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Sistema informazione

Tra superficialità, imprecisioni, mancanza di approfondimenti

Costa Concordia, si è incagliata l'informazione

Tentiamo una prima analisi degli aspetti mediatici della tragedia della nave incagliata all'isola del Giglio. Come comunicazione e informazione costruiscono - male - una storia che può essere letta come una metafora dell'Italia di oggi.

23.01.12

Ancora in prima pagina, dopo dieci giorni. Eppure il nostro tempo ne ha viste tante, tragedie di terra e di mare con centinaia di vittime ogni volta. Questo, al confronto, è un incidente minore. Eppure il naufragio della Costa Concordia sta destando un fortissimo interesse. Perché?

Può essere interessante studiare gli aspetti mediatici di questo evento e cercare di capire i motivi di tanta risonanza, in questi tempi difficili.
Ma, prima ancora, è utile osservare in che modo i fatti sono diventati cronaca, come hanno invaso le redazioni e come sono straripati sul web.

E' necessaria una premessa. Da alcuni anni, cioè da quando si sono sviluppati i social network, la comunicazione sugli eventi che suscitano più emozione subisce un effetto-valanga: i contenuti messi in rete dagli organi di informazione sono copiati a iosa su blog e social network; questi aggiungono testimonianze più o meno dirette, che forniscono ampio materiale per gli organi di informazione. I quali aggregano a loro volta i contenuti della comunicazione diffusa, che così ritorna all'origine e fa ripartire un nuovo ciclo, che si somma al precedente.

Ne deriva un'assordante baccano. Per capirci qualcosa si dovrebbe prima di tutto distinguere fra le tre diverse fonti: l'informazione giornalistica, la testimonianza in rete dei protagonisti o degli spettatori diretti - che non è giornalismo - e la massa informe delle copie delle copie delle copie, che pervade l'ecosistema telematico senza aggiungere una sola briciola di informazione. Invece si aggiungono i commenti a ruota libera. Quasi sempre superficiali, disinformati, spesso arrabbiati. Ma comunque rivelatori del sentire comune della Rete.

I giornalisti dovrebbero avere il compito di mettere ordine in tutta questa confusione. Selezionare e verificare le notizie, ricercare gli antefatti, approfondire. Soprattutto spiegare i tanti aspetti che di solito sono noti solo agli addetti ai lavori. Invece anche l'informazione professionale si limita ad aggregare le notizie di prima mano con quelle raccolte in rete. Illustra i servizi con migliaia di foto e video amatoriali di qualità infima. Che hanno un importante valore di testimonianza e che, proprio per questo motivo, dovrebbero essere scelte e trattate per diventare "notizie", invece che "fotogallerie" che soddisfano il voyuerismo diffuso più che il desiderio di informazione.

Si dice che siamo un popolo di navigatori. Sarà. Certo non lo sono i tanti giornalisti che, in diretta, sono apparsi imbarazzati di fronte alla parola "biscaggina", emersa nelle concitate conversazioni tra i comandante della nave e l'ufficiale della Capitaneria di porto. Che cos'è la biscaggina? La domanda è rimbalzata da un angolo all'altro della Rete, quando sarebbe bastato scriverla nella casella di Google: due minuti per saperne quanto un lupo di mare. Ma è solo un dettaglio, nel panorama della superficialità della comunicazione diffusa. Ma offre uno spunto illuminante.

Si legge su Wikipedia: "Biscaglina, o biscaggina, o buscaggina, è un termine usato in nautica per definire un tipo speciale di scala di corda tipicamente utilizzata sulle navi mercantili con lo scopo di consentire l'imbarco e lo sbarco del pilota". Alcuni link aiutano ad approfondire l'argomento.
Ma ecco come la definizione vene copiata su Yahoo! Answers (miglior risposta, scelta da richiedente): "Più nota come biscaglina, è un termine nautico per definire un tipo speciale di scala di corda utilizzata sulle navi mercantili per consentire l'imbarco e lo sbarco del comandante". Ma il pilota non è il comandante! E' lo specialista che sale a bordo per assistere il comandante nelle manovre di ingresso e uscita dal porto.

A proposito di comandante: è mai possibile che nessun giornalista sappia che l'appellativo di un ufficiale di marina, di qualsiasi grado, è "comandante" e non "capitano"? Si chiamano a vicenda così il comandante della Concordia e l'ufficiale della Capitaneria di porto di Livorno, nelle ormai famose telefonate. A proposito delle quali va notato che i primi stralci, pubblicati (mi pare) da Il Tirreno, sono stati subito ripresi su centinaia di siti senza il minimo approfondimento. E spesso senza neanche citare la fonte. Nessuno che abbia aggiunto qualcosa, neanche il grado del comandante De Falco (capitano di fregata), ben visibile sulla manica nell'unica foto della prima ora.

Grande confusione anche per le imbarcazioni di salvataggio, chiamate sempre "scialuppe" anche quando le immagini mostravano le zattere autogonfiabili. Lasciamo perdere i "piani" invece dei ponti. Limitiamoci a una perla, tra le tante: "E' difficile accedere alle cabine in fondo alla chiglia".
Molto difficile, infatti, anzi impossibile. Perché la chiglia è "una trave longitudinale a sezione quadrata o rettangolare che percorre l'imbarcazione da poppa a prua nella sua parte sommersa destinata al galleggiamento" (sempre da Wikipedia).

Quando trattavano notizie di grande interesse un tempo giornali e telegiornali approfondivano le notizie, chiamando gli esperti della materia in questione. Questa volta niente, o quasi. Un esempio: grande indignazione ha sollevato la notizia che l'afflusso dei passeggeri alle imbarcazioni di salvataggio fosse stato regolato da camerieri e non da marinai. Ebbene, un esperto di cose nautiche avrebbe spiegato che le norme internazionali per la sicurezza in mare (SOLAS, ovvero Safety of Life at Sea) impongono che tutto il personale di bordo, camerieri compresi, debba essere addestrato per affrontare le emergenze. Quindi viva i camerieri, perché i marinai in queste situazioni hanno ben altro da fare.

Ancora. Un approfondimento che potrebbe essere interessante per il pubblico riguarda quegli uomini che si vedevano ballare sui loro gommoni neri, piazzando cariche esplosive per aprire varchi nello scafo. Le cronache li definiscono "palombari della Marina", o addirittura "marines" (che invece sono i fanti di marina, in Italia il Reggimento San Marco). Invece quegli uomini sono gli specialisti del GOS (Gruppo Operativo Subacqueo) del Raggruppamento Subacquei ed Incursori "Teseo Tesei" (noto anche come COMSUBIN, Comando Subacquei ed Incursori). Una leggenda, un argomento formidabile per catturare l'attenzione del pubblico. Ma forse troppo faticoso: è più semplice riempire i notiziari con le foto e i video degli scampati.

Intanto un blogger affronta il problema dei problemi, chiedendo ai lettori indicazioni su come recuperare il relitto: il suo pubblico è notoriamente composto da ingegneri navali con lunga esperienza nel recupero di grandi unità.

Alla fine sembra che nella memoria resti solo quel "Vada a bordo, cazzo!" che illumina una parte della vicenda. Solo una parte? Certo non basta a rispondere alla domanda di partenza: quali sono i meccanismi, le ragioni e le conseguenze di tanto interesse mediatico. Ora abbiamo visto gli aspetti più superficiali; in un prossimo articolo affronteremo la sostanza. Ricordando che tutto rimane nelle maglie della Rete, trasformando subito la cronaca in storia.

(Continua)

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