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Professione giornalista

Giornalisti free lance bastonati da Bersani e Visco?

17.07.06
Abolizione (teorica) dei compensi minimi, obbligo (presunto) di tenere due conti correnti: leggiamo con attenzione il decreto "competitività".
Alcune disposizioni del "decreto competitività" del 4 luglio scorso interessano i giornalisti free lance: 1) l'obbligo di far passare tutti i movimenti di denaro relativi all'attività professionale attraverso un conto corrente postale o bancario; 2)la riscossione dei compensi solo con "assegni non trasferibili o bonifici ovvero altre modalità di pagamento bancario o postale nonché mediante sistemi di pagamento elettronico"; 3)l'abolizione delle "tariffe obbligatorie fisse o minime" per le attività libero-professionali o intellettuali. Quest'ultima disposizione ci riguarda solo indirettamente, come vedremo tra poco.
Il primo punto ha dato luogo a interpretazioni discutibili. Infatti si è detto che, in forza di queste disposizioni, i liberi professionisti sono obbligati a tenere almeno due conti correnti postali o bancari, per separare incassi e spese professionali dai movimenti personali.
Sembra una presa in giro, nel momento in cui sono sotto accusa i costi spropositati applicati dalle banche italiane per i rapporti di conto corrente. Il doppio conto appare quindi un balzello in più per una categoria, quella dei giornalisti free-lance, che non brilla certo per il livello medio dei compensi.

In realtà l'art. 35 del decreto prevede l'obbligo di servirsi di un conto corrente bancario o postale per tutti i movimenti di denaro relativi all'attività professionale, ma non vieta in alcun modo di far passare sullo stesso conto somme diverse. Dunque non è necessario avere almeno due conti.
Però la separazione tra la contabilità professionale e quella personale può essere molto utile nel caso di "accertamenti" da parte dell'amministrazione fiscale. Che potrebbe chiedere spiegazioni su entrate e uscite non riportate nei rispettivi registri, con tutti i problemi che ne derivano. Come ben sa chi è incappato nell'incubo kafkiano dei  "parametri", con i quali l'Agenzia delle entrate spreme con burocratica ferocia, anche in violazione di norme legislative e regolamentari, i contribuenti onesti (gli altri chiedono il condono e si mettono al sicuro, pagando comunque meno del dovuto).

In sostanza il fisco chiede che ogni movimento di denaro lasci una "traccia elettronica". Non è un problema per chi, lavorando solo per società editoriali, deve comunque emettere fattura per essere pagato. Tanto dovrebbe bastare per limitare l'arbitrio delle "presunzioni", in forza delle quali ogni contribuente che non sia un ricco professionista o un dipendente è ipso facto colpevole di evasione fiscale ed è costretto a provare il contrario. Con buona pace dello "Stato di diritto".
Dunque, se c'è la scelta tra tenere uno solo o più rapporti bancari, la soluzione del doppio conto può essere utile per rendere più facilmente sostenibili eventuali controversie sulle tasse pagate o non pagate.

Passiamo ora all'altro punto, quello dell'abrogazione delle "tariffe obbligatorie fisse o minime", che richiede un discorso più complesso.
Va detto subito che, a differenza di altre professioni, per l'attività giornalistica non esistono compensi minimi da rispettare per legge. Il tariffario che ogni anno viene pubblicato dall'Ordine dei giornalisti ha un puro valore di riferimento. In pratica non viene rispettato quasi mai ed è preso in considerazione solo nei casi in cui il giornalista free-lance decide di fare causa a un editore, dopo aver chiesto il parere di congruità sulla somma rivendicata all'Ordine di appartenenza. Evento rarissimo, perché ben pochi sono disposti a correre il rischio di perdere anche i compensi da fame, pagati "a babbo morto", per la maggior parte delle collaborazioni giornalistiche, citando in giudizio un editore.

E allora dov'è il problema? E' nel fatto che la richiesta di un tariffario "legale" era compresa tra le rivendicazioni della Federazione nazionale della stampa per il rinnovo del contratto nazionale, come spiega Franco Abruzzo in Il "fuoco amico" del governo Prodi affonda la piattaforma della FNSI.
L'analisi di Abruzzo è in buona parte condivisibile, ma se ne possono trarre anche conclusioni diverse da quelle ipotizzate dal presidente dell'Ordine lombardo.
E' vero che l'abrogazione delle norme che prevedono il valore vincolante delle