libertà di informazione e il diritto di sapere.

Vedi anche
Atti giudiziari e intercettazioni: censura in vista
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