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Professione giornalista

Processi in TV: i giornalisti col fiato sul collo

18.06.08
Dopo diversi interventi "ad hoc", l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni promuove un codice deontologico per regolare le rappresentazioni dei processi negli studi televisivi. Giusto il principio, ma sono troppi i diktat "dall'alto".
Nei prossimi giorni dovrebbe riunirsi presso l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni un "tavolo di confronto". All'ordine del giorno la stesura di un codice di autoregolamentazione sul modo corretto di rappresentare i procedimenti giudiziari nelle trasmissioni televisive. Basta con la gogna mediatica, basta con le spettacolarizzazioni, ha detto l'Autorità. Quindi ha emanato un atto di indirizzo e convocato il "tavolo" per l'emanazione di un apposito codice deontologico.
E' vero che nei processi in TV spesso si esagera, anche per aumentare gli ascolti. Ma qualcosa non va in questo sistema di "indirizzo" dell'informazione.

Da Porta a porta ad Annozero, sono molti i casi di rappresentazioni spettacolari di procedimenti giudiziari in corso. Puntualmente l'AGcom è intervenuta con richiami e sanzioni: rientra tra i compiti che le sono assegnati dalla legge? E' una prassi ormai accettata, anche se da un'attenta lettura delle norme non si trova una disposizione generale che preveda interventi dell'Autorità sui contenuti dell'informazione e degli approfondimenti (si veda l'art. 1. c. 6, lett. b della legge 249/97).

Comunque le critiche sul modo in cui sono spesso condotti i "processi mediatici" sono fondate. Le considerazioni contenute nell'atto di indirizzo del 31 gennaio sono in gran parte condivisibili, anche se l'atto stesso non sembra del tutto opportuno, perché le norme sulla corretta informazione e sul rispetto delle persone ci sono, a livello legislativo e deontologico. In linea di principio non sono necessari interventi "dall'alto" o ulteriori regole di autodisciplina.

Il problema è in chi deve far rispettare leggi e deontologia. In tutti i paesi democratici ci sono organismi associativi che sorvegliano e intervengono nei casi in cui l'informazione non appare corretta. I tribunali puniscono comportamenti contrari alle leggi. In Italia c'è addirittura un ordine professionale, unico al mondo, che dovrebbe sanzionare comportamenti non conformi alle regole e anche intervenire in difesa dell'indipendenza dei giornalisti. Ma, evidentemente, non funziona né sul primo né sul secondo fronte.

L'informazione è troppo spesso succube dell'influenza dei vari "poteri forti" che governano il nostro Paese. Si vedano la fiacca opposizione, le timide proteste che accolgono l'annunciato disegno di legge sulle intercettazioni giudiziarie. Il provvedimento, che ricalcherebbe quello presentato nella passata legislatura, vieterebbe - con pesantissime sanzioni - anche la pubblicazione di contenuti non coperti dal segreto istruttorio: una vera e propria censura preventiva.
Anche qui le regole necessarie, che non limitano la libertà di espressione e proteggono la vita privata, ci sono già. Basterebbe farle rispettare.

Forze dell'Ordine e tribunali sequestrano siti internet e condannano i loro titolari contro ogni logica costituzionale e anche, a volte, contro la stessa legge. C'è il caso recentissimo di uno studioso che è stato condannato per "stampa clandestina" anche se il suo blog era firmato con nome e cognome (vedi Blog e stampa clandestina: aspettiamo la sentenza.

Non si contano le perquisizioni nelle redazioni e nelle abitazioni dei giornalisti, che rendono impossibile esercitare il diritto di cronaca perché annullano il segreto professionale: per questo sono state più volte condannate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.

L'informazione "cane da guardia della democrazia"? Quarto potere? Quando, alcune settimane fa, il giornalista Marco Travaglio ha rivolto dagli schermi televisivi gravi accuse nei confronti del presidente della Camera dei deputati, questi non si è presentato il giorno dopo davanti agli stessi schermi per chiarire la propria posizione, come accade in tutti i paesi democratici. Altrove, se il politico avesse dimostrato la propria estraneità a fatti oggetto dell'accusa, il giornalista sarebbe stato cacciato a pedate. Qui invece il mondo politico si è scagliato contro "l'arroganza" del giornalista, trattato come un fastidioso seccatore, irrispettoso della sacralità del potere.

Nel nostro Paese i giornalisti vivono con il fiato sul collo: politica e mercato condizionano l'informazione, le sovvenzioni pubbliche tengono in piedi testate asservite al potere. Quando non basta, ecco gli "atti di indirizzo", i disegni di legge liberticidi, le "autoregolamentazioni" imposte dall'alto: di fatto "eteroregolamentazioni" accettate senza troppo discutere.

"Ci sono tre poteri nel Parlamento, ma nella tribuna della stampa c'è un quarto potere, più importante degli altri". Così, alla vigilia della rivoluzione francese, lo statista inglese Edmund Burke definiva i giornalisti.
Da noi, nel 1995 lo storico del giornalismo Nicola Tranfaglia pubblicava un libro dal titolo significativo: "Ma esiste un quarto potere in Italia?".
Una domanda retorica.

Ultima ora. Contro il disegno di legge sulle intercettazioni si mobilita la Federazione nazionale della stampa, con la previsione di scioperi "anche di più giorni. L'Ordine dei giornalisti «non rispetterà la norma del disegno di legge del governo - ove fosse approvata dal Parlamento - che dispone la sospensione dal servizio o dall'esercizio della professione fino a tre mesi del giornalista che pubblicherà atti di indagine preliminare, ove sia evidente il pubblico e legittimo interesse dei cittadini a conoscere la verità».

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