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                         Nella settimana appena trascorsa sono stati scritti altri due
                        capitoli significativi della lunga storia dell'anomalia italiana: giovedì
                        19 ad  Annozero, con Al Gore che parla della chiusura
                        del suo canale televisivo Current da parte di Sky
                        Italia; venerdì 20 l'invasione di campo del Presidente
                        del consiglio a TG unificati, in piena campagna
                        elettorale. 
                        Il clamore sollevato dal secondo episodio ha subito
                        spento l'interesse verso il primo, che invece merita
                        grande attenzione. Ne parliamo qui. 
                        In questa pagina invece ci occupiamo della clamorosa
                        violazione delle regole della cosiddetta par condicio,
                        compiuta dai telegiornali controllati direttamente o
                        indirettamente dal capo del governo. 
                        Nei fatti non c'è niente di nuovo. Cinque
                        telegiornali su otto, nell'insieme i più seguiti, oltre al
                        GR della Rai, hanno ospitato con grande
                        rilievo le cosiddette "interviste" al primo
                        candidato alle elezioni comunali di Milano, a dieci
                        giorni dal ballottaggio. "Cosiddette", perché
                        dell'intervista non hanno nulla: il giornalista fa
                        esattamente le domande che servono all'intervistato per
                        fare il suo comizio. Lasciamo stare i contenuti e i
                        toni, che qui non ci interessano. 
                        Solo TG3, RaiNews e TG La7 hanno rinunciato allo
                        "scoop". Su quelli che si sono piegati agli
                        ordini, e soprattutto sul solito
                        TG1 del solito Minzolini, si è scatenata la tempesta.
                        Ha protestato l'opposizione, come da copione. E'
                        intervenuto il presidente della
                        Rai Paolo Garimberti: "Un conto è dare una notizia
                        - ha detto Garimberti - e il primo commento del Presidente
                        del consiglio ai risultati delle amministrative
                        certamente lo era. Altro discorso è consentire che
                        questa notizia diventi poi una sorta di comizio, per
                        giunta senza un'adeguata compensazione con opinioni di
                        altri candidati. Questo - ed è ben noto - nessun
                        giornalista dovrebbe mai permetterlo, meno che mai i
                        giornalisti del servizio pubblico che devono sempre
                        avere chiara la missione fondamentale che è affidata
                        loro: informare e dare al cittadino la possibilità di
                        avere un panorama completo delle opinioni". 
                        Fine della reprimenda. Effetti: nessuno. Il fatto è
                        che ai direttori del servizio pubblico queste cose
                        andrebbero ricordate prima. Con l'avviso che chi sgarra
                        viene sospeso immediatamente e quindi, se del caso,
                        licenziato. Ma la legge sulla par condicio non lo
                        prevede. Nei fatti si rivela più dannosa che utile. 
                        Per ritornare alla cronaca, non si è registrata
                        alcuna presa di posizione da parte del nuovo direttore generale
                        Lorenza Lei. Ma, secondo indiscrezioni, sarebbe
                        "furente". Staremo a vedere. 
                        Chi invece sembra non aver capito bene è l'Autorità
                        per le garanzie nelle comunicazioni, l'organo incaricato
                        della sorveglianza sul rispetto delle regole: ha chiesto
                        "spiegazioni". 
                        Il punto è che la legge sulla cosiddetta par
                        condicio non funziona e non può funzionare. Deve
                        essere abolita e sostituita da un insieme di regole che:
                        a) stabiliscano criteri di  neutralità dell'informazione
                        televisiva pubblica, anche al di fuori dei periodi di campagna
                        elettorale e b) prevedano procedure rapide e sanzioni
                        efficaci, dissuasive. 
                        Oggi l'imposizione tardiva di interventi riparatori non
                        ripara nulla e le multe lasciano il tempo che
                        trovano. La sanzione più pesante, che consiste nella
                        sospensione della licenza dell'emittente, è di fatto inapplicabile. 
                        I direttori responsabili delle testate devono essere
                        "responsabili" di quello che va in onda. E
                        devono pagare violazioni pesanti
                        come quelle che abbiamo visto. Anche con la poltrona. 
                        Naturalmente le regole devono essere scritte in modo
                        tale che le sanzioni siano applicabili senza incertezze,
                        in modo di evitare lunghe cause davanti ai giudici del
                        lavoro, con esiti imprevedibili. 
                        Può sembrare semplice: regole certe, sanzioni
                        efficaci. Ma questo può succedere solo in un contesto
                        di piena legalità, con un Parlamento che possa
                        legiferare senza il condizionamento del conflitto di
                        interessi del capo della maggioranza e con un'Autorità
                        di reale indipendenza. E, soprattutto, con una quadro
                        normativo generale ben diverso dalla "legge
                        Gasparri" oggi in vigore. 
                        Un contesto che oggi non esiste. E' sempre l'anomalia italiana,
                        che continua negli anni.  
                        Tra una settimana, con l'esito del ballottaggio a
                        Milano, potremo capire se qualcosa si è inceppato nella
                        macchina del consenso: sembra che non funzioni più come
                        una volta. Ma in ogni caso la fine dell'anomalia non è
                        imminente. 
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