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Professione giornalista

E' aperta la discussione sull'accesso alla professione

Sulla "inutile proposta" l'Ordine risponde

Questa è la risposta dell'ufficio comunicazione dell'Ordine dei giornalisti all' articolo Ordine dei giornalisti: inutile proposta di legge. I temi sollevati sono molti: alcuni li affrontiamo in Giornalisti e precari: la casta dei "giornalari", Altri saranno presto oggetto di approfondimento. Intanto il Blog dei giornalari aspetta nuovi contributi per avviare una discussione seria su una questione che interessa le radici profonde di una nazione che vuole essere democratica.
3 giugno 2009

Ordine dei giornalisti: una proposta inutile?

Nella home page di Interlex n. 386 del 25 maggio 2009 Manlio Cammarata scrive di una proposta di legge (Camera n. 2393 d’iniziativa Pisicchio ed altri) che a suo avviso manifesta il fine corporativo di un ente contrario alle aperture ai giovani ed ai precari, l’Ordine dei giornalisti, voluto dal fascismo e che bisognerebbe chiudere (in realtà è un articolo di Manlio Cammarata reporter riportato anche nella prima pagina di InterLex, ndr).
Iniziamo dalla Storia (quella con la maiuscola): l’ordine dei giornalisti non è stato voluto dal fascismo ma segue la tradizione italiana delle discipline professionali ispirate ai criteri della legislazione francese (che a fine settecento e nell’ottocento rappresentavano quanto di più moderno si poteva concepire sotto il profilo della legalità e della laicità del diritto) e che avevano visto la creazione dell’ordine degli avvocati nel 1874 e via via di altri Albi tra cui i ragionieri nel 1906, le professioni sanitarie nel 1910 i notai 1914, gli ingegneri e architetti nel 1923
Le basi per la nascita di un Ordine dei giornalisti furono due decreti legge del 15 luglio 1923 e del 10 luglio 1924 ed una legge, la n. 2307 del 1925, che prefigurò l’istituzione dell’albo professionale dei giornalisti.
Tuttavia, il sistema si arenò con la entrata a regime delle norme (l. n. 563 del 1926) sul sindacato unico di diritto pubblico, le c.d. corporazioni, anche per ogni categoria di professionisti, con la conseguenza che gli ordini la cui regolamentazione non aveva trovato ancora una propria organizzazione sostanziale finirono nel dimenticatoio. Nel periodo fascista, quindi, un ordine dei giornalisti non funzionò mai nei termini che oggi conosciamo, ma esistevano albi regionali tenuti e compilati dal sindacato regionale, con conseguenze discriminatorie nei confronti di chi veniva considerato inadeguato dalla commissione nominata dal sindacato unico fascista.
Chi oggi ritiene di dover far derivare dal regime dittatoriale la matrice o l’idea di un albo o di un ordine dei giornalisti, dovrebbe tener ben presente questa sostanziale differenza: il controllo delle iscrizioni all’albo nel periodo fascista era affidata ad una commissione ministeriale nominata dal regime che finì altresì per controllare e determinare a quali giornalisti affidare i posti di comando.
Mussolini (Benito) non inventò quindi nessun ordine dei giornalisti ma semmai ne impedì l’organizzazione per controllare con i suoi prefetti e le loro commissioni chi era autorizzato a scrivere; se proprio vogliamo associare al giornalismo un Mussolini, allora dobbiamo parlare di Arnaldo che creò con l’INPGI il sistema previdenziale autonomo dei giornalisti e del quale essi sono ancora oggi felici di fruirne, indipendentemente dai retaggi storici.
Passando alle critiche “sostanziali” Manlio Cammarata lamenta che l’accesso al giornalismo professionistico è una cinquina per raccomandati che devono sottostare alle ingiustizie ed ai ricatti di editori senza scrupoli. Chiede, quindi, che si diventi giornalisti per il solo fatto di essere assunti ovvero di aver svolto con continuità l’attività di free lance.
