Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013

Televisione

Il programma di Fazio e Saviano, un modello di televisione

"Vieni via con me", un buon motivo per restare qui

Chiusa la serie di quattro trasmissioni, è venuto il momento di tracciare un bilancio del programma che ha segnato record di ascolti e di polemiche. Un formato diverso, che il pubblico ha apprezzato al di là di ogni previsione.

2 dicembre 2010

E' andata. Le quattro puntate di "Vieni via con me" sono passate e forse sono già nella storia della televisione. Come "Rai per una notte", che è solo di sei mesi fa, ma costituisce già un capitolo della memoria. Due programmi accomunati dal coraggio sovversivo di autori che non si rassegnano alla televisione con cento canali e un solo programma. Dall'alto livello di qualità del prodotto. Da uno straordinario successo. E, naturalmente, dalle polemiche.

Ma il format della trasmissione di Santoro era, con qualche licenza, quello ben noto e collaudato del talk show. Quello di Fazio e Saviano, come molti hanno riconosciuto, è stato una vera novità, che potrebbe indicare il futuro di una televisione "intelligente". Una televisione in grado di mantenere un ruolo e un pubblico anche nel prossimo futuro di confusione dei media, che oggi appare come la prospettiva più credibile negli sviluppi del mondo della comunicazione.
Dunque è utile discuterne, partendo da tre punti-chiave.

Primo punto, la politica. Abbiamo visto un programma del tipo che qualcuno definisce "politicamente orientato in una certa direzione, "schierato", "fazioso" eccetera. Dove il tono ammiccante con cui si afferma "politicamente orientato in una certa direzione" fa intendere qualcosa che si deve dire a bassa voce. Qualcosa di vergognoso che i bambini non devono sentire. Qualcosa di sinistro. E infatti si traduce come "di sinistra". Espressione che in una parte non trascurabile di italiani evoca immagini di un tempo lontano, quello in cui molti temevano di vedere i cavalli dei cosacchi abbeverarsi nelle fontane di piazza San Pietro.

E' scandaloso che un programma come questo sia trasmesso dal servizio pubblico? Sembrerebbe di sì, stando alle polemiche che hanno preceduto e accompagnato "Vieni via con me". Ma dovrebbe essere chiaro che non ci può essere nulla di scandaloso in una trasmissione che riflette i valori e le idee di una parte significativa degli spettatori, come dimostrano i numeri. Il punto critico è che nessuno riesce a fare un programma "di destra" - nel significato che hanno oggi in Italia le espressioni "destra" e "sinistra" - di tale qualità e tale impatto. Ma questo è un problema della destra.

Da qui un altro motivo di polemica: la "mancanza di contraddittorio". E' la terribile accusa che viene lanciata ogni volta che qualcuno esprime verità scomode. Ma pretendere in ogni caso il contraddittorio immediato è come costringere chi acquista in edicola Libero o il  Giornale a comperare anche la Repubblica o il Fatto Quotidiano. E viceversa. Se si dovesse applicare questo principio alle più seguite trasmissioni televisive, si dovrebbe incominciare dai sommari e dagli editoriali di Minzolini. Che, ogni giorno, ha un pubblico molto più numeroso di quello di "Vieni via con me".

Secondo punto, il formato. O format, come si dice con un inutile anglicismo. Anche su questo si è polemizzato. "Vieni via con me" è spettacolo, è giornalismo, è una trasmissione politica? Nella televisione di oggi il formato prescinde dal "genere". Tutto e nulla è politica, tutto e nulla è giornalismo, tutto e nulla è spettacolo, fiction, reality. Dove la fiction è spesso realtà quotidiana e il reality pura finzione (si veda il libro di Mazzoleni e Sfardini Politica pop, che dimostra la mutazione della televisione con la commistione dei generi).

Alla base di ogni formato televisivo c'è (o ci dovrebbe essere...) un'idea. In "Vieni via con me" ce n'è una vecchia, quella degli elenchi, coniugata con una nuova: la lettura degli elenchi affidata a chi li vive sulla propria pelle, chiunque sia. Cittadini qualsiasi alla ribalta insieme a mostri sacri del palcoscenico, come Roberto Benigni e Dario Fo. Cantautori e giudici. Attori e musicisti. E Roberto Saviano, personaggio non catalogabile di straordinaria potenza comunicativa.

Difficile, difficilissimo tenere insieme questa folla di persone, molte prive della minima esperienza televisiva. Che compaiono, leggono un elenco, scompaiono. Potrebbe essere un flop. Invece non c'è un minuto di noia, un calo di tensione. Neanche nei momenti in cui politici televisivamente imbranati sciorinano i soliti luoghi comuni. In diretta. In una scena scarna quanto spettacolare, piena di simboli e di citazioni. Fazio, con la solita aria di uno che passa di là per caso, è riuscito nell'impresa. Abbiamo visto una grande televisione. Il cui merito va anche a Loris Mazzetti, capostruttura, e a Paolo Ruffini, direttore della rete, che l'hanno pensata e voluta insieme agli autori. Vincendo ogni resistenza.

Terzo punto, il successo. Nove, dieci milioni di spettatori, un terzo del pubblico televisivo. Battuto il "Grande fratello" della concorrenza. Questo è il dato che deve farci riflettere. Una parte significativa degli italiani ha preferito l'impegno civile, il ritratto impietoso del Paese in cui viviamo - insomma, la realtà - alla facile evasione del reality irreale.
Se vogliamo ripensare la televisione, e soprattutto la televisione pubblica, dobbiamo partire da qui. 

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