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Internet e stampa

Come riconoscere l'informazione professionale on line?

di Rodolfo Falvo (Vice Direttore della Federazione Nazionale Stampa Italiana - FNSI)- 14.12.2000

Caro Cammarata,
la sua impostazione dei problemi mi trova personalmente molto d'accordo (vedi Stampa e Rete, il problema non è l'articolo 5, ndr). Osservo che la causa prima dei dilemmi sta nella mancanza di una definizione giuridica di "testata d'informazione giornalistica". Questa mancava e manca da prima del 1948... e non so se esista nel contesto giuridico di qualche altro Paese.
Mi pare di ricordare che in Francia, sino a qualche anno fa, il requisito per definire un prodotto d'informazione come un "giornale" era la presenza di almeno cinque giornalisti (come sa, in Francia non v'è distinzione tra professionisti e pubblicisti, ma vige una Commissione che assegna la tessera professionale sulla base di alcuni criteri fra cui il reddito prevalente).
Mi rendo conto che anche il pervenire a tale definizione di "testata d'informazione giornalistica" non è cosa semplice. Però è forse giunta l'ora di porre criteri discriminanti sui "prodotti", cosa che metterebbe in pace anche tutti coloro che, a torto!, vedono minacciata l'esistenza dei siti di ogni ordine, natura e qualità.

Riguardo al "bollino", esso è figlio di una idea nata in Germania (campagna Pressmark) in relazione anche alla tutela del diritto d'autore. Si può infatti negare che tanti siti para-informativi saccheggiano le fonti italiche e straniere (agenzie, giornali, foto, etc.) senza mai citarle? Un "uso secondo" assolutamente scorretto e generalizzato…
Il timore infine, ma so che anche su questo Lei è d'accordo, è che le regole del mercato valide nel mondo fisico, dal contesto "edicola" al "palinsesto radio e tv " (qualità, serietà, competenza ...) non valgano nel mare magnum e decontestualizzato di Internet e che, tra gossip e approssimazione, la buona informazione ne esca massacrata.
Il problema non è porre censure ma semplicemente dare, a chi lo desidera, la possibilità di caratterizzare il lavoro professionale laddove esso viene esercitato.

Sempre ragionando a titolo personale e senza impegnare gli Organismi della professione, sono portato ad introdurre un ulteriore elemento di riflessione, consapevole che il quadro potrebbe anche non semplificarsi.
Mi riferisco all'esistenza ed al ruolo della Registration Authority italiana. Esistenza e funzioni che, se andiamo bene ad analizzare le procedure attualmente vigenti, non possono essere tenute al di fuori dei
nostri pacati e, credo, sensati ragionamenti.

Il primo problema - come lei ha già scritto su InterLex - è la legittimazione giuridica di tale organismo. Una volta accertata tale legittimazione (sperando che la discussione parlamentare sul "DDL Passigli" faccia chiarezza su questo punto), le "lettere di responsabilità" previste dalla procedura contengono elementi di certezza giuridica su cui basare ulteriori chiarificazioni e regole? A prima vista mi sembrerebbe di sì, dal momento che coloro i quali intendono registrare i siti, sottoscrivono impegni inequivocabili fra i quali cito solo alcuni punti "chiave" (per le ditte, per i liberi professionisti e per le persone fisiche):

i) di essere a conoscenza della normativa italiana vigente in materia di diritto al nome e di tutela del diritto al nome di persone fisiche;
j) di accettare la giurisdizione italiana e le leggi dell'Ordinamento Statale Italiano;

Saranno anche testi "generici e generali" ma è indiscutibile che il richiedente si vincola al rispetto dell'intera normativa esistente, compresa – ovviamente- la legge sull'Ordine e tutto quanto vige per l'editoria e l'informazione.

Mi domando allora se sarebbe davvero improponibile e/o insensato pensare ad una estensione "inf" o "inf.it" per quanto concerne i siti "giornalistici e d'informazione" che desiderano essere riconosciuti immediatamente come tali, dando alcuni elementi probatori ai fini dell'ottenimento di tale estensione. Questo in piena libertà ed "autoassunzione" di responsabilità, che sono poi i criteri attualmente vigenti per la registrazione dei nomi a dominio (e, d'altra parte, già oggi un sito "edu" si distingue da un sito "com" e nessun operatore serio desidererebbe la confusione fra le estensioni).
Pensare cioè non ad una "patente rilasciata da...", ma ad una libera "autodichiarazione" di rispondenza a requisiti professionali (almeno un iscritto all'Albo?) che si aggiunga all'accettazione delle regole della "netiquette" e delle leggi della Repubblica. E di tale "autocertificazione" dovrebbe risultare traccia nella "home page" del sito, così come i giornali di carta portano la "gerenza": basterebbe una formula di poche parole e già non pochi siti lo fanno.

A me sembra una via che darebbe credibilità alla Rete, che ne rispetterebbe la specificità, che eviterebbe i rischi di accuse di "corporativismo", peraltro a mio giudizio immeritate, nei confronti della categoria.

Molti saluti cordiali
Rodolfo Falvo

 

 

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