In buona sostanza invoca una sanatoria senza domandarsi se ad esserne fruitori debbano essere gli sfruttati o i raccomandati (anche a pagamento?). Non cita che sul tema dello sfruttamento, l’Ordine è intervenuto da tempo con la forza che gli deriva dall’essere un ordinamento riconosciuto: i criteri interpretativi dell’art. 34 elaborati dal Consiglio nazionale puntano proprio nella direzione indicata,
consentendo a chi è già iscritto all'Albo come pubblicista e a chi svolge attività giornalistica da almeno tre anni con rapporti di collaborazione coordinata e continuata con una o più testate qualificate allo svolgimento della pratica giornalistica, l'iscrizione al Registro dei praticanti necessaria per l’esame di giornalista professionista.
Sotto questo profilo, la proposta di legge criticata viene incontro ad una fondamentale esigenza sostenuta da vari anni dall’Ordine per far accedere al professionismo, come avviene in tanti paesi europei, chi segue un percorso di studi professionali qualificanti per l’esercizio dell’attività giornalistica al pari di medici, avvocati, psicologi, ecc.
La proposta di legge riprende una normativa che dal 2006 poteva essere arrivata a conclusione con il c.d. progetto Siliquini, già oggetto di un decreto legislativo, cui mancava solo l’iter finale di registrazione per la pubblicazione e che venne poi “congelato” dall’allora Ministro Mussi.
Con l’accesso universitario, che non si comprende se Cammarata ritenga inutile o addirittura dannoso secondo l’opinione di cui molti ancor oggi si fregiano che il giornalismo lo faccia la “strada”, viene meno anche il rischio di quel “mercato” del praticantato o dello sfruttamento dei pubblicisti che veniva lamentato.
L’accesso universitario, infine, va proprio nel senso opposto della chiusura, consentendo opportunità professionali a chi non ha “amici” ma può, al contrario, far valere una solida preparazione.
Liquidare poi gli altri aspetti della proposta di legge ad una querelle tra Ordine e FNSI sul numero dei consiglieri, significa non dar conto di un importante aspetto della legislazione ordinistica che non riguarda solo l’accesso ma la deontologia. Un procedimento con 139 giudici non funziona; nella proposta di legge non c’è solo la Commissione deontologica competente in materia disciplinare con collegio ridotto, ma c’è la semplificazione dell’esame dei ricorsi in materia di iscrizione e delle procedure consiliari, il giurì dell’informazione per dare risposte sollecite a legittime attese da parte dei cittadini su eventuale ingiustizie patite dal mondo dell’informazione.
C’è, poi, la risposta all’esigenza ribadita dai pubblicisti italiani che chi si iscrive all’Albo debba sapere di che si tratta e quali siano le responsabilità che ne derivano.
E’ sicuramente una proposta di legge di ridotte dimensioni rispetto ad un progetto di riforma di ampio respiro come quello varato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e presentato al modo della politica ed all’opinione pubblica in generale il 9 maggio scorso nelle sedi degli ordini regionali dei giornalisti e che può essere consultato nel sito www.odg.it
Di sicuro non è una proposta inutile ma un contributo serio e soprattutto concreto offerto da parlamentari giornalisti di tutte le estrazioni politiche, competenti ed accorti a voler dare una segnale che faccia uscire la professione da un immobilismo normativo ormai pregiudizievole e che dura da troppi anni se è vero, come è vero, che sin dalla sua prima riunione nel 1965 il Consiglio nazionale prospettò l’opportunità della revisione della legge istitutiva su una serie di problematiche che, tra l’altro, riguardavano la macchinosità del sistema elettorale, la difficoltà di esame dei ricorsi da parte del Consiglio nazionale la cui composizione in sede giudicante già allora risultava numerosa, la promozione della formazione professionale.
Grazie, quindi, ai parlamentari che hanno voluto riprendere in mano questo filo.

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