Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013

Televisione

Il contest contestato è il frutto di troppi problemi irrisolti

Frequenze, il pasticcio che fa tremare il Governo

Dietro le polemiche sull'assegnazione delle frequenze c'è un intreccio di questioni aperte da decenni. Tra il conflitto di interessi e la perdita di importanza delle reti terrestri di fronte ai nuovi media e alla TV via internet.

20.12.11

Concorso di bellezza o asta per l'assegnazione delle nuove frequenze della TV digitale terrestre? Una brutta gatta da pelare per il governo Monti, con pesanti risvolti economici e politici.
Ormai tutti sanno di che si tratta: ci sono da assegnare cinque multiplex (ciascuno dei quali può trasmettere da quattro a sei canali televisivi). Gratis, secondo i piani del precedente governo, o a pagamento, come molti ora vorrebbero.

Prima di affrontare la questione è necessario chiarire un aspetto importante. Le frequenze radioelettriche sono un bene comune, limitato e quindi prezioso. Esse non possono essere "vendute" dallo Stato, ma "concesse" per un certo numero di anni, a soggetti con determinati requisiti. In genere a titolo oneroso. Alla scadenza possono essere restituite alla Stato o rinnovate. In molti casi i soggetti che ne dispongono possono "rivenderle", cioè cedere ad altri i diritti di uso, in tutto o in parte.

Ma da dove vengono le frequenze di cui si parla? Perché si devono assegnare ora, quando la transizione al digitale terrestre si avvicina al completamento? Per capirlo dobbiamo fare diversi passi indietro.

Sul piano normativo tutto incomincia con la famigerata "legge Gasparri", la n. 112 del 2004. Essa determina criteri di assegnazione delle frequenze per il digitale terrestre, che favoriscono gli operatori esistenti e chiudono le porte a nuovi entranti. L'Europa se ne accorge e si arrabbia. Apre una procedura di infrazione. Si deve correre ai ripari.

Provvede l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che rivede i criteri di ripartizione dello spettro, sfruttando la tecnica SFN (Single Frequency Network). Così avanzano cinque frequenze, da assegnare gratis con il meccanismo del beauty contest, il "concorso di bellezza". Un concorso truccato, perché due dei concorrenti (Rai e Mediaset) lo hanno vinto in partenza, ex lege.

E' il succo della delibera N. 181/09/CONS. Con la quale, in sostanza, il governo Berlusconi assegna canali gratis alle emittenti di Berlusconi, oltre che alla Rai (per qualche dettaglio vedi TV digitali, grandi manovre in terra e in cielo).
Con una serie di provvedimenti seguiti alla delibera 181, il "concorso di bellezza" sarebbe vicino alla conclusione.

Ma ora il signore delle televisioni non è più capo del governo e della maggioranza parlamentare. Così qualcuno pensa che sia il caso di rivedere la questione e di indire un'asta, una gara a tutti gli effetti, ricavandone qualche miliardo per le malridotte casse dello Stato.
Naturalmente il signore delle televisioni non è contento di rinunciare al regalo che si era fatto da sé, con la scusa di attuare un decisione europea.

Naturalmente dice che non glie ne importa nulla, che l'eventuale gara andrebbe deserta. Cita la rinuncia di Sky a una fetta della torta per dimostrare lo scarso interesse della questione. Eccetera eccetera. Ma non ha del tutto torto, come vedremo tra poco.
La polemica raggiunge toni aspri, perché i quattro o cinque miliardi che si potrebbero (forse) ricavare dalla gara non sono uno scherzo. E perché il cambio di rotta sarebbe una sconfitta devastante per l'ex-maggioranza del signore delle televisioni.

Come andrà a finire? Sabato scorso, a Che tempo che fa, il ministro Passera ha "sibillinamente chiarito" la situazione. L'ossimoro è motivato dal contrasto tra l'opinione personale dello stesso ministro, favorevole alla gara, e la realtà dei fatti. Che da una parte sconta i problemi giuridici legati all'eventuale cambiamento del meccanismo di assegnazione. Dall'altra, forse, c'è il presunto patto segreto che molti hanno ipotizzato al tempo della nascita del nuovo governo: "Io vi do la fiducia e vi lascio lavorare, voi non mi toccate le televisioni".

Vero o no, questo un ministro non lo può dire. La sua reticenza è comprensibile. Di vero e sicuro c'è solo il caos politico e radioelettrico. Perché a ogni giorno che passa la questione delle frequenze si rivela più aggrovigliata. C'è il fatto che per una percentuale significativa di teleutenti il passaggio al digitale ha significato semplicemente la fine della televisione terrestre. I canali si sono moltiplicati, ma senza contenuti significativi: la maggior parte sono doppioni, o semplicemente inattivi.

Il digitale terrestre, al di là di forse difficilmente prevedibili difficoltà tecniche, sconta ancora il caos creato dall'inerzia della politica negli anni '70, quando le frequenze furono tutte accaparrate disordinatamente da molti imprenditori. In barba alle leggi vigenti all'epoca (poche e sbagliate).
Si sarebbe potuto mettere ordine con una normativa adeguata. Ma i soli provvedimenti, devastanti, furono i "decreti Berlusconi" di Bettino Craxi nel 1984-85. Che legalizzarono l'illegalità, stravolsero la Rai con una più articolata lottizzazione e posero le basi dello strapotere mediatico dell'imprenditore brianzolo.

Ora la situazione è così aggrovigliata da rendere problematica qualsiasi via d'uscita. Il caos delle frequenze digitali è la fotografia di quello nato negli anni '70 e '80 del secolo scorso, in seguito alla sciagurata decisione del 2001 di assegnare un multiplex digitale per ogni canale analogico.
Le nuove frequenze potrebbero interessare gli operatori commerciali, come Mediaset e Sky. O altri che potrebbero venire dall'estero. Ma la torta da spartire è quella che è: pochi imprenditori, probabilmente, sono disposti a investire grosse cifre per un mercato che difficilmente avrà grandi sviluppi.

Le frequenze già disponibili potrebbero soddisfare tutti se fossero suddivise con intelligenza, invece che accaparrate a vuoto. Anche considerando i tagli di quelle da 65 a 69, già stabiliti a favore degli operatori di telecomunicazioni, ce ne sarebbero abbastanza.

Ma il futuro è fatto di multimedialità, con televisione e servizi interattivi via internet su reti a banda larga, o via satellite. Le frequenze terrestri sono destinate a perdere pubblico e quindi valore.
Per quanto riguarda la Rai, i canali oggi attivi sono già troppi per le disastrate finanze dell'ente pubblico. Non si sa come riempirli.

Così si ritorna alla questione più importante: l'urgenza di riformare tutto il sistema dei media, e la Rai in particolare, in funzione di un quadro generale che si evolve a ritmi insostenibili, in un quadro normativo obsoleto. Oltre che squilibrato.
Questa è la vera sfida per il governo "tecnico": la fine della Repubblica fondata sulla televisione. Di Berlusconi.

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