La scala della profondità di campo su un obiettivo russo Jupiter 85mm f/2 (anni '70), montato su una Leica d'anteguerra. 
Qui si vede che con la messa a fuoco a 5 metri, il campo nitido a f/11 va da 4 a 6 metri circa. Indicazioni attendibili, per fortuna, perché non c'è modo di verificare il risultato prima dello sviluppo delle fotografie.

E se la profondità di campo fosse un'illusione ottica?

Lezioni di fotografia  N. 6 – 10 aprile 2019 Precedente  Successiva
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La profondità di campo è il primo argomento un po' complicato che deve affrontare il fotografo principiante. Il quale impara presto che la profondità di campo è il parametro che determina la riproduzione nitida di oggetti più vicini e più lontani del punto di messa a fuoco. E che la profondità di campo aumenta chiudendo il diaframma e diminuisce con l'aumento della focale dell'obiettivo: con i grandangolari è facile avere tutto a fuoco, con i teleobiettivi è un problema.

Tutto questo è corretto, ma non basta.
Se cerchiamo di capire meglio che cosa è e come funziona la profondità di campo, vediamo che la faccenda è complessa. Ma è importante, perché la distinzione tra i piani dell'immagine, resa evidente dalla sfocatura, è un elemento significativo per la lettura e la comprensione del contenuto di una fotografia o di una scena video.
In sostanza, la relazione tra elementi a fuoco ed elementi sfuocati è spesso la chiave per capire quello che il fotografo vuole comunicare con un'immagine

La profondità di campo non è un valore definito, come la focale dell'obiettivo o il valore del diaframma e del tempo di posa, ma deriva dalla combinazione di questi tre fattori, ai quali se ne aggiungono due: l'effettiva nitidezza dell'immagine registrata (legata anche alle dimensioni del sensore) e, soprattutto, le dimensioni dell'immagine finale e la distanza dalla quale viene osservata.

Ci sono almeno cinque aspetti da considerare. Vediamoli uno per uno.

Tutto a fuoco? Sembra di sì, a prima vista. Ma con immagini così piccole è difficile distinguere i particolari nitidi da quelli sfuocati.
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1. La messa a fuoco

Il concetto di messa a fuoco è chiaro a tutti: c'è un oggetto, c'è un obiettivo (al limite una semplice lente positiva, come una lente di ingrandimento) e c'è un'immagine. Questa si forma nitida sul piano focale. La distanza del piano focale dal centro ottico dell'obiettivo è data dalla "potenza" dell'obiettivo stesso, cioè dalle diottrie della lente o del sistema di lenti. La distanza tra il centro ottico del sistema in posizione di infinito e il piano focale costituisce la lunghezza focale dell'obiettivo stesso. Se l'oggetto è più vicino, il piano focale è più lontano dal centro ottico, secondo la formula dei punti coniugati, che qui ci possiamo risparmiare.

L'aspetto essenziale, illustrato nel disegno qui sopra, è che l'immagine che si forma al di qua e al di là del piano focale (in pratica: del sensore) non è nitida. Appare confusa, appunto "fuori fuoco", sfuocata. Un singolo "punto", quando è sfuocato appare come un cerchio sfumato, più grande dell'immagine nitida  dello stesso punto sul piano focale.

Un dettaglio della foto precedente, ingrandito al 100%, rivela che solo la seconda colonna è a fuoco. Pochi centimetri più vicino e più lontano si nota già una certa sfocatura. 
A volte anche con immagini di piccole dimensioni si possono vedere gli effetti della differente profondità di campo, legata alla lunghezza focale dell'obiettivo. La foto sopra è ripresa col grandangolare: tutto è a fuoco, i piani sono compressi.
Sotto, la stessa inquadratura scattata da una maggiore distanza con un medio-tele: lo stacco dei piani è evidente e la foto è molto più efficace.

2. L'angolo di visuale

Ora dobbiamo introdurre un altro elemento essenziale: l'angolo di visuale, illustrato nel disegno qui a destra.
I nostri occhi "misurano" gli oggetti valutando l'angolo entro il quale sono visti (angolo visuale), in funzione della distanza (elaborata sulla base della convergenza delle pupille). Raddoppiando la distanza, lo stesso oggetto appare sotto un angolo dimezzato (confronta A e B). Raddoppiando le dimensioni dell'oggetto, raddoppia l'angolo (confronta B e C).

Se l'oggetto è molto piccolo, anche l'angolo di visuale diventa minimo, fino ad arrivare al punto in cui i nostri occhi non riescono a distinguere (risolvere, nel gergo tecnico) due oggetti molto piccoli e molto vicini. Per esempio, due lineette nere su fondo bianco. Questo è il potere risolvente della vista umana, molto più basso di quello della maggior parte degli obiettivi fotografici: questi risolvono, sul piano focale, da 50 a 100 linee per millimetro (più o meno), mentre il nostro occhio  ha una risoluzione sul piano focale – la rétina – di circa 10 linee/millimetro, alla distanza di circa 25 centimetri, cioè la normale distanza di lettura. Per chi ha una vista perfetta!

