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Professione giornalista

Sono i non-giornalisti che fanno buona parte dell'informazione

(Giornalista): una professione tra parentesi

Si intitola "Una vita da (giornalista) precario" il rapporto dell'Osservatorio sul precariato del Consiglio nazionale dell'Ordine. Dal quale si rileva che la maggior parte dell'informazione nel nostro paese è fatta "non giornalisti".
30 ottobre 2009

Qual è la percentuale di informazione in Italia prodotta da collaboratori, free lance e precari di vario genere? Ce lo chiedevamo qualche mese fa in Giornalisti e precari: la casta dei "giornalari". La risposta non è facile. Ma ora abbiamo alcuni dati che possono dare l'idea delle dimensioni del problema. La fonte è autorevole: l'Osservatorio sul precariato, istituito nel 2008 dal Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti. Il rapporto dell'Osservatorio si intitola "Una vita da (giornalista) precario" ed è la fotografia abbastanza nitida dello stato della professione giornalistica in Italia.
Una realtà drammatica, che da un parte è frutto della crisi che in tutto il mondo attanaglia la stampa e dall'altra è legata alla particolare situazione italiana. Unico paese occidentale in cui la professione di giornalista non è libera. Tanto che l'organismo pubblico che detiene le chiavi dell'accesso deve mettere tra parentesi la parola "giornalisti", perché non riconosce come tali i professionisti che non hanno il tesserino.

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In sostanza, le persone che fanno i giornali (e i telegiornali, e i notiziari telematici) appaiono divise in due categorie: i "giornalisti" e i "(giornalisti)". I primi hanno il tesserino, i secondi le parentesi. Ma questa è una differenza formale. Quella sostanziale è tra i giornalisti che hanno un lavoro stabile e quelli che non lo hanno. E che sono gli schiavi dell'informazione. Ricattabili e ricattati, sottopagati a livelli vergognosi. Lo sapevamo. Ma ora c'è una fonte ufficiale che lo conferma.

Ci decide se un giornalista ha il tesserino o le parentesi sono gli editori. Oggi in gravi difficoltà, perché non hanno saputo raccogliere le sfide dei nuovi media, mentre la crisi economica taglia pesantemente gli introiti della pubblicità.
Sono gli editori che affidano il lavoro a chiunque sia capace di svolgerlo. Poco importa se ha o non ha il tesserino in tasca. Basta che costi poco. Se quello col tesserino costa troppo, si licenzia e si affida la stessa mansione a un precario. Questa è la realtà dell'informazione in Italia, dove il numero dei "giornalari" (giornalisti-precari) cresce insieme a quello dei giornalisti che perdono il posto di lavoro.

Ed è questa la situazione descritta dal Gruppo di lavoro sul precariato. Lorenzo Del Boca, presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine, scrive nella presentazione del documento:

Giorno dopo giorno stanno diminuendo i contratti a tempo indeterminato sostituiti da quelli a termine, declinati in ampia varietà a seconda delle esigenze dell’azienda, non certo del lavoratore. Stando alle informazioni dell’INPGI, nel bilancio preventivo 2007, risulta che i contratti a termine sono stati 1783 con una crescita del 10,16% da gennaio a giugno, rispetto al medesimo periodo del 2006. L’aumento è più del quadruplo, rispetto alla crescita dei contratti a tempo determinato. Non è una crescita di eccezione, ma una tendenza consolidata. Questi i dati sconfortanti: su circa 30 mila giornalisti solo 12 mila hanno un contratto a tempo indeterminato.

E quanti non hanno neanche il contratto a tempo determinato? Si legge ancora nel documento:
- 9 mila testate giornalistiche non iscritte al Tribunale
- 20 mila giovani che lavorano e svolgono informazione senza essere disciplinati e tutelati
- 5 mila precari, rilevati in parte dalle ispezioni Inpgi, che lavorano pagati mediamente 8 euro a pezzo
- 2 euro il pagamento minimo per servizio
.

Due euro! Neanche il prezzo di un panino. E anche gli otto di media sono una cifra miserabile: è più o meno quello che guadagna una colf per un'ora di lavoro. Ma ci sono servizi giornalistici che richiedono solo un'ora di lavoro?
In altri paesi, per esempio negli USA, il giornalista free-lance è spesso pagato più del dipendente (e non esiste una distinzione tra quelli che hanno il tesserino e gli altri, non c'è un organismo di stato che decide chi sa fare il mestiere e chi no). C'è un libero mercato e i professionisti più capaci sono pagati di più.

Da noi ci sono due caste. Una "ufficiale", che appare in via di estinzione. E una in crescita, fatta di liberi professionisti, che si adegua al nuovo scenario dei media. Ma l'Ordine non vuole prenderne atto, tanto che propone di stringere sempre più le maglie dell'accesso alla professione: si veda il Documento di indirizzo per la riforma dell'Ordine dei giornalisti, diffuso dal Consiglio nazionale dell'ODG pochi giorni fa.
Andrà a finire che i giornalisti col tesserino si estingueranno prima dell'organismo che lo rilascia. E l'informazione, fatta solo da precari, sarà a sua volta sempre più precaria.

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