Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013
Home Curriculum Blog Mappa del sito E-mail Storico

Televisione

Una bozza di legge presentata dal movimento di Gianfranco Fini

Privatizzare la Rai: un progetto poco "futurista"

La proposta di privatizzazione della Rai presentata dal "futuro" partito di Gianfranco Fini ha il grande merito di riaprire la discussione sul servizio pubblico radiotelevisivo. Ma di fatto abolirebbe il servizio pubblico e la Rai.

3 giugno 2009

La sospensione di due puntate di Annozero e la presentazione di una bozza di disegno di legge per la privatizzazione della Rai: due notizie che per una pura coincidenza sono arrivate, ieri, quasi nello stesso momento. Ma è stata una coincidenza significativa, perché l'annosa vicenda dei tentativi di imbavagliare il giornalista Michele Santoro è il sintomo di un malessere che la bozza di Futuro e libertà per l'Italia dice di voler curare (vedi Vaffa... E finalmente Masi riesce a censurare Annozero).

Che il servizio pubblico radiotelevisivo versi in una condizione inaccettabile per qualsiasi democrazia appare ormai chiaro a tutti, tranne che ai corifei del signore delle televisioni. Lo testimoniano, fra l'altro, due recenti mozioni presentate alla Camera, la 1-00436 e la 1-00441. I primi firmatari sono, rispettivamente, Italo Bocchino e Giuseppe Giulietti: il primo della maggioranza, il secondo dell'opposizione. E i contenuti dei due documenti sono del medesimo segno.

Ma il gruppo di Futuro e libertà va oltre. Con una bozza di proposta di legge, parte di un articolato dossier, propongono di "privatizzare" la Rai. Non è un'idea nuova, ma qui viene intesa nel senso più completo del termine: venderla ai privati e abolire il cosiddetto canone, pagato (ed evaso) dai cittadini.
E il servizio pubblico? Da distribuire tra i titolari delle concessioni televisive. Cioè la fine della "missione" che storicamente, in tutta Europa, è affidata ai servizi pubblici statali.

Il progetto va oltre quello contenuto nella "legge Gasparri", che prevedeva una improbabile società "ad azionariato diffuso", ma almeno riconosceva di fatto la funzione della più grande azienda italiana produttrice di cultura e di informazione. Qui invece si vuole trasformare la Rai in una società privata, come Mediaset o Sky, tesa al profitto e basta. Il che significa prima di tutto il livellamento in basso della qualità della programmazione e quindi la fine di tanti programmi di eccellente livello che l'azienda di viale Mazzini continua, nonostante tutto, a produrre.

Non basta. Nel momento in cui, finita la missione del servizio pubblico, la Rai dovesse essere gestita con criteri esclusivamente privatistici, i proprietari si renderebbero conto della sua relativamente scarsa produttività, derivante dal rapporto tra il fatturato e il numero dei dipendenti. Con la conseguenza di licenziamenti di massa.

Si sostiene che l'azienda potrebbe fare la fine dell'Alitalia. Non è vero, perché i conti sono sostanzialmente in ordine. Basterebbe agire seriamente per ridurre l'evasione del canone, per dare alla Rai le risorse per svolgere un servizio ancora più efficace e rispondere senza problemi alle sfide poste dagli sviluppi tecnologici e del mercato.

Il problema è uno solo: sottrarre l'azienda all'influenza della politica, resa ancora più pesante dal conflitto di interessi del Presidente del consiglio. Le soluzioni possibili sono molte, molte proposte sono state avanzate. Basti ricordare l'abortito progetto di legge di iniziativa popolare e il disegno di legge "Gentiloni", ambedue del 2006. Che non risolvevano del tutto il problema dell'influenza della politica, ma mantenevano intatte le potenzialità e la missione del servizio pubblico.

In quest'ottica la titolarità delle azioni è un problema secondario. L'obiettivo principale deve essere l'imparzialità (e non solo il "pluralismo") del servizio pubblico. Il che comporta la presenza di un organismo di controllo neutrale, imparziale, indipendente (non come l'autorità attuale, che rispecchia gli equilibri parlamentari ed è indipendente solo di nome).
L'esempio di una soluzione possibile viene dalla patria del servizio pubblico radiotelevisivo, la Gran Bretagna. Con l'ultima Royal Charter è stata costituita un'autorità di controllo separata dalla governance, proprio per mantenere la leggendaria indipendenza della BBC.

Dunque, se è ovvio che l'indirizzo generale debba restare nelle mani del Parlamento, il controllo non può essere affidato a una commissione che riproduce la maggioranza parlamentare. E nello stesso tempo governa l'azienda attraverso la cinghia di trasmissione costituita dal consiglio di amministrazione e da un direttore generale che, di fatto, è nominato dal Governo. Con l'aggravante, in questa lunga fase, che il governo stesso è presieduto dal proprietario della principale azienda concorrente.

Questo è il nodo da sciogliere. Tutto il resto viene di conseguenza.

Per intervenire su questo argomento scrivi a

Top   Indice della sezione   Home

© Manlio Cammarata 2010

Informazioni di legge