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Televisione

Sempre più problematica la situazione del servizio pubblico

La Rai verso la resa dei conti (in rosso) 

Alle polemiche e ai bilanci catastrofici si aggiungono meccanismi di spesa che rallentano gli investimenti e comportano il rischio di un ritardo tecnologico che non sarà facile recuperare. Ma il nodo resta quello del controllo politico. 

3 giugno 2009

Bufere dentro e intorno alla Rai. L'ultima notizia è che i contratti sono stati firmati e Vieni via con me, il programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano, partirà regolarmente l'8 novembre. Ma lo scambio di lettere tra Saviano e il presidente della Rai Paolo Garimberti resta a documentare uno stato di tensione mai raggiunto prima. Se Garimberti deve scrivere "Io sulla libertà non tratto... Di questa libertà mi faccio garante...", è lecito immaginare che nel servizio pubblico ci sia un problema di libertà.

E se un personaggio come Sergio Zavoli, presidente della Commissione di vigilanza, arriva a dire che "bisogna capire se la Rai sia in grado di mediare tra i fatti e l'opinione pubblica", la questione è seria.
Sullo sfondo ci sono le polemiche sui programmi che il direttore generale Mauro Masi cercherebbe di fermare, sul TG1 troppo "governativo" di Minzolini e via elencando. Ma cerchiamo di superare le polemiche e restare ai fatti.

Primo fatto. Le regole che il direttore generale vorrebbe imporre ai conduttori dei programmi di approfondimento sono scritte nero su bianco nella circolare del 24 agosto scorso (di fatto sconfessata dal consiglio di amministrazione) e in quella più generica del 17 settembre. Al di là della prosa da verbale di polizia, al di là di trovate stravaganti come il divieto di applausi, lo spettro di una censura preventiva sui programmi di approfondimento è molto più di una sensazione.

Secondo fatto. Il bilancio dell'azienda che volge al profondo rosso, come ha riferito il Corriere della sera pochi giorni fa. Un buco che per quest'anno potrebbe essere più grave del previsto e che, in assenza di correttivi, potrebbe superare il capitale sociale alla fine del 2012. Serve una cura da cavallo, con vendite di immobili, affidamento di attività importanti all'esterno e riduzioni di personale.
Nel disastro dei conti c'è un aspetto singolare:  gli ascolti della Rai sono in crescita (si attestano al 44%), mentre quelli di Mediaset sono stabili (al 38 per cento). Ma nell'ultimo periodo gli introiti dalla pubblicità cresciuti solo del 4 per cento, contro l'8 per cento dell'azienda di Cologno Monzese.

Terzo fatto, legato alle difficoltà di bilancio, ma non solo. La Rai rischia un pesante arretramento tecnologico a causa dei ritardi negli investimenti per il rinnovo delle apparecchiature. Ne parla il numero di Millecanali di questo mese, con molta cautela. Ma a Saxa Rubra e negli altri centri di produzione il malcontento è palpabile: molti sudi funzionano ancora con tecnologie analogiche, pochi sono pronti per l'alta definizione, i sistemi di ripresa e di post-produzione sono vecchi, i guasti frequenti. Colpa, in parte, del fatto che l'azienda deve rispettare le norme sugli acquisti degli enti pubblici, con un lente procedure burocratiche.

Il problema, si dice, è aggravato dalle regole emanate dal direttore generale, che non rispetterebbero le esigenze delle diverse aree produttive. Molte gare devono essere indette anche per forniture urgenti, ma pare che l'ufficio acquisti non sia dimensionato per stare al passo con le richieste della produzione e le delibere del consiglio di amministrazione.
Il risultato è che acquisti essenziali, come telecamere e banchi di regia, richiedono anche un anno e mezzo per essere portati a termine. E, quando arrivano, gli apparecchi sono ormai quasi obsoleti.

Dunque le prospettive per l'azienda di viale Mazzini sono nere. In questo quadro si deve vedere il quarto fatto: la bozza di progetto di riforma della Rai presentata dal gruppo di Futuro e Libertà. Un disegno di privatizzazione che prefigura il sostanziale smantellamento del servizio pubblico radiotelevisivo.
Gli obblighi di servizio pubblico, che la bozza vorrebbe assegnare (con relativi finanziamenti) alle emittenti commerciali diventerebbero un mero adempimento burocratico. Non sarebbero più una "missione" come quella che la Rai ha svolto e potrebbe ancora svolgere al servizio della collettività.

La Rai, si ripete sempre, è la più grande industria culturale del Paese. E continua, nonostante tutto, a svolgere questa funzione, anche se offuscata dalla collocazione dei programmi migliori in orari di scarso ascolto. Ma è anche la più grande industria dell'informazione: nessun altro editore ha tante testate e tanti giornalisti (più di duemila).

C'è poi la parte commerciale, quella in concorrenza con l'emittenza privata, che è l'aspetto più criticabile dello sviluppo della televisione pubblica dagli anni '80 del secolo scorso a oggi. Con la privatizzazione tutta la produzione sarebbe piegata alle esigenze del mercato, con la perdita del patrimonio di esperienze che ha fatto della Rai una delle migliori emittenti pubbliche del mondo.

In tutto questo rimane il "problema dei problemi", il vizio genetico di cui soffre il servizio pubblico: la dipendenza dalla politica. Che, all'epoca del Parlamento eletto con il sistema proporzionale, portava alla "lottizzazione" degli spazi e delle persone. Oggi, con il sistema maggioritario, significa una specie di "dittatura della maggioranza", che trasforma il servizio pubblico in servizio del Governo.

I fatti più recenti, sommariamente elencati fino a qui, mostrano come la situazione sia giunta a un punto di rottura. Insomma, siamo alla resa dei conti. O si cambia, o il grande patrimonio della Rai andrà disperso.

E' necessario mettere mano a una seria riforma dell'ente, che lasci la politica fuori dai cancelli di viale Mazzini, per ridisegnare una funzione di servizio pubblico adeguata al nuovo contesto dei media.
E' molto difficile che questo possa avvenire mentre il signore della televisione privata è capo della maggioranza parlamentare e del Governo. Ma un progetto per il futuro si deve impostare oggi. Si deve immaginare un modello realistico, da realizzare nel momento in cui sarà possibile. Sperando che questo momento non arrivi troppo tardi.

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