Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013

Televisione

Regolamento della Commissione di vigilanza sulla televisione*

Tempo di elezioni. Vietato informare e approfondire

Il regolamento sulla "par condicio" varato il 9 febbraio dalla Commissione parlamentare mette il bavaglio ai programmi di approfondimento. Un'imbarazzata lettera del presidente dell'AGCOM a Zavoli: rischio di ricorsi amministrativi.

15 febbraio 2010

Dettagliato, minuzioso, pedante, a tratti maniacale. Il regolamento emanato dalla "Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi" è un capolavoro di ipocrisia normativa. Si presenta come pilastro della cosiddetta par condicio nei programmi televisivi durante la campagna elettorale. Invece è il contrario. E' l'ennesimo strumento per intontire sempre più i telecittadini italiani, cancellando proprio le trasmissioni che lasciano qualche spazio alla comprensione della politica: i programmi "di approfondimento", che forse non a caso riscuotono un interesse crescente nel pubblico.
Il presidente della Rai, il buon Paolo Garimberti, si è precipitato dal suo datore di lavoro per protestare. Non ci lasciate fare il nostro mestiere, ha detto, e ci togliete anche un mucchio di soldi, perché le trasmissioni che volete cancellare portano molta pubblicità, la comunicazione politica no.

Top

Tanto per incominciare, con il regolamento in questione la Commissione ha travalicato il suo compito. Che è, come dice la sua denominazione, di "indirizzo generale", non di impartire dettagliate istruzioni per gli addetti ai lavori. Istruzioni che, fra l'altro, non servono a nulla. Come ben sa qualsiasi meccanico della comunicazione, è facile dare lo stesso identico spazio a due avversari, favorendone uno a discapito dell'altro. Basta inquadrare un po' dal basso un signore di bassa statura e dall'alto uno spilungone, scegliendo i momenti giusti, per stravolgere il risultato: il primo diventa un eroe, il secondo una mezza calzetta.

Ancora di più si può fare con la scelta dei discorsi, delle dichiarazioni, o affidando i messaggi alla viva voce del personaggio o al commento fuori campo del cronista. La par condicio non è solo un problema di cronometro (qualsiasi cosa voglia dire questa espressione latina, rubata, guarda il caso, al diritto fallimentare).  Questi "trucchi", ripetuti con insistenza, si insinuano nella memoria degli spettatori inconsapevoli.

Ma vediamo più da vicino l'oggetto delle polemiche di questi giorni. Che, fra l'altro, è di dimensioni inusitate, come si vede scorrendo l'elenco dei provvedimenti emanati dalla stessa Commissione per questioni simili. Si incomincia con disposizioni che riguardano l'intera programmazione del servizio pubblico (i neretti sono miei):

Art. 2 (Tipologia della programmazione RAI in periodo elettorale)
1. Nel periodo di vigenza del presente regolamento, la programmazione radiotelevisiva nazionale della RAI ha luogo esclusivamente nelle forme e con le modalità indicate di seguito:
a) la comunicazione politica, di cui all'articolo 4, comma 1, della legge 22 febbraio 2000, n. 28, può effettuarsi mediante forme di contraddittorio, interviste ed ogni altra forma che consenta il raffronto in condizioni di parità tra i soggetti politici aventi diritto ai sensi dell'articolo 3. Essa si realizza mediante le Tribune elettorali e politiche disposte dalla Commissione, di cui all'articolo 9 e 10 del presente regolamento, e con le eventuali ulteriori trasmissioni televisive e radiofoniche autonomamente disposte dalla RAI, di cui agli articoli 3 e 4;
b) ai sensi dell'articolo 4, comma 3, della legge 22 febbraio 2000, n. 28, sono previsti messaggi politici autogestiti, realizzati con le modalità di cui all'articolo 5.
c) sono programmi di informazione i telegiornali, i giornali radio, i notiziari, i relativi approfondimenti e ogni altro programma di contenuto informativo a rilevante presentazione giornalistica, caratterizzati dalla correlazione ai temi dell’attualità e della cronaca, purché la loro responsabilità sia ricondotta a quella di specifiche testate giornalistiche registrate ai sensi dell'articolo 10, comma 1, della legge 6 agosto 1990, n. 223. Essi sono più specificamente disciplinati dal successivo articolo 6;
d) in tutte le altre trasmissioni della programmazione nazionale della RAI, nonché della programmazione regionale nelle regioni interessate dalla consultazione elettorale, è vietata, a qualsiasi titolo, la presenza di candidati o di esponenti politici e non possono essere trattati temi di evidente rilevanza politica ed elettorale, ovvero che riguardino vicende o fatti personali di personaggi politici.
2. Le disposizioni di cui alle lettere a), b) e c) del comma precedente si applicano altresì alla programmazione regionale della RAI nelle Regioni in cui si voti per l'elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale, ovvero per l'elezione del Presidente della Provincia e del Consiglio provinciale ovvero per l'elezione del Sindaco e del Consiglio comunale in comuni che siano capoluogo di provincia
.

Il concetto chiave è nella differenza tra "informazione" e "comunicazione politica". Non è un'invenzione della Commissione, è nella legge 28/2000. Che rivela, sottinteso desolante, che la comunicazione politica non è informazione. Si aggiunge un dettaglio essenziale, introdotto dal regolamento: è informazione solo quella "ricondotta a quella di specifiche testate giornalistiche". Dunque Annozero, Ballarò, Porta a porta e altre non sono "informazione", perché non sono testate giornalistiche registrate. Sono "pollai", come ha detto il Presidente del consiglio. E i reportage che vediamo nelle trasmissioni di Santoro, Gabanelli, Iacona, non sono giornalismo, non sono informazione: si tratta forse di fiction?
Andiamo avanti:

Art. 3 (Trasmissioni di comunicazione politica a diffusione nazionale autonomamente disposte dalla RAI)
1. Nel periodo di vigenza del presente regolamento la RAI programma trasmissioni di comunicazione politica a diffusione nazionale. Per comunicazione politica radiotelevisiva, ai fini del presente regolamento attuativo, si intende la diffusione sui mezzi radiotelevisivi di programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche.

Così sappiamo anche esattamente che cos'è la "comunicazione politica radiotelevisiva", secondo la Commissione. Ma l'informazione, che fine ha fatto l'informazione, compresa quella che viene spacciata come tale? Lo capiamo più avanti:

Art. 6 (Informazione)
1. Nel periodo di vigenza del presente regolamento, i notiziari diffusi dalla RAI ed i relativi programmi di approfondimento di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), si conformano con particolare rigore ai principi di tutela del pluralismo, dell'imparzialità, dell'indipendenza, della obiettività e della apertura alle diverse forze politiche, nonché, al fine di garantire l’osservanza dei predetti principi, allo specifico criterio della parità di trattamento tra i soggetti e le diverse forze politiche individuate, nel periodo compreso tra lo spirare del termine per la presentazione delle candidature e la mezzanotte del secondo giorno precedente la data delle elezioni, ai sensi dell’articolo 3, comma 5, del presente regolamento
2. I direttori responsabili dei programmi di cui al presente articolo, nonché i loro conduttori e registi, devono assicurare in maniera particolarmente rigorosa condizioni oggettive di parità di trattamento tra tutti i soggetti di cui all’articolo 3, comma 5, del presente regolamento, fondate sui dati del monitoraggio del pluralismo, al fine di consentire l’esposizione di opinioni e posizioni politiche, e devono assicurare ogni cautela atta ad evitare che si determinino situazioni di vantaggio per determinate forze politiche o determinati competitori elettorali
. Eccetera eccetera.

La solita aria fritta. Per capire la sostanza del provvedimento dobbiamo tornare indietro, all'ultima parte dell'art. 3:

9. Successivamente al decorrere dell’ultimo termine per la presentazione delle candidature, le Tribune politiche sono collocate negli spazi radiotelevisivi che ospitano le trasmissioni di approfondimento informativo più seguite, anche in sostituzione delle stesse, o in spazi di analogo ascolto.
11. La responsabilità delle trasmissioni di cui al presente articolo deve essere ricondotta a quella di specifiche testate giornalistiche registrate ai sensi dell'articolo 10, comma 1, della legge 6 agosto 1990, n. 223
.

Per chi non avesse capito: le tribune politiche devono andare in onda al posto di Annozero e delle altre "trasmissioni di approfondimento più seguite". Oppure queste si devono trasformare in tribune politiche, sotto la responsabilità di un direttore di testata. Minzolini, per esempio, che con il suo TG1 e i suoi editoriali ha raggiunto un livello di faziosità mai visto prima. 

Possiamo chiamarla "censura"? Eh, no, c'è l'articolo 21 della Costituzione. Anche "bavaglio" non sta bene: in Italia c'è la libertà di espressione. Forse la definizione corretta è "commissariamento" del servizio pubblico da parte della maggioranza parlamentare.
Il servizio pubblico costituisce quasi la metà dell'informazione televisiva in Italia. Per il resto si devono aspettare le indicazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che deve decidere entro il 28 di questo mese.

Ma l'Autorità è in grande imbarazzo. Il presidente Calabrò ha scritto una lettera al presidente della Commissione Zavoli, nella quale si prospetta un dilemma: o si adottano, come vuole la prassi, disposizioni conformi a quelle approvate dalla Commissione "esponendoci così a ricorsi presso il giudice amministrativo che desterebbero non poca preoccupazione", oppure si disciplinano diversamente i programmi di informazione delle emittenti televisive private "producendo così una distonia".

L'obiettivo di chi ha redatto questo regolamento è abbastanza chiaro: oltre a commissariare la Rai per questa tornata di elezioni, si vuole mettere in discussione la legge sulla "par condicio" del 2000. Una legge tutt'altro che efficace, varata come unico rimedio possibile contro lo strapotere mediatico del signore delle televisioni. Che ha ha sempre tuonato, anche da capo del Governo, che deve essere abolita.
E forse non sarebbe un male. Ma quello che occorre veramente è la fine dell'anomalia italiana. Fino a quel momento la legge sulla par condicio è il male minore.

* Vedi anche Il regolamento che ho proposto e fatto approvare di Marco Beltrandi

Per intervenire su questo argomento scrivi a

Top - Indice della sezione - Home

© Manlio Cammarata 2010

Informazioni di legge