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Sistema informazione

Con i regolamenti dell'AGCOM il cerchio si stringe sulla Rete

E ora in Italia l'internet è un po' meno libera

Radio e TV via internet sottoposte ad autorizzazione come quelle via etere. Contro le disposizioni europee. L'Autorità fa qualcosa per limitare i danni del "decreto Romani", ma in Italia nessuno può fare concorrenza alla televisione.

10.01.11

Ancora ostacoli, ancora limitazioni della libertà dell'internet in Italia. Pubblicate il 28 dicembre scorso le delibere 606/10/CONS e 607/10/CONS dell'Autorità  per le garanzie nelle comunicazioni, che contengono due regolamenti previsti dal Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici. Questo, come sappiamo, è la nuova edizione del Testo unico della radiotelevisione, modificato con il cosiddetto "decreto Romani" (DLGV 44/10), in attuazione della direttiva 2007/65/CE. 

Nei giorni scorsi si è levata qualche flebile protesta. E qualcuno ha espresso soddisfazione, perché la nuova normativa è meno feroce di quanto si era temuto dalla lettura delle prime bozze e dello stesso decreto-madre. Ma l'AGCOM non poteva aggirare le disposizioni legislative dall'allora vice-ministro Romami. Ha fatto qualcosa, ha cercato di contenere i danni. Ma la legge è quella che è (vedi Le polpette avvelenate del nuovo Testo unico radio-TV e Eccesso di delega o eccesso di potere televisivo?).

Dunque non c'è motivo di essere soddisfatti: siamo di fronte a provvedimenti limitativi della libertà del Web, che non hanno riscontro negli altri Paesi occidentali. Regole che non sono previste dalla normativa europea che si afferma di voler attuare (e perciò anche in odore di incostituzionalità). Che appaiono antistoriche, perché mentre in tutto il mondo i mezzi di informazione convergono e tendono a confondersi nella Rete, qui si riconduce la Rete alle regole della radiotelevisione.

Ma è inutile ripetere qui le cose già scritte nei due articoli citati. Vale invece la pena di notare come persino l'ambasciatore degli USA in Italia abbia ritenuto necessario inviare la dettagliata informativa sul "Romani Bill", pubblicata un mese fa da Wikileaks. Un testo che va letto con attenzione, in primo luogo perché riassume i problemi da un punto di vista "terzo", e poi perché il fatto stesso che da un livello così alto si punti l'attenzione su un provvedimento che dovrebbe essere di normale amministrazione, significa che il testo suscita un certo allarme.

Vediamo i punti più significativi dei due provvedimenti. Il regolamento allegato alla delibera 606 sottopone all'autorizzazione dell'Autorità la fornitura di servizi di "media audiovisivi lineari o radiofonici su altri mezzi di comunicazione elettronica" (art. 3). Già l'esordio genera un senso di confusione: sembra che l'alternativa sia tra mezzi lineari e mezzi radiofonici, mentre si tratta di "media audiovisivi o radiofonici lineari", cioè composti da suoni e immagini, oppure solo suoni, caratterizzati da un flusso predeterminato dall'emittente (il cosiddetto "palinsesto)".

In pratica, posto che la diffusione terrestre, satellitare e via cavo è già soggetta ad autorizzazione, anche tutto il resto dell'audiovisivo rientra nello stesso regime, in particolare l'internet. E non solo per le attività di operatore o fornitore di servizi di rete, anche queste già soggette ad autorizzazione, ma per la fornitura di contenuti, cioè i "servizi di media". L'autorizzazione significa costi e burocrazia, oneri ingiustificati per attività che fino a ieri erano libere, come nel resto del mondo libero.

E' vero che, dopo una difficile battaglia, sono state introdotte alcune eccezioni, allargando il più possibile le maglie del nefasto decreto. Alla fine dei conti sono sottoposti al regime dell'autorizzazione solo i servizi resi "sotto la responsabilità editoriale di un fornitore di servizi di media il cui obiettivo principale è la fornitura di programmi al fine di informare, intrattenere o istruire il grande pubblico, attraverso reti di comunicazioni elettroniche, in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, e i cui ricavi annui derivanti da pubblicità, televendite, sponsorizzazioni, contratti e convenzioni con soggetti pubblici e privati, provvidenze pubbliche e da offerte televisive a pagamento, sono superiori a centomila euro".

Qui emergono i due punti critici della legge: l'intenzione di colpire tutto ciò che può fare concorrenza alla televisione e la difficoltà di applicare norme nazionali a un contesto senza confini. Un solo esempio: YouTube, che sembra rientrare tra i soggetti sottoposti ad autorizzazione, non ha sede in Italia e non può essere soggetto alla normativa italiana. Oscuriamo YouTube?

Lo stesso discorso vale per il secondo regolamento, allegato alla delibera 607, che riguarda i fornitori di servizi audiovisivi a richiesta, come sono molte TV o radio sul Web. Basta leggere le lunghe premesse ai due provvedimenti per vedere come tra i soggetti consultati dall'AGCOM fossero molte le perplessità e le richieste di modifiche nella fase preparatoria dei regolamenti. Ma è un riassunto per difetto: manca infatti la premessa fondamentale della sostanziale "perversione" delle norme di rango legislativo. Il regime delle autorizzazioni è giustificato nei casi in cui ci siano limiti nelle risorse disponibili (come le frequenze radio) o si pongano seri problemi di mercato.

Ma quando si parla dell'internet questi limiti non esistono. Essi sono posti solo da regimi autoritari (e non a caso sono stati fatti accostamenti con la situazione in Cina). I confini, negli stati democratici, possono essere solo quelli posti dalla legge penale, oltre che dall'ordinamento civilistico che tutela i legittimi interessi dei singoli.

L'espressione chiave, nei due provvedimenti, è questa: "in concorrenza con la radiodiffusione televisiva". Ed è la sola ragione di queste norme. In Italia non si può fare concorrenza alla televisione, quasi tutta di proprietà o comunque controllata da una sola persona, il Presidente del consiglio dei ministri.

Gli interessi di uno solo, signore  e padrone delle televisioni, determinano l'assetto dell'intero sistema. Quando ho scritto, a conclusione de L'anomalia, che "L'Italia è una repubblica fondata sulla televisione" intendevo anche questo: gli "interessi della televisione" sono così forti che devono essere protetti da qualsiasi concorrenza. Oggi l'internet incomincia a insidiare il predominio mediatico della TV e la risposta è pronta, con l'arma della burocrazia e dei balzelli.

Ecco perché c'è poco da stare allegri nel constatare che i regolamenti dell'AGCOM sono meno pesanti di quanto si fosse temuto. Da qualsiasi punto di vista si osservi la situazione, non c'è dubbio che ora l'internet in Italia è meno libera. Con tutte le conseguenze del caso, a cominciare dalla prevedibile migrazione di siti italiani verso più ospitali strutture all'estero. Per quelli che se lo possono permettere. Per altri la prospettiva è il silenzio.

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