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Sistema informazione

Libertà di espressione e libertà di stampa

21.06.01

Le argomentazioni di Franco Abruzzo, pubblicate una settimana fa in risposta alle domande che gli avevamo rivolto da queste pagine, pongono alcuni importanti punti fermi nella discussione sorta in seguito all'entrata in vigore della legge 62/01. Per la verità, Abruzzo non risponde alla seconda, cruciale domanda, se non sia necessaria una profonda revisione delle norme vigenti: se la cava con la generica affermazione che "le riforme sono sempre auspicabili".  Tuttavia la posizione del presidente dell'Ordine di giornalisti lombardi è chiara (vedi anche L'appello di Franco Abruzzo al Ministro della giustizia, Vanno registrate le testate on line e La registrazione delle testate on-line è un obbligo) e si può sintetizzare in poche parole: "Le norme prevedono che l'editoria periodica sia sottoposta alle norme delle leggi del '48 sulla stampa e del '63 sulla professione giornalistica, la Corte costituzionale non ha ravvisato profili di illegittimità di queste norme, dunque non c'è nessun problema" .

Invece di problemi ce ne sono molti e anche sul piano costituzionale. Tanto per incominciare, e per limitarci a un aspetto molto semplice, l'articolo 16 della nuova legge determina una disparità di trattamento tra i soggetti che chiedano la registrazione al tribunale ai sensi della legge 47/48 e quelli che preferiscano la registrazione sostitutiva nel registro degli operatori di comunicazione: i primi sono soggetti a limitazioni e controlli ai quali non possono essere sottoposti i secondi e tanto basta a far tremare l'articolo 3 della nostra Carta fondamentale: Tutti i cittadini... sono uguali davanti alla legge...

La legittimità costituzionale delle norme sulla stampa è stata messa in dubbio molte volte nel corso degli anni. Oltre alla decisione citata da Abruzzo (la sentenza n. 2/71, che richiama la  n. 11 e la n. 98 del 1968) ce n'è anche una del lontano 1957, in cui la Corte affermava che "Gli articoli 5 e 16 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, non sono incompatibili con l'articolo 21 della Costituzione, non prescrivendo alcuna autorizzazione in senso tecnico, ma solo determinati adempimenti per la registrazione del giornale o del periodico".
In tempi molto più recenti la questione è stata nuovamente sollevata dal Pretore di Livorno (ordinanza di rimessione del 24 marzo 1999, GU 1a serie speciale n. 23 del 9 giugno 1999). La Corte ha restituito gli atti al mittente, chiedendogli di riformulare il ricorso alla luce della depenalizzazione dell'art. 663-bis del codice penale, intervenuta nelle more del processo, e non si ha notizia dei passaggi successivi.

Ma il ripetersi negli anni di ipotesi di incostituzionalità delle norme sulla stampa indica che qualcosa non funziona. Nulla esclude che la Corte costituzionale possa mutare il proprio orientamento, di fronte al nuovo contesto in cui l'articolo 21 deve esplicare i suoi effetti (vedi l'articolo di Daniele Coliva "High Time" per una nuova giurisprudenza).
Tuttavia, se si osserva la questione in una prospettiva più ampia, ci si accorge facilmente che i veri problemi sollevati dalle recenti disposizioni sull'editoria non riguardano tanto le norme sulla registrazione delle testate (e in particolare la necessità di un direttore iscritto all'albo dei giornalisti), quanto la libertà di divulgazione delle idee nel suo significato più profondo. Per dirla in poche parole, l'oggetto del contendere non è la libertà di stampa, ma più in generale la libertà di espressione.

Limitare il problema alla legittimità e all'obbligatorietà della registrazione delle testate, come fa Abruzzo, è fuorviante, perché il mondo della comunicazione è profondamente cambiato in questi ultimi anni. La  legge 62/01 limita la libertà di espressione per chi non è giornalista e non gli interessa svolgere questa professione . Le norme sulla stampa, la loro legittimità costituzionale e l'opportunità di aggiornale sono un altro discorso. Sono norme che riguardano le imprese editoriali e il giornalismo professionale, come risulta evidente  proprio dalle motivazioni delle sentenze della Corte, tutte emanate molto tempo prima della diffusione dell'internet.

L'epoca in cui viviamo, non a caso definita "società dell'informazione", è caratterizzata dalla possibilità, per un grandissimo numero di individui, di diffondere le proprie idee senza confini, senza pastoie burocratiche, senza impegni economici e organizzativi e soprattutto senza intermediazioni, al di fuori della professione giornalistica. La Rete consente la più ampia manifestazione della libertà di espressione, che è cosa diversa dalla libertà di stampa (come risulta evidente anche dalla lettura dell'articolo 21 della Costituzione).

La pretesa di sottoporre il diritto di espressione di qualsiasi cittadino italiano alle limitazioni che il nostro ordinamento prevede per le attività editoriali comporta l'obbligo di chiedere l'iscrizione nell'Albo dei giornalisti per tutti i cittadini che possiedono un computer, un modem e un  accesso all'internet. Con una conseguenza paradossale: all'affermazione (non condivisibile, come abbiamo già scritto altre volte) che "siamo tutti giornalisti", di fatto Abruzzo risponde "allora iscrivetevi tutti all'Ordine"...

E' evidente che non tutti i cittadini che intendono diffondere le proprie idee sulla Rete possono avere i requisiti per essere iscritti negli elenchi che danno diritto alla qualifica di "giornalista", sicché una buona parte ne sarebbe esclusa, in violazione dell'articolo 3 della Costituzione.
E ci sono leggi che permettono di reprimere eventuali abusi della libertà di espressione, per evitare la paventata "anarchia" che deriverebbe dalla mancata estensione all'internet delle norme del '48. Il problema, se mai, è quello di dettare qualche semplice regola per  assicurare l'applicabilità di queste leggi, come un obbligo di identificazione per chi diffonde notizie o opinioni on line, eventualmente sotto la tutela del cosiddetto "anonimato protetto".
Semplice? Certo, a parte il fatto che l'internet è alquanto più estesa dei confini d'Italia.

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