Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013
Home Curriculum Blog Mappa del sito E-mail Storico

 

Internet e stampa

Quali regole per l'informazione in rete?

19.07.00

"Va affermandosi quindi una una definizione di testata giornalistica vincolata alla funzione e non al veicolo di diffusione o alla tecnologia implementata, fermo restando il problema di ancorare l'informazione off-line e on-line a maggiori certezze, quanto a finalità, professionalità e responsabilità".
Così si legge nella Relazione annuale dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, illustrata dal presidente Cheli lo scorso 13 luglio (clic qui per i passaggi che ci interessano). A parte qualche riserva sull'uso della lingua italiana, sono affermazioni a prima vista condivisibili, ma che in realtà richiamano un groviglio di problemi.

Mettendo insieme l'informazione off line e quella on line per quanto concerne "finalità, professionalità e responsabilità", l'Autorità fa giustizia della polemica sulle velleità di "controllo" dei contenuti informativi on line da parte dei giornalisti della carta stampata. Ma proprio i requisiti di "finalità, professionalità e responsabilità", certo richiamati non a caso da un fine giurista qual è Enzo Cheli, impongono una riflessione sull'assetto giuridico dell'informazione in Italia e sulle proposte oggi in discussione per adeguare un sistema disegnato più di cinquant'anni fa.

Come tutti sanno, la legge n. 47 dell'8 febbraio 1948 impone l'iscrizione di ogni quotidiano o periodico in un registro tenuto dal tribunale del luogo in cui la testata stessa è pubblicata. Condizione necessaria è la presenza di un "direttore responsabile", che deve essere un giornalista iscritto all'albo professionale. La mancata richiesta di iscrizione comporta una pena fino a due anni di reclusione per "stampa clandestina" (con tanti saluti all'articolo 21 della Costituzione).
Il regime sancito da questa legge si applica a tutto ciò che è "stampa o stampato": secondo le definizioni dell'articolo 1 sono "tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione". E' difficile far rientrare in questa definizione mezzi diversi, tanto che il legislatore ha dovuto estendere esplicitamente il regime della 47/48 alla radio e alla televisione con la legge 14 aprile 1975, n. 103 (per maggiori dettagli vedi L'informazione su Internet e le leggi sulla stampa).

Manca ancora un'estensione formale delle norme sulla stampa all'informazione telematica, ma la maggior parte dei tribunali ha aperto i propri registri alle pubblicazioni sull'internet con un'interpretazione basata sul buon senso e su qualche acrobazia giuridica. La strada è stata aperta nel 1997 dal tribunale di Roma proprio con l'ordinanza di iscrizione di InterLex, ma non tutti i problemi sono stati risolti, in particolare per quanto riguarda la responsabilità penale del direttore.

E' evidente che il regime della legge 47/48, anche esteso alla stampa on line, non è adeguato alla società dell'informazione e al concetto molto esteso di libertà di espressione che è stato determinato dalla diffusione dell'internet. Anche l'ordinamento della professione giornalistica, già discutibile in passato, non regge di fronte all'avanzata dei nuovi media.
La questione è all'ordine del giorno da alcuni anni e in Parlamento giacciono diversi disegni di legge, nessuno dei quali sembra cogliere la sostanza del problema, che è appunto quella della professionalità e della responsabilità di chi fa informazione, partendo dalla "finalità" della pubblicazione. In altri termini, è necessario distinguere chi pubblica qualcosa, come attività professionale, con la "finalità di informare", da chi manifesta il proprio pensiero o riferisce fatti in via occasionale o comunque non professionale.

Evidentemente in capo al primo, il professionista, si pongono doveri di correttezza e responsabilità che non possono essere attribuiti al secondo. Da qui la ratio della legge 47/48, che attribuisce al magistrato la verifica di alcuni requisiti, proprio in vista dell'applicazione della legge penale per reati che possono essere compiuti attraverso la stampa. Nello stesso tempo l'ordinamento offre alla stampa una particolare protezione, a garanzia del diritto-dovere di informazione e della libertà di espressione. 

Date queste premesse, il buon senso suggerisce una soluzione molto semplice: la registrazione dovrebbe essere un atto puramente volontario, da parte di chi intende fare informazione professionale e assumersi le relative responsabilità, ottenendo in cambio la protezione accordata dalla legge. Nulla dovrebbe essere imposto al giornalista occasionale, ferme restando le sanzioni civili e penali per eventuali atti illeciti.
In questo modo resterebbero le garanzie dell'informazione professionale - nel bene e nel male il "quarto potere" di ogni democrazia - e nello stesso tempo nulla minaccerebbe la libertà di espressione di ogni cittadino. Ma il buon senso, come tutti sanno, non è compreso tra le fonti del diritto.

Infatti ora in Italia abbiamo non uno, ma due obblighi di registrazione: oltre che nel registro del tribunale, le testate devono iscriversi in un altro elenco, che prima era di competenza del Garante dell'editoria e ora deve essere costituito dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Per la verità non tutte le pubblicazioni sono soggette a quest'obbligo, o meglio non lo erano, perché nel nuovo elenco dovrebbero essere iscritti tutti gli operatori della comunicazione. Ma qui sorge il problema che il presidente dell'Autorità espone con complicati giri di frasi: come distinguere tra le diverse categorie di operatori e quale valore dare all'iscrizione, visto che tutto il settore è in attesa di una nuova legge che ne definisca l'assetto generale?

La questione potrebbe complicarsi ancora di più se passasse una proposta contenuta nel disegno di legge del Governo (AC 6946), in discussione alla Camera  insieme ad altri alquanto eterogenei, dove si prevede che l'iscrizione nel registro dell'Autorità possa essere sostituiva di quella presso il tribunale. Un pasticcio tremendo, perché il registro di competenza dell'autorità giudiziaria ha una funzione di garanzia agli effetti penali che difficilmente potrebbe essere attribuita a un elenco tenuto da un'autorità amministrativa.
Tutto dipende, poi, dalla definizione e dalle distinzioni che si devono introdurre per distinguere prodotti editoriali diversi, come un giornale (a prescindere da mezzo con il quale è diffuso) e un CD-ROM o un libro, perché tutti dovrebbero finire nel registro dell'Autorità (vedi Editoria elettronica, un pasticcio legislativo).

In tutto questo resta aperto il problema della qualità, perché tutti constatiamo ogni giorno quanto l'informazione professionale sia superficiale, frettolosa, imprecisa. E le magagne di giornali e televisioni spesso vengono scoperte proprio grazie alla libera informazione dell'internet.
La situazione è ingarbugliata e non si vedono tentativi seri di risolverla, anche perché nessuno sembra avere la chiarezza di idee o l'onestà intellettuale di dire senza mezzi termini che bisogna buttar via sia la legge 47/48, sia la 69/63 sull'ordinamento della professione giornalistica. Servono norme nuove, che facciano piazza pulita delle vecchie regole corporativistiche  e siano adeguate al contesto della società dell'informazione.
E' necessario liberarsi dai legami con un mondo che non esiste più, bisogna ragionare in termini di "rete" e non di tipografie, antenne ed edicole. Ne parleremo meglio sul prossimo numero.

 

Per intervenire su questo argomento scrivi a

Top - Indice della sezione - Home

© Manlio Cammarata 2009

Informazioni di legge