Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013

Televisione

Penalizzato il servizio pubblico nel passaggio al digitale

Switch-on. E nel Lazio il caos e i canali fantasma

Rai Uno, Due e Tre non si ricevono in molte aree intorno a Roma. Confuse tra centinaia di emittenti comparse dal nulla, sono trasmesse "provvisoriamente" su un canale destinato a sparire. L'Autorità di garanzia apre lunghe istruttorie.

23 novembre 2009

Da una settimana Roma è "la prima capitale europea interamente digitale". Per la televisione, si intende. Lo affermano le nostre autorità cosiddette competenti. Però dimenticano di spiegare che non si tratta di un record, ma di un passaggio obbligato: lo switch-off simultaneo di tutte le emissioni analogiche è dovuto alla caotica occupazione delle frequenze che blocca l'etere italiano da più di trent'anni. Se ci fossero frequenze libere, il passaggio dall'analogico al digitale sarebbe progressivo e indolore.
La transizione doveva essere l'occasione per mettere ordine. Invece a Roma e dintorni è il caos. La sola cosa certa, verificata da tutti, è lo swich-off dell'analogico: i vecchi televisori non ricevono più nulla. I nuovi, e i set-top-box digitali, ricevono "di tutto e di più". Anche troppo: gli oltre 200 canali che si trovano a ogni nuova "risintonizzazione" sono una forzatura tecnica. Emittenti sconosciute compaiono all'improvviso, altre scompaiono. Molte non trasmettono, molte altre sono presenti contemporaneamente su frequenze diverse. Ma la questione più seria riguarda i primi tre canali della Rai.

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Rai Uno, Due e Tre sono trasmesse da un MUX sulla banda VHF, quella "storica" del primo canale. Una scelta incomprensibile, poiché la propagazione del segnale in questa banda è molto meno efficiente che nella banda UHF, utilizzata dalla maggior parte delle emittenti. Fino a una settimana fa, appena fuori Roma Rai Uno si riceveva male, o non si riceveva affatto, a causa dei rilievi che circondano la capitale. Ora negli stessi luoghi i tre canali "generalisti" del servizio pubblico non ci sono. E non è una questione di canalizzazione: anche impostando i decoder per la Germania, i canali in VHF del servizio pubblico non si ricevono. 

Ma, se ci si ricorda di "risintonizzare i decoder", come dice la pubblicità, i tre canali compaiono misteriosamente come "TEST Rai Uno", "TEST Rai Due" e "TEST Rai Tre", sia pure con interruzioni e disturbi. Che significa? La spiegazione è in una lettera della Rai agli antennisti del Lazio, secondo la quale "al fine di facilitare la ricezione dei canali generalisti Rai... per un periodo limitato (massimo due mesi) dall'impianto di Monte Mario non sarà acceso il Mux 4 (Ch 40), ma un Mux provvisorio, sul canale 25... Si fa presente che il Rai Tre, trasmesso sul Mux provvisorio, sarà privo di contenuti regionali".

Un colossale pasticcio. A parte il fatto che ora sul MUX provvisorio i notiziari regionali ci sono, sembra di capire che nel giro di due mesi le tre emittenti pubbliche potranno essere ricevute regolarmente sul canale 40, che appartiene alla banda UHF. Naturalmente dopo l'ennesima risintonizzazione dei ricevitori.
Resta il fatto che a quel punto, come ora, i primi tre canali del servizio pubblico saranno confusi tra centinaia di altri. Ancora una volta la Rai è penalizzata. Prima con la scomparsa di alcuni canali su Sky e i troppi "criptaggi" dei programmi superstiti, ora con i "canali fantasma" sul digitale terrestre, proprio nell'area più popolosa interessata alla transizione.

Se ne è accora persino la sonnolenta Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Un comunicato stampa del 19 novembre informa che è stata aperta un'istruttoria "sull'ordinamento automatico dei canali della TV digitale terrestre". Chissà se l'istruttoria prenderà in considerazione anche i problemi creati dalle emittenti fantasma: quelle interessate dallo switch-off, secondo i siti ufficiali, erano una ventina; ora sono più di duecento, solo nei canali trasmessi da Monte Mario. Non si capisce da dove spuntino tante nuove emittenti, che trasmettono anche otto canali su una sola frequenza, contro i quattro o cinque compatibili con una buona qualità. Viene il sospetto che sia in atto un'occupazione selvaggia delle frequenze come quella che iniziò alla metà degli anni '70.

In tutto questo resta il problema Tivù Sat, la piattaforma satellitare gratuita, varata con anni di ritardo, ufficialmente per coprire le zone non coperte dal digitale terrestre. Ma che, anche se si trovassero i decoder, comunque non renderebbe accessibili né l'informazione regionale dell'emittenza pubblica né le TV locali.
Ma anche Tivù Sat si rivela una piattaforma fantasma. Si è scelto di renderla ricevibile solo con appositi decoder, invece di distribuire una smart card compatibile con i ricevitori satellitari già in commercio e presenti in moltissime case. Perché? Problemi di "pirateria", con i canali gratuiti, non ce ne sono e quindi non servono pesanti misure di sicurezza.

Intanto si mette mano al contratto di servizio della Rai per il triennio 2010-2012. L'AGCOM ha approvato le "linee guida", contenute in un documento che tutti discutono, ma che nessuno ha finora pubblicato. A proposito di Tivù Sat, il presidente Calabrò, nella sua recentissima audizione alla Commissione di vigilanza, ha detto: "Le linee guida prevedono che l’intera programmazione della Rai, nella fase di passaggio dalle trasmissioni in tecnologia analogica a quella digitale, sia visibile su tutte le piattaforme tecnologiche, limitando al massimo il criptaggio delle trasmissioni di servizio pubblico diffuse in simulcast. E’ un aspetto che l’Autorità giudica di fondamentale importanza per l’utente ed in merito al quale non ha mancato di aprire apposita istruttoria, in occasione del lancio della piattaforma Tivùsat".

Aspettiamo dunque di vedere le conclusioni di questa istruttoria, sperando che i tempi non siano quelli biblici ai quali l'Autorità ci ha abituato. Per ora non possiamo sapere neanche su che cosa esattamente stia indagando, perché il provvedimento di avvio dell'istruttoria, che dovrebbe essere pubblico, non è disponibile sul sito istituzionale. C'è solo il solito comunicato stampa. Un segreto che si aggiunge ai tanti interrogativi sulle scelte e sul destino del servizio pubblico, pagato dai cittadini, ma controllato dal proprietario della televisione privata. 

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