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Sistema informazione

Il disegno di legge "intercettazioni" all'esame del Senato 

Undici emendamenti che non cancellano il bavaglio

Tra oggi e domani l'aula del Senato approverà il DDL 1611, in dispregio di tutte le critiche rivolte a un progetto liberticida. La maggioranza presenta undici emendamenti "risolutivi": inutile chirurgia plastica su un volto impresentabile.

31.05.10

Oggi al Senato incomincia la discussione su quella che ormai è nota come "legge-bavaglio". La maggioranza ha faticosamente trovato un accordo su undici emendamenti, strombazzati come la soluzione che risponde a tutte le critiche. Non lasciamoci impressionare: l'unico emendamento possibile è l'affossamento del progetto. 

Forse mai, nella breve storia della nostra Repubblica, un disegno di legge ha suscitato tante discussioni e tante reazioni contrarie. Di fatto i suoi contenuti sono dirompenti: il DDL S1611 limita da una parte gli strumenti di indagine della magistratura e dall'altra il diritto dei cittadini di conoscere persino l'esistenza di indagini su ipotesi di reato che possono destare un forte allarme sociale.

Il principio che si fa vista di proteggere con queste norme è la tutela della sfera personale degli intercettati, in breve la "privacy". Ma le cose non stanno così, almeno per la parte che riguarda l'attività dei magistrati. La questione è più semplice di quanto sembra: il giudice che indaga su possibili reati viola la sfera riservata dei sospettati o indagati? La legge che tutela la privacy prevede espressamente che questa debba cedere di fronte all'esigenza di giustizia della società. Dunque l'affermazione che i giudici violano la privacy è una solenne sciocchezza.

Ed è opinione comune, condivisa in tutti gli stati democratici, che la tutela della riservatezza è attenuata per le persone che rivestono cariche pubbliche. In sostanza i cittadini hanno il diritto di sapere se gli eletti sono persone oneste o se sono sospettabili o sospettate di commettere reati. E' il principio della trasparenza, che viene soddisfatto quando i mezzi di informazione possono dare notizia di indagini in corso a carico di note personalità.

E' anche vero che la pubblicazione di notizie su indagini in corso, e ancor più degli atti delle indagini, può nuocere a persone che non sono indagate e che non hanno nessuna relazione con i fatti oggetto di accertamento da parte della magistratura. Questo è l'unico reale problema che deve essere risolto.

Ma la protezione della sfera riservata delle persone è solo il pretesto di questo disegno di legge. La ragione vera è che si cerca di imbavagliare quella parte dell'informazione, in particolare stampa e internet, che è ancora libera di dare conto ai suoi lettori di fatti che riguardano le "caste" o le "cricche" che governano il Paese. Per la televisione non c'è problema: bastano i Minzolini e i Masi per far tacere, o almeno ridurre l'ascolto delle voci disubbidienti (vedi Minzolini dalla prescrizione alla proscrizione, Ruffini "reintegrato" dal giudice. E Santoro, Busi, Dandini...).

Per l'internet si devono usare altri sistemi. Ed ecco il rinnovato Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, che applica la disciplina delle emittenti televisive alle varie forme di televisione via internet. Ma ecco, soprattutto, un feroce disposizione del disegno di legge in discussione: recita infatti il comma 28, modificando l'art. 8 della decrepita legge sulla stampa del 1947: "Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono".

La sanzione, diminuita da uno degli undici emendamenti proposti in vista della discussione in aula, è tale da dissuadere qualunque blogger dal pubblicare notizie che possano essere solo lontanamente lesive dell'immagine di chicchessia o che riguardino indagini in corso.

Ora è vero che anche la diffamazione via internet deve essere sanzionata. Ma da qui alla mannaia c'è spazio per soluzioni più praticabili e meno micidiali. Non si possono pretendere da un'attività amatoriale, spontanea, gli stessi obblighi che si esigono da un editore o da un professionista dell'informazione.

A questo proposito c'è da segnalare un altro emendamento dell'ultima ora: il divieto di svolgere registrazioni "private" all'insaputa dell'interlocutore (il cosiddetto "emendamento D'Addario") prevedeva una clausola di non punibilità solo per i giornalisti iscritti all'albo nell'elenco dei professionisti. Una norma in forte odore di incostituzionalità, come l'art. 200 del codice di procedura penale, che al comma 3 riconosce solo ai giornalisti professionisti la facoltà di non rivelare i nomi delle fonti.

Sappiamo che oggi buona parte dell'informazione è prodotta da pubblicisti o (giornalisti) - vedi (Giornalista): una professione tra parentesi. Sono quasi tutti pubblicisti, per esempio, i collaboratori di trasmissioni come Report di Milena Gabanelli o Presadiretta di Riccardo Iacona, che danno tanto fastidio alle caste. E questo la dice lunga sugli scopi della nuova norma. Ora l'emendamento vuole estendere la non punibilità a tutti i giornalisti iscritti all'ordine professionale. Ma non risolve il problema di fondo: anche con gli undici emendamenti, il testo del Senato resta un disegno di legge-bavaglio.

Ora le prospettive sono queste: o il disegno di legge si arena nella discussione alla Camera dei deputati, o il Presidente della Repubblica non lo promulga, o la legge passa. E allora non resta che il ricorso alla Corte europea dei diritti umani. Ci sarà un giudice a Strasburgo!

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