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Sistema informazione

Troppi "buchi" mettono a rischio sistemi informativi critici 

La società vulnerabile da Wikileaks a Roncobilaccio

Che si tratti di colossali fughe di notizie come quelle diffuse dal sito di Julian Assange, o del devastante blocco della circolazione che si è verificato qualche giorno fa per la neve, il problema è sempre l'insicurezza dei sistemi.

20.12.10

Combattimenti senza esclusione di byte. Banche e istituti di carte di credito bloccano i flussi di denaro digitale verso Julian Assange, l'uomo che svela segreti imbarazzanti dalle pagine di Wikileaks. I sostenitori di Assange bloccano a loro volta i siti delle istituzioni finanziarie. Guerre informatiche. Non sono le prime, non saranno certamente le ultime.

All'origine del conflitto c'è il gigantesco flusso di informazioni digitali uscite da un "buco" statunitense non abbastanza protetto. Non importa se per opera di qualche hacker o di una o più "gole profonde". La sostanza è che una parte delicatissima dei sistemi informativi della più grande nazione del mondo si è rivelata troppo vulnerabile.

Cambiamo scenario. Siamo in Italia, nella notte tra il 17 e il 18 dicembre 2010. Neve e gelo paralizzano strade e ferrovie e dividono in due la Penisola. Sull'autostrada appenninica migliaia di persone restano bloccate anche per venti ore. Un evento eccezionale, dicono. Ma situazioni come questa si verificano almeno una volta l'anno. Allora non sono eccezionali. E si sa che le infrastrutture fisiche del nostro Paese sono vulnerabili. Ma anche quelle informatiche evidentemente fanno cilecca, se non si riesce neanche a far funzionare i pannelli luminosi che indicano le direzioni o le strade chiuse.

Tutto questo è particolarmente grave se si considera che tutta l'Europa - Italia compresa - è coperta da una fitta rete di sistemi di rilevazione e strutture informative, che descrivono in tempo reale le condizioni meteorologiche e delle vie di comunicazione. Solo la società Autostrade dispone di un'infrastruttura fissa di circa tremila punti di rilevazione, tra telecamere e sensori, e seicento sensori meteo, a cui si aggiungono i sistemi mobili. E poi ci sono gli strumenti di controllo del traffico da satellite (la Octo Telematics conta un milione di veicoli che trasmettono informazioni sulla loro posizione e velocità). Ci sono le sale operative dove converge questa massa di informazioni, ci sono i siti internet dove chiunque può verificare le condizioni della mobilità.

La mattina del 18, dopo aver ascoltato le notizie alla televisione, ho voluto verificare il livello dell'informazione ai cittadini (oltre ai notiziari di "Onda verde", troppo spesso lacunosi o in ritardo). Ebbene, secondo il CCISS, una struttura interministeriale alla quale fanno capo una moltitudine di enti rilevatori, c'erano solo "rallentamenti". Con molta buona volontà si potevano interpretare le mappe di Infoblu, in cui i pochi tratti neri (traffico bloccato) non davano subito l'idea del disastro. Per finire con la meraviglia delle meraviglie, il mio nuovo navigatore satellitare provvisto di RDS-TMC (Radio Data System - Traffic Message Channel), che non riusciva neanche a sintonizzare le emittenti. Altro che notizie sul traffico in tempo reale!

La mattina dopo, sabato 19, c'era il blocco totale della Firenze-Pisa-Livorno. Ma, anche in questo caso, solo i notiziari di RaiNews illustravano la situazione. Il navigatore satellitare, con il sistema TMC all'apparenza funzionante, indicava un ritardo di soli undici minuti per le condizioni del traffico.

Il fallimento di diversi sistemi informativi, che dovrebbero assicurare almeno le informazioni sulle condizioni del territorio, mostra ancora una volta la vulnerabilità della società tecnologica in cui viviamo. Non è una novità: ne parlavamo quindi anni fa, quando il World Wide Web muoveva i primi passi e avvertivamo dei rischi insiti in un uso non accorto delle tecnologie dell'informazione (vedi Comportamenti e norme nella società vulnerabile del 1995).

Parlavamo, qualcuno lo ricorda, dei problemi della protezione dei dati personali, dei documenti digitali, della tutela del diritto d'autore, della responsabilità degli operatori di sistema. Che cosa è cambiato in quindici anni? Sostanzialmente nulla. Molti di quegli interventi potrebbero essere scritti oggi. Ma la società vulnerabile che allora paventavamo oggi è una realtà. 

Però, attenzione, la vulnerabilità non è tanto nell'hardware o nel software, quanto nelle logiche di governo. Cioè, alla fine dei conti, nelle persone. Prima qualcuno non ha pensato che certi allarmi devono produrre automaticamente determinati effetti. Poi qualcun altro ha ignorato gli stessi allarmi o non si è preoccupato di prendere tempestivamente le iniziative conseguenti. Ci vuole tanto a fermare i camion che entrano in autostrada senza catene, quando incomincia a nevicare?

Ritorniamo alla questione Wikileaks. E' probabile che all'origine della fuga di quella incredibile quantità di messaggi ci sia qualcuno che voleva farli uscire. Ma l'azione doveva essere prevista e si sarebbero dovute adottare efficaci misure preventive. Non importa se Julian Assange sia un eroe e la divulgazione delle informazioni sia la salutare affermazione della società "trasparente", o se sia un malfattore che mette a rischio la sicurezza internazionale. Il fatto è che quelle notizie dovevano restare riservate.
Oggi Wikileaks e le autostrade italiane. Domani, chissà, le reti telefoniche o quelle elettriche, o i circuiti delle istituzioni finanziarie.
Il problema è che siamo solo all'inizio.

Post scriptum. Tra le rivelazioni di Wikileaks c'è una nota allarmata sui rischi per la libertà dell'internet in Italia contenuti nel disegno di legge "Romani". A suo tempo solo qualche commentatore aveva segnalato i pericoli nascosti nel provvedimento (vedi Le polpette avvelenate del nuovo Testo unico radio-TV e Eccesso di delega o eccesso di potere televisivo?). Ora qualcuno non si è ancora reso conto che quel testo, con poche modifiche, sta per produrre i suoi effetti. 

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