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Internet e stampa

"High Time" per una nuova giurisprudenza

di Daniele Coliva (Avvocato in Bologna)- 21.06.01

Le considerazioni del presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Franco Abruzzo destano notevoli perplessità per il contenuto delle critiche mosse a chi contesta la nuova legge sull’editoria ed in particolare l’estensione dell’obbligo di registrazione della "testata", con conseguente obbligo di direzione della stessa da parte di un giornalista iscritto all’albo.

La prima obiezione ha carattere critico nullo: dice Abruzzo "Nessuno comprende perché il mondo on-line voglia sottrarsi al rispetto delle regole approvate dal Parlamento repubblicano (legge sulla sulla stampa e legge sulla professione giornalistica). Regole, che vincolano anche i giornali politici e i giornali telematici dei partiti tenuti alla registrazione presso i tribunali (articolo 153 della legge n. 388/2000 o "legge finanziaria per il 2001)".
Precisato che la norma citata si inserisce in un ambito sistematico più complesso che riguarda la concessione di contributi pubblici alle imprese editoriali (per cui la registrazione opera come naturale contrappeso alla facilitazione concessa), la domanda indiretta posta da Abruzzo non costituisce né replica né spiegazione convincente. La risposta più incisiva è di V.  Zeno Zencovich: "Un sistema può ben vivere con delle lacune e l'horror vacui nasconde spesso solo una radicata vocazione dirigistica degli apparati statali cui nulla deve e può sfuggire." (La pretesa estensione della telematica al regime della stampa: note critiche, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1998, p. 27).

Vorremmo, in altri termini, capire anche noi perché il mondo on line dovrebbe sottostare a regole che gli sono strutturalmente estranee.

Prosegue Abruzzo affermando che "tutti i giornali hanno bisogno di aiuti pubblici: spedizione postale, telefoni, crediti, mutui agevolati, etc.". Si tratta dunque di una questione patrimoniale? Sembra di sì, a leggere quanto dichiarato dall’onorevole Massimo D’Alema in un’intervista a DVDSat.it, pubblicata su Punto Informatico del 3/5/2001: "Da quando non sono più presidente del Consiglio mi occupo d'informazione: noi diamo informazione No Profit nel senso che l'accesso al sito è gratuito, nel senso che non abbiamo inserzioni pubblicitarie ecc. e non siamo sottoposti alla nuova normativa. Si tratta di capire bene la distinzione".
La distinzione è dunque tra chi gode di mezzi patrimoniali sufficienti per gestire un sito informativo (non una testata giornalistica nel senso classico, ma un sito che fornisce informazioni) senza ricorrere ad aiuti esterni, prima fra tutti la pubblicità, e chi invece si serve della pubblicità per, ad esempio, pagarsi lo spazio su di un server (la cui virtualità è materialmente contraddetta dalle fatture del provider), pur senza chiedere nulla al pubblico di fruitori, perché non ha mezzi propri.
Quest’ultimo, dunque, non farebbe informazione no profit e quindi deve sottostare all’obbligo di registrazione e quindi di direzione da parte di un giornalista professionista.
Per esemplificare grossolanamente, il rentier è libero, il quidam de populo no. Detto dal legislatore è francamente sconfortante.

Lo sconforto infatti nasce dall’equivoco proprio su quella distinzione "da capire bene", equivoco alimentato dall’utilizzazione di categorie giuridiche inadeguate alla realtà del "mondo on line", come lo chiama Abruzzo, sì che appare oggi poco sostenibile l’argomento della Corte costituzionale (sent. n. 98 del 1968) in base al quale

… la funzione dell'Ordine - funzione, giova ripeterlo, che dà giustificazione costituzionale alla sua istituzione e disciplina -, risulterebbe frustrata ove proprio i poteri direttivi di un quotidiano, di un periodico o di un'agenzia potessero essere assunti da un soggetto (non importa che si tratti dello stesso proprietario o di altri) che per il fatto di non essere iscritto nell'albo non possa essere chiamato a rispondere di fronte all'Ordine per eventuali comportamenti lesivi della dignità sua e dei giornalisti che da lui dipendono: vale a dire per inadempienza al primo e fondamentale dovere di garantire che l'attività affidata alla sua direzione e responsabilità si svolga in quel clima di libertà di informazione e di critica che la legge vuole assicurare come necessario fondamento di una libera stampa.

