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Televisione

Dagli "atti di indirizzo" alla missione del servizio pubblico

Una tripartizione dei poteri per liberare la Rai

Tutti ne parlano, nessuno l'ha vista: leggiamo la bozza della proposta Butti e quella della minoranza, firmata da Morri. Per scoprire alcune cose interessanti e concludere che la prima cosa da fare è abolire la Commissione di vigilanza.

7 marzo 1011

Eccola qui, la proposta di "atto di indirizzo" presentata dal senatore Alessio Butti (PdL) alla Commissione parlamentare per indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. E qui, non solo per completezza di informazione, la proposta della minoranza firmata dal senatore Fabrizio Morri (PD). Di questa non parla nessuno, forse perché non fa ridere come la prima.

In realtà c'è ben poco da ridere. Anche se è difficile restare seri di fronte alla la proposta di sperimentare "format di approfondimento giornalistico innovativi che prevedano anche la presenza in studio di due conduttori di diversa formazione culturale". Immaginate un programma condotto da un improbabile duo Michele Santoro-Giuliano Ferrara (a parte il fatto che, come ricordava sabato scorso Massimo Gramellini a Che tempo che fa, Ferrara è comunista per "formazione culturale").

In pagine di scontate affermazioni di principi e di luoghi comuni, con pochi giri di parole, la proposta di Butti vuole colpire le trasmissioni più invise al signore delle televisioni: Ballarò di Giovanni Floris e Annozero di Michele Santoro. Il riferimento alle serate di martedì e giovedì non lascia dubbi. L'estensore finge di non sapere che il successo dei due programmi non è dovuto alla loro collocazione nel palinsesto, ma all'efficacia delle formule e alla bravura dei conduttori.

Se Floris andasse in onda il lunedì e Santoro il venerdì, l'andamento settimanale degli ascolti rifletterebbe dopo poco tempo la nuova situazione. Ma se dovessero saltare una settimana sì e una no, il risultato sarebbe quello voluto: dimezzare l'ascolto, a prescindere dall'efficacia del programma "alternativo".

La levata di scudi contro il testo, con un'ondata di frizzi e lazzi che arriva a ipotizzare l'alternanza settimanale nei Palazzi più alti, porterà a una nuova bozza, apparentemente meno invasiva di questa. Ma in qualche modo l'attacco darà i suoi frutti, come la censura dei due anni fa (vedi Tempo di elezioni. Vietato informare e approfondire e Alla Rai continua la censura sull'informazione). E ci sarà qualcuno che si dichiarerà soddisfatto perché è stata fermata la proposta più distruttiva.

Anche il testo dell'opposizione, firmato da Morri, ha un nome nel mirino: dove dice che "Deve essere evitata la presenza nei programmi dei dirigenti dell’Azienda (membri del CdA, direttore generale, direttori di divisione, direttore di rete e di testata) se non per ragioni meramente istituzionali", il bersaglio è Minzolini con i suoi editoriali. Di contro Butti prevede che "Per quanto riguarda i notiziari, siano essi tele o radio giornali, deve essere preservata, come in qualsiasi prodotto editoriale, la possibilità per il direttore o per altri commentatori da lui indicati di esprimere liberamente opinioni personali, a patto che queste siano distinte dalle notizie".

Ma nella proposta dell'opposizione altre indicazioni hanno un valore più generale e non appaiono dirette contro qualcuno o qualche programma. E non si allontanano troppo dal compito di "indirizzo generale" che dovrebbe essere proprio della Commissione. Invece Butti straripa, fino a spiegare agli operatori come si devono fare i "controcampi".

Tutto questo durerà fino a quando il servizio pubblico radiotelevisivo non sarà libero da una gestione strettamente controllata dai partiti. Gestione che ha nella Commissione di vigilanza il suo centro nervoso. Serve una formula completamente diversa, che deve essere sostenuta da tre colonne portanti: le norme generali, la governance, il controllo.
A ben guardare, è il modello della tripartizione dei poteri che costituisce la base dei sistemi democratici: legislativo, esecutivo, giudiziario. Che funziona se i tre poteri sono separati e indipendenti.

Invece nell'ordinamento attuale la Commissione di indirizzo generale e vigilanza li comprende e li confonde. Nella prospettiva di una seria riforma del servizio pubblico deve essere abolita.

Le regole generali (potere legislativo) spettano al Parlamento. E' talmente ovvio che non serve dilungarsi sul punto.
La gestione o governance (potere esecutivo) deve essere nelle mani di un organismo non dipendente dai partiti. Il sistema inglese di una commissione   nominata dopo una consultazione pubblica potrebbe essere una soluzione. Sarebbe utile anche la "paratia stagna" costituita da una fondazione titolare delle azioni della holding (anche se l'esperienza delle fondazioni bancarie dimostra che il sistema non è al riparo dalle influenze politiche).
Il controllo del rispetto delle regole (potere giudiziario) deve essere nelle mani di una commissione a sua volta indipendente. E, anche qui, la soluzione inglese può essere un punto di partenza.

Di riforme, vere o finte, la Rai ne ha viste tante. Ed è logico che sia così, perché i mezzi di informazione devono riflettere i cambiamenti della società. Ma quelle che in sessant'anni hanno interessato il sistema sono sempre state riforme pensate nell'ottica del controllo politico. Oggi si deve imboccare una strada diversa, se si vuole che l'ente radiotelevisivo faccia "servizio pubblico" e non "servizio dei partiti". E non sempre a vantaggio di quelli che sono, di volta in volta, al governo del Paese. Come si è visto nei due anni dell'ultimo governo Prodi.

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