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Sistema informazione

Troppe condanne per l'informazione. Soprattutto se è on line

La libertà di stampa tra "classifiche" e fatti

Un'altra condanna a cancellare un'informazione on line. Come se fosse possibile eliminare un fatto dalla storia e dalla memoria. Il risultato finale è che diventa impossibile pubblicare anche la verità. Insomma, se non è censura...

21.01.13

In Italia l'informazione è libera.
In Italia l'informazione è libera?

La prima proposizione è vera: l'articolo 21 della Costituzione lo afferma con certezza.
La seconda si conclude con un interrogativo, perché nei fatti sorgono molti dubbi sulla realizzazione del principio costituzionale. Basta leggere le "classifiche" che diversi organismi internazionali stilano ogni anno per misurare in qualche modo il grado di libertà dell'informazione nel mondo: nell'edizione 2011-2012 di Reporter senza frontiere siamo al sessantunesimo posto. E in forte peggioramento rispetto all'anno precedente. Ma le statistiche, come tutti sanno, sono la scienza del mezzo pollo a testa.

E' meglio osservare i fatti. L'ultimo di questi è la seconda "sentenza di Ortona": Alessandro Biancardi, direttore di un giornale on line, è stato condannato in sede di civile a  cancellare, ovvero "dimenticare", un fatto vero e accertato. Sul punto si veda il commento di Andrea Monti In nome della "privacy" cancellata la storia.
La condanna è un capitolo dell'annosa offensiva contro la libertà del Web, in questo caso operata sotto il pretesto di un presunto "diritto all'oblio", che non esiste nell'ordinamento. Avrebbe mai un giudice ordinato di strappare le pagine di tutte le copie di un giornale di carta?

Con una precedente sentenza dello stesso tribunale, allo stesso Biancardi era stato ordinato di cancellare un articolo in cui si dava conto, con correttezza, degli sviluppi di una vicenda giudiziaria. Anche questa sentenza applicava a modo suo la normativa sulla protezione dei dati personali, facendola prevalere sulla libertà di stampa costituzionalmente garantita (vedi Signor Garante, sono Lucio Sergio Catilina...).

In tempi molto recenti un altro fatto ha richiamato il problema della libertà dell'informazione nel nostro Paese: la vergognosa commedia che si è recitata nel Parlamento intorno alla "legge sulla diffamazione" (vedi Diffamazione: il DDL muore, la vergogna resta). In questo caso la politica italiana ha dato il peggio di sé: con la scusa di evitare il carcere ai giornalisti accusati di diffamazione, si è tentato di introdurre norme ancora più repressive. Per fortuna il disegno di legge è finito su un binario morto.

Se non basta, riflettiamo su un altro fatto, di ordine ancora più generale: l'Italia è l'unico paese democratico in cui la professione di giornalista non è libera. Qui commette un reato chi svolga questo lavoro, o si qualifichi come giornalista, senza avere la tessera rilasciata da un ente statale. Inventato dalla dittatura fascista e assai poco cambiato da allora (si veda il confronto tra le norme di allora e quelle di oggi).

Una norma obsoleta, inapplicata? No, come mostra il caso di Francesco Vanin, imprenditore friulano titolare di una web-tv, denunciato perché svolgeva "attività giornalistica non occasionale" senza essere iscritto all'Ordine dei giornalisti. Denuncia sporta proprio dall'Ordine e così bislacca che anche il pubblico ministero aveva chiesto l'assoluzione.

Assolto anche Carlo Ruta, ma in Cassazione e con una sentenza non del tutto limpida. Era stato condannato in primo e secondo grado per "stampa clandestina" per un blog - firmato con nome e cognome, quindi tutt'altro che clandestino - in cui si parlava di mafia.

Ora mettiamo insieme la condanna di Alessandro Biancardi da una parte e le assoluzioni di Carlo Ruta e Francesco Vanin dall'altra. Aggiungiamo la condanna al carcere di Alessandro Sallusti, che ha commesso il reato di diffamazione su un giornale di carta e non su un sito internet. Il quadro può sembrare contraddittorio. Ma queste e altre vicende mostrano come che i giornalisti italiani lavorino sotto la minaccia costante di azioni giudiziarie. Una minaccia che limita in misura inaccettabile la loro libertà di informare e di commentare.

A volte queste azioni sono giustificate (il caso Sallusti), ma hanno esiti inaccettabili. A volte sono basate sul nulla, come nei casi di Ruta e di Vanin. Ma il quadro generale che ne risulta dimostra che sono giustificate le posizioni vergognose che il nostro Paese occupa nelle pur imprecise classifiche della libertà di stampa.

L'Ordine dei giornalisti non ha nulla da dire su questo argomento?

Post scriptum. E' entrata in vigore la legge sull'equo compenso ai giornalisti indipendenti. Purché iscritti all'Ordine. Vedi Equo compenso, una legge contro la Costituzione?

Per intervenire su questo argomento scrivi a

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