Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013

Televisione

Ma per la legge Gasparri la Rai deve essere venduta ai privati

"Servizio pubblico", il significato di un'idea

Parte da "serviziopubblico.it" la nuova trasmissione indipendente di Michele Santoro. Che dice di voler fare la vera TV di servizio pubblico. Un'affermazione che deve aprire il dibattito sul futuro della Rai nell'era multimediale.

11.10.11

Il conto alla rovescia è partito : giovedì 3 novembre Michele Santoro sarà su tutti gli schermi. Non proprio tutti, in verità. Il nuovo programma sarà sulle frequenze di Sky (per chi paga, s'intende), sugli schermi dei PC connessi al web, su altri delle TV territoriali. Non su quelli della Rai, che lo ha buttato fuori.
Il sito web della trasmissione si chiama serviziopubblico.it. SERVIZIOPUBBLICO è il marchio che appare sui primi video messi in rete. Con un cane da guardia come simbolo dell'associazione che produce il programma.

Servizio pubblico? Michele Santoro continua a descriversi come un uomo Rai, uno che del servizio pubblico sente la missione. Ma non basta scriverlo sullo schermo per trasformare una trasmissione in un servizio reso alla collettività. Ci dobbiamo chiedere se un singolo programma, realizzato da privati cittadini, possa soddisfare i requisiti che dovrebbero distinguere un servizio pubblico da un'iniziativa privata. La quale, prima di tutto, deve avere anche un risvolto commerciale. Perché senza soldi non si può andare avanti.

E allora ecco l'idea di chiedere agli italiani un contributo volontario di 10 euro. Per molti, coi tempi che corrono, può essere un sacrificio. Ma l'idea è: "Se la finanzi, questa trasmissione è tua". Funzionerà?
Per dirlo dobbiamo aspettare una prima serie di puntate. Ma già dalla prima potremo capire il senso dell'iniziativa. Poi, se avrà successo, se riuscirà a vivere grazie (anche) al sostegno della gente, ci sarà un nuovo argomento nella discussione sul futuro dei servizi pubblici. Che non sono già più "radiotelevisivi", ma multimediali. O, come dice qualcuno, "crossmediali".

Non è una questione di poco conto. Se ne discute da sempre, da quando l'idea del servizio pubblico radiofonico è nata nel Regno Unito, soprattutto per opera di John Reith, primo direttore della British Broadcasting Corporation. La "mitica" BBC.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti e i compiti del servizio pubblico non sono più quelli codificati da Reith nella formula "Informare, educare, divertire". A livello europeo il servizio dei media pubblici è visto come "direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all'esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione" (Protocollo annesso al Trattato di Amsterdam, 1997).

La successiva elaborazione comunitaria ha ampliato e precisato questa prima formulazione. Ed è in corso una discussione approfondita sulla necessità di mantenere e potenziare i servizi di media pubblici, fra l'altro per realizzare tutti i programmi di valore informativo e culturale che i privati non hanno interesse a trasmettere (per un approfondimento, sul sito dell'associazione Infocivica si possono leggere i documenti del seminario del "Gruppo di Torino" del 19 settembre scorso I media di servizio pubblico nella società dell'informazione e della conoscenza).

In tutto questo lo slogan "Serviziopubblico" di Santoro sembra poca cosa. Ma può essere il punto di partenza per una discussione sul ruolo del servizio pubblico nell'Italia di domani. Perché nel 2012 si dovrà rinnovare il contratto di servizio tra viale Mazzini e il Ministero delle attività produttive, sulla base della legge Gasparri. Che, per chi non lo ricordasse, prevede la privatizzazione della Rai. Cioè i media pubblici in mano privata. Con vaghi compiti di servizio pubblico, che dovrebbero essere soddisfatti da soggetti che operano in un'ottica commerciale.

Ne riparleremo dopo il 3 novembre.

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