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Televisione

Il declino della Rai e il progetto di una riforma possibile

C'è ancora un futuro per il servizio pubblico?

Due documenti del Forum per la riforma del sistema radiotelevisivo del Partito democratico: un quadro drammatico e una serie di proposte che vale la pena di discutere, nell'attesa di tempi migliori. Mentre l'attacco alla Rai continua.

24 febbraio 2011

E' una diagnosi spietata quella di Nino Rizzo Nervo sullo stato di salute della Rai: "La perdita di credibilità e autorevolezza la cui conseguenza è il progressivo distacco dell’opinione pubblica (il crollo verticale degli ascolti del Tg1 ne è la dimostrazione) che fa fatica a riconoscere nel servizio pubblico radiotelevisivo un servizio di interesse generale".

La soluzione? "C’è bisogno di una svolta, di un cambiamento profondo, consigliato non solo dalle carenze dell’oggi (mancanza di pluralismo, eccessiva e dannosa presenza partitocratica, una direzione generale non all’altezza) ma soprattutto consigliata dalla visione strategica che emerge dalla rivoluzione tecnologica in atto", è la risposta di Carlo Rognoni, presidente del Forum per la riforma del sistema radiotelevisivo del Partito democratico.

In queste due citazioni si riassumono i contenuti di un recente seminario del Forum: la situazione sempre più critica dell'ente radiotelevisivo, sempre sotto attacco da parte della maggioranza di governo, e l'idea di un progetto che deve attendere tempi migliori per essere messo in cantiere. Anche se nel contesto attuale la proposta di Rognoni appare da libro dei sogni, è opportuno porre le basi di un discorso che dovrà essere posto all'ordine del giorno appena il signore delle televisioni non avrà più il controllo quasi diretto della Rai.

Dunque le conclusioni di Carlo Rognoni devono essere valutate con molta attenzione, anche perché sono basate sulla sua esperienza di politico e di ex consigliere di amministrazione di viale Mazzini. Si tratta di proposte concrete, realizzabili nel medio termine, anche se per qualche verso possono apparire rivoluzionarie.

Di fatto ricalcano, in linea generale, alcuni punti del disegno di legge presentato nella passata legislatura dall'allora ministro delle comunicazioni Paolo Gentiloni. Disegno che, a sua volta, riprendeva diversi aspetti di un'abortita proposta di legge di iniziativa popolare, in particolare la costituzione di una fondazione come "paratia stagna" tra la politica e l'ente. Di nuovo c'è l'idea di una Rai divisa in due aziende, una finanziata solo dal canone e una dalla pubblicità, secondo il modello inglese.

Per il canone Rognoni proponi una base impositiva fondata sulla residenza, che consentirebbe di diminuire l'attuale, intollerabile evasione. Ma forse la riscossione attraverso le bollette dell'energia elettrica sarebbe più efficace. A questa ipotesi qualcuno ha obiettato che l'alto numero dei fornitori di elettricità renderebbe l'operazione troppo complicata. Però tutti questi soggetti hanno già un canale aperto con il fisco, per il versamento dell'IVA e di altri tributi: basterebbe aggiungere una voce all'elenco.

Più complesso è il discorso che riguarda l'indirizzo, la gestione e il controllo delle attività dell'ente. La proposta di Rognoni appare prudente e ancora per qualche verso legata allo schema attuale. Nessun dubbio che l'indirizzo generale del servizio pubblico spetti al Parlamento e che la governance dell'azienda debba essere affidata a persone non legate alla politica. Ma il controllo affidato all'AGCOM potrebbe far rientrare dalla finestra quello che si è cacciato dalla porta, visto che l'autorità è di nomina politica. Un comitato di personalità indipendenti potrebbe essere più indicato, anche qui secondo il modello inglese dell'ultima Royal Charter.

Altri punti meritano un approfondimento. Si deve aprire una discussione seria perché l'esistenza di un progetto organico, sia pure limitato alle linee generali, è un primo passo importante per la futura riforma. Che si spera possa arrivare prima che sia troppo tardi, prima che il declino della Rai giunga a un punto di non ritorno.

Senza dimenticare che, in assenza di qualche correttivo da introdurre subito, l'attuale predominio televisivo del Governo in carica sarebbe intollerabile nella prossima (quanto prossima?) campagna elettorale.

P.S. Nelle scorse settimane si è molto discusso di un "atto di indirizzo", proposto dal senatore Alessio Butti, con nuove e più pesanti censure per l'informazione televisiva. Ne sono stati anche diffusi alcuni stralci (vedi Alcuni pezzi della proposta di "bavaglio 2001"). Ma, almeno fino a ieri, il documento non risultava depositato alla Commissione di vigilanza. Curioso, no?

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