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Sistema informazione

Si firma per bloccare il testo "Alfano" sulle intercettazioni

DDL 1611: è meglio l'editto di Carlo Alberto

Rodotà paragona l'editto di Carlo Alberto del 1848 al disegno di legge che rende più difficili le indagini e imbavaglia l'informazione. Rileggiamo il testo di un secolo e mezzo fa e troviamo un sovrano più liberale dei governanti di oggi.

13.05.10

Mobilitazione generale contro il disegno di legge sulle intercettazioni, che ostacola le indagini penali e imbavaglia l'informazione. Un testo che difficilmente passerà l'esame della Corte costituzionale e della Corte europea di giustizia, ma che nel frattempo potrebbe causare gravi danni alla giustizia e al diritto di sapere (vedi Intercettazioni: abbiamo il "diritto di sapere" e DDL intercettazioni: più difese dalla UE).

C'è la mobilitazione sulla Rete. Su Facebook Libertà e partecipazione ha raccolto fino a ieri sera ventimila adesioni. Mentre l'appello contro il "bavaglio", primo firmatario Stefano Rodotà, ieri sera era irraggiungibile per il sovraccarico del server. Lo stesso Rodotà era intervenuto sulla Repubblica di sabato scorso con un articolo durissimo: La legge che ordina il silenzio stampa.

Ma, come sappiamo, in Italia il medium che conta è la televisione. E Rodotà, ex-presidente del Garante per la protezione dei dati personali, l'altra sera è stato ospite di Parla con me su Rai3. L'intervista di Serena Dandini è un documento da incorniciare a futura memoria. Non solo per la requisitoria del professore contro il disegno di legge, ma anche per la chiarezza con la quale ha indicato la soluzione per conciliare il diritto di sapere dei cittadini con le esigenze della privacy: stralciare dai testi delle intercettazioni tutti i passaggi che possono nuocere a qualcuno, se non essenziali per il processo, prima che gli atti vengano consegnati ai difensori e quindi diventino pubblici.

"Se fosse stata in vigore questa legge - ha detto Rodotà - tutto quello che è avvenuto intorno all'ex-ministro Scajola sarebbe rimasto assolutamente sconosciuto". Ancora, sulla tragedia di Ustica, "per trent'anni non si sarebbe potuto dire nulla". E ha aggiunto: "Io non credo che ventisei procuratori antimafia siano tutti impazziti, se hanno detto 'guardate che se passa questa legge le indagini sulla criminalità organizzata saranno gravemente pregiudicate'".

Il momento-chiave è stato quello in cui il professore ha tirato fuori una copia originale dell'Editto sulla libertà di stampa, emanato da Carlo Alberto di Savoia-Carignano il 26 marzo 1848. E ha fatto notare come la pena massima prevista allora per i reati di stampa fosse di un anno, mentre nel disegno di legge in discussione si arriva a cinque anni.

Il tema merita una riflessione: il principio che vige in ogni stato di diritto è che la pena deve essere commisurata all'allarme sociale che il fatto suscita. Oggi, all'inizio di una nuova e forse più grave "tangentopoli", è difficile affermare che le intercettazioni della magistratura destino un diffuso allarme sociale. Certo, l'allarme è forte tra i possibili intercettati...

"La stampa sarà libera, ma soggetta a leggi repressive" aveva scritto il sovrano nello Statuto, emanato un mese prima, che trasformava lo stato assoluto in una monarchia costituzionale. Ma di repressione, nell'editto del 26 marzo, ce n'è ben poca, in confronto a quella di oggi.

Si deve notare una non casuale coincidenza di percorso tra l'Editto sulla stampa e la legge di un secolo dopo, la n. 47 del 1948 "Disposizioni sulla stampa": il primo varato tre settimane dopo lo Statuto, la seconda approvata l'8 febbraio 1948 dalla stessa assemblea che un mese e mezzo prima aveva varato la Costituzione. A dimostrazione che la libertà di stampa è una componente essenziale del sistema di diritti che costituiscono la democrazia.

In questo clima vale la pena di soffermarsi su alcuni passaggi dell'Editto albertino e confrontarli con la normativa oggi vigente:

Nel 1848: Art. 2. Ogni stampato così in caratteri tipografici, come in litografia od altro simile artificio, dovrà indicare il luogo, la officina e l'anno in cui fu impresso, ed il nome dello stampatore. La sottoscrizione dell'editore o dell'autore non è obbligatoria.
Art. 3. Ogni stampato che non abbia le indicazioni di cui nell'articolo precedente, sarà considerato come proveniente da officina clandestina, e lo stampatore sarà punito per questo solo fatto con una multa da L. 100 a L. 300.

Cento anni dopo, nel 1948: Art. 2. Ogni stampato deve indicare il luogo e l'anno della pubblicazione, nonché il nome e il domicilio dello stampatore e, se esiste, dell'editore.
I giornali, le pubblicazioni delle agenzie d'informazioni e i periodici di qualsiasi altro genere devono recare la indicazione:
del luogo e della data della pubblicazione;
del nome e del domicilio dello stampatore;
del nome del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile
.
Art. 5. Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi.
Per la registrazione occorre che siano depositati nella cancelleria:
...3) un documento da cui risulti l'iscrizione nell'albo dei giornalisti, nei casi in cui questa sia richiesta dalle leggi sull'ordinamento professionale
.
Art. 16. Chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale o altro periodico senza che sia stata eseguita la registrazione prescritta dall'art. 5, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire 500.000.
La stessa pena si applica a chiunque pubblica uno stampato non periodico, dal quale non risulti il nome dell'editore né quello dello stampatore o nel quale questi siano indicati in modo non conforme al vero
.

In un secolo si passa da una semplice multa a due anni di carcere. Un sovrano, costretto alla concessione della libertà di stampa dagli eventi del suo tempo, appare più liberale di un'assemblea costituente che ha il compito di dettare le regole di uno stato democratico moderno.
Però va ricordato che, cinquant'anni prima dell'Editto, la Costituzione degli Stati Uniti d'America aveva dichiarato che il Congresso non avrebbe potuto fare leggi che limitassero la libertà di espressione del pensiero o di religione. Altro che editto, altro che articolo 21!

Comunque Carlo Alberto aveva scritto: Qualunque suddito del Re il quale sia maggiore d'età e goda del libero esercizio dei diritti civili, qualunque società anonima o in commandita, qualunque corpo morale legalmente costituito nei Regii Stati, potrà pubblicare un giornale o uno scritto periodico, purché si uniformi al disposto del seguenti articoli.
Oggi qualsiasi cittadino della Repubblica non può pubblicare un giornale o un periodico: lo vieta l'art. 5 della legge scritta un secolo dopo.

Ciascuno può trarre le sue conclusioni. Ma prima di chiudere le antiche pagine ingiallite, l'occhio cade su un'altra norma: Non darà luogo ad azione la pubblicazione degli scritti prodotti avanti i Tribunali (art. 32). Dove per "azione" si intende l'azione penale. Però ai tempi di Carlo Alberto non c'erano le intercettazioni.

Post scriptum. Qualche giorno fa il Presidente del consiglio ha detto che in Italia c'è troppa libertà di stampa. Mi è sfuggito qualcosa, o l'Ordine dei giornalisti non ha trovato nulla da ridire?

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