3. Il cerchio di confusione

Il cerchio (o circolo, o disco) di confusione è il punto intorno al quale ruotano tutti i ragionamenti sulla messa a fuoco e sulla profondità di campo. E non solo. Per capire di che si tratta basta una semplice prova.
Guardiamo l'immagine qui sotto, un semplice cerchietto nero su fondo bianco.

Ora allontaniamoci dallo schermo. Il cerchietto ci appare più piccolo. Allontaniamoci di più, sempre di più: il cerchietto diventa sempre più piccolo, fino ad apparire un puntino nero, così piccolo che non si riesce a individuare il suo diametro.

Ecco: abbiamo raggiunto la misura del cerchio di confusione, la misura in cui un cerchio è così piccolo da essere visto come un punto. L'aspetto essenziale è che questa misura viene non viene definita dal diametro del cerchio stesso, ma dall'angolo visuale (vedi il punto 2) sotto il quale è osservato.
E' un angolo piccolissimo, che per di più è legato alla percezione di ciascun osservatore e alla sua acutezza visiva. Per questo motivo i fabbricanti di ottiche definiscono la scala della profondità di campo – quando c'è – secondo un valore convenzionale, che in qualche caso può rivelarsi impreciso.

Ma noi finalmente abbiamo capito che cosa significa che un'immagine – o un particolare un'immagine – appare a fuoco: il dettaglio è tale da approssimare il cerchio di confusione.

Mettere a fuoco lo sfondo (sopra) o le stalattiti di ghiaccio in primo piano (sotto)? Il significato di una fotografia dipende sempre da una scelta del fotografo. 
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4. Il ruolo del diaframma

Il diaframma, come sappiamo, è quel meccanismo che aumenta o diminuisce il diametro del "buco" attraverso il quale passano i raggi luminosi. Perché la profondità di campo aumenta  con il "buco" più piccolo?
Per due motivi: il primo è che il cono di luce che raggiunge il piano focale è più "concentrato"; il secondo è che, escludendo progressivamente le zone periferiche dell'ottica, diminuiscono le aberrazioni ottiche (che sono più forti quanto più i raggi luminosi sono obliqui rispetto al piano focale). I due effetti combinati riducono il diametro del cerchio fuori fuoco, approssimandolo progressivamente a quello del cerchio di confusione.

5. Il ruolo della lunghezza focale e dell'ingrandimento

Altra domanda: perché con i grandangolari la profondità di campo è più estesa, mentre con i teleobiettivi è ridotta? Per chi è arrivato fino a questo punto la risposta è facile: poiché l'impressione di nitidezza è legata all'ingrandimento dell'immagine, con le focali più corte i particolari sono più piccoli e quindi approssimano di più il cerchio di confusione; il contrario accade con i teleobiettivi, che ingrandiscono il soggetto e quindi rendono più evidente lo sfuocato.

Per definire la profondità di campo è necessario scattare "a priorità dei diaframmi" e controllare l'effetto con il comando manuale dell'apertura.
Qui vediamo come l'automatismo programmato è stato così "intelligente" da mettere a fuoco le scritte e sfocare il mare, che invece doveva apparire nitido.
Una foto in dimensioni minime e, sotto, un suo ingrandimento: quanto basta a far percepire il fondo sfocato e a valorizzare il soggetto. Effetto della focale più lunga della foto a destra, dove i rami a fuoco sullo sfondo disturbano il primo piano.

Ma c'è un ultimo punto, quasi il più importante. Nella stampa o sullo schermo di un computer o di un televisore l'immagine può essere ingrandita anche di molte volte e i particolari più piccoli e i contorni possono superare le dimensioni critiche del cerchio di confusione. Di conseguenza ciò che appariva a fuoco in un ingrandimento modesto può rivelarsi sfuocato in un'immagine di grandi dimensioni.

Però le immagini piccole si guardano da vicino e quelle grandi, di solito, da lontano. Quindi, poiché le dimensioni del cerchio di confusione sono dovute all'angolo di visione, ecco che anche nell'immagine ingrandita vista da lontano la profondità di campo è percepita nella stessa misura di quella che si riscontra nella stessa immagine vista da vicino in dimensioni ridotte.

Lo dimostra l'esempio che chiude questa pagina: alla normale distanza di lettura la foto grande in basso a sinistra rivela la sfocatura dello sfondo e quasi fa uscire il gatto dallo schermo, a differenza di quella più piccola qui accanto.
Ma basta allontanarsi a un metro dallo schermo, o poco più, per perdere del tutto l'impressione di una "terza dimensione" della fotografia. Che manca anche quando si guarda da vicino la foto di destra, nella quale la maggiore profondità di campo di una focale più corta ha appiattito la scena.

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