Come ha osservato con tagliente precisione il pretore di Livorno nell’ordinanza di rimessione alla Consulta dell’art. 663 bis c.p. (divulgazione di stampa clandestina) in relazione agli artt. 5, comma 3 n. 3, l. 47/1948 e 45 l. 69/1963, "... quelle argomentazioni, svolte in anni in cui la stampa era sostanzialmente l’unico strumento di manifestazione del pensiero, appaiono oggi da rivedere alla luce delle modifiche intervenute nei mezzi di comunicazione…".

Oggi, e l’affermazione è ricorrente, con l’internet ciascuno può essere editore di se stesso, ognuno può manifestare il proprio pensiero senza dover trovare "udienza" presso uno strumento di informazione.
L’interpretazione restrittiva della legge 62/01, nel senso appunto dell’obbligatorietà della presenza di un giornalista professionista quale direttore responsabile, configura in realtà un vero e proprio monopolio non sulla diffusione dell’informazione, ma sull’esercizio della libera espressione di ciascun soggetto, in quanto appunto pone come imperativo organizzativo una figura professionale ed estende irragionevolmente i compiti di tutela del relativo Ordine ad una materia che non gli compete: la libertà di espressione. Questa non può essere ristretta al numero unico o alla pubblicazione episodica, per evitare la qualificazione di periodica, perché in tal caso sarebbe evidente la limitazione illegittima di un diritto costituzionale.

La Corte costituzionale, infatti, lo ha definito quale strumento mediato di garanzia dell’art. 21 Cost., richiamando il proprio precedente del 1968 (cfr. supra), tuttavia tale rinvio è ad un’affermazione espressamente riferita alla libera stampa. Delle due l’una: o il concetto di stampa viene esteso a qualsiasi attività informativa, ovvero il mondo on line non è stampa, ma è qualcosa di più ampio (è libertà di pensiero, prima di tutto).
Se l’opzione, però, è nel primo senso, allora è veramente tempo (it’s high time dicono gli inglesi) che la Consulta torni ad esaminare la questione.

Un’ultima notazione sulle dichiarazioni di Abruzzo, il quale richiama una decisione del Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione siciliana (organo di giurisdizione amministrativa di secondo grado per la Sicilia, in sostituzione del Consiglio di Stato) sulla natura e sul ruolo degli ordini professionali.
Il passo citato, a mio avviso, trova scarsa rispondenza con la natura della professione giornalistica ed il ruolo dell’Ordine dei giornalisti e la sua assimilazione ad altre professioni intellettuali è puro wishful thinking.

E’ vero che sia per il giornalista, sia per l’avvocato, viene in considerazione un diritto di rango costituzionale (rispettivamente l’art. 21 e l’art. 24 Cost.), tuttavia l’affiancamento è mera apparenza. L’avvocato è lo strumento a disposizione dell’individuo per esercitare il suo diritto di difesa (non è questa la sede per discutere del monopolio, peraltro ridotto alla sola attività di difesa giudiziale civile, penale o amministrativa); il destinatario della norma costituzionale è il singolo individuo, cittadino o non. L’effettività di tale diritto è in linea di principio garantita da una rigida disciplina dell’accesso e dell’esercizio della funzione, oltre che dalle norme del processo.

Il giornalista non è lo strumento dell’individuo per potersi esprimere, il diritto previsto dall’art. 21 Cost. spetta a tutti ed è incostituzionale prevedere un sistema che condizioni qualsiasi attività informativa, anche la più modesta, alla presenza di un soggetto qualificato che agisca contestualmente come garante e come limite all’esercizio del diritto.
La democrazia non è anarchia, ma nemmeno oligopolio o, peggio ancora, monopolio.

 

 

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