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Televisione

Tra i giochi della politica e l'informazione che non c'è 

La Rai aspetta un presidente. Chi lo sceglie?

Nel 2003 la rinuncia all'incarico da parte di Paolo Mieli. Nel 2004 le dimissioni di Lucia Annunziata. Pochi giorni fa il rifiuto di Ferruccio De Bortoli. Perché è così difficile fare il presidente della Rai?  
23 marzo 2009. Nella settimana che inizia l'opposizione dovrebbe indicare un nuovo nome per la carica di presidente della Rai. Nessuna regola lo impone: è solo una consuetudine parlamentare. Il presidente dell'emittenza pubblica, si dice, deve essere un nome "di garanzia". Un contrappeso più di forma che di sostanza, poiché che la composizione del consiglio di amministrazione rispecchia la maggioranza parlamentare del momento. La proposta sarà accettata o respinta dal Presidente del consiglio dei ministri. Negli ultimi giorni Berlusconi ha bocciato sia la conferma di Claudio Petruccioli sia la candidatura di Angelo Guglielmi, un esperto di altissimo livello sul cui nome c'era già un'intesa tra i due poli.

Un momento: chi dà a Silvio Berlusconi il potere di veto sul nome del candidato alla presidenza della Rai? Nessuno. Se lo attribuisce da sé. Ma l'aspetto curioso è che lo stesso Silvio Berlusconi, non un suo omonimo, è anche il padrone dell'azienda concorrente Mediaset. E' come se il proprietario di una casa automobilistica europea, poniamo la Volkswagen, si opponesse alla nomina di un presidente del CDA della Fiat. Un'ipotesi inimmaginabile, ma in Italia è la realtà.
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Però, anche se il proprietario dell'emittenza privata si astenesse da intrusioni nella governance della concorrenza, resterebbe il fatto che come presidente del consiglio non è in alcun modo legittimato a intervenire sul sistema televisivo pubblico. Secondo il testo unico della radiotelevisione (figlio della legge Gasparri del 2004), il nome del presidente dell'azienda deve essere indicato dall'azionista di maggioranza e approvato dalla commissione parlamentare di vigilanza, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti. L'azionista in questione è il Ministero del tesoro.

Un aspetto singolare di questa vicenda è il totale silenzio dell'informazione sull'anomalia degli interventi del capo del governo. Si dà conto e si discute dei nomi, delle polemiche, delle manovre politiche. Ma si tace della gravità della situazione dal punto di vista istituzionale. Come si tace, o si parla a voce molto bassa, degli altri problemi che riguardano l'emittenza televisiva nel nostro paese.

Il sistema radiotelevisivo italiano è impantanato in una situazione che sembra senza via di uscita. La Rai è bloccata da nove mesi nell'attesa di un consiglio di amministrazione e di un presidente che rimettano in moto quella che rimane la più grande impresa italiana nel campo dell'informazione e della cultura.
Nell'etere regna l'illegalità: c'è Europa 7 che non può trasmettere, pur avendo una regolare concessione per tutto il territorio nazionale. Le sue frequenze sono occupate da Rete 4, che la concessione non ce l'ha, ma continua a operare sulla base di provvedimenti "transitori", giudicati illegittimi dalla Corte costituzionale e dalla Corte di giustizia europea.

Anche il Consiglio di Stato, nella sua sentenza n. 242 del 20 gennaio di quest'anno, ha scritto: "...dal luglio del 2003, o meglio dalla fine del 2003 tenuto conto dei tempi tecnici ipotizzabili per attuare la normativa di recepimento delle direttive, fattori normativi invocati dalle amministrazioni (D.L. n. 352/03 e la legge n. 112/04) non possono essere considerati insuperabili, dovendo (e avendo dovuto) le amministrazioni disapplicarli, se quella era l'unica via per attribuire a centro Europa 7 le frequenze".

Significa che il Ministero delle comunicazioni (leggi: il Governo) avrebbe dovuto "disapplicare" le norme che consentivano a Rete 4 di continuare a trasmettere, per assegnare le frequenze a Europa 7. In sostanza Rete 4 avrebbe dovuto essere "spenta" sull'analogico terrestre già alla fine del 2003. Ma allora, come oggi, il capo del governo che avrebbe dovuto staccare la spina alla televisione "eccedente" era, ed è, il proprietario della stessa emittente.
Ma nulla è stato fatto nemmeno nel biennio del centro-sinistra, quando il governo Prodi avrebbe dovuto dare immediata esecuzione alla sentenza europea.

Questa è l'anomalia italiana.

Altri problemi complicano il quadro. Mentre procede (con qualche difficoltà) il passaggio al digitale terrestre, Rai, Mediaset e La7 si preparano a lanciare una nuova piattaforma satellitare in concorrenza con l'attuale monopolista Sky. Si chiamerà "Tivù Sat" e sarà gratuita. Si profila un periodo di confusione per i telespettatori. Da una parte sono costretti a cambiare i televisori o acquistare i decoder per il digitale terrestre. Dall'altra non è chiaro se i milioni di utenti che hanno il decoder "blindato" di Sky potranno usarlo anche per la nuova piattaforma gratuita o dovranno comperarne un altro. 

L'anomalia continua.

Ultima ora. Ieri sera la trasmissione Report su RaiTre ha trattato la vicenda di Europa 7 con un eccellente reportage di Bernardo Iovene. L'intervista a un arrabbiatissimo Fedele Confalonieri è un pezzo di grande televisione. Per chi volesse saperne di più, alla dettagliata ricostruzione della sequela di leggi e sentenze che hanno segnato la decennale vicenda della "TV che non c'è" ho dedicato un capitolo del mio libro "L'anomalia" di imminente pubblicazione.

Per approfondire alcuni degli aspetti toccati in questo articolo:
Europa7: un milione, una frequenza, una beffa - 22.01.09
La lunga storia di Europa 7 - 20.02.08
Sky Italia condannata dai giudici di pace - 24.07.06
Decoder unico: lo strumento  per la "convergenza" dei media - 06.07.06
La Rai non sarà la BBC, ma si  deve tentare - 05.06.06
Corte di giustizia UE - Sentenza del 31 gennaio 2008

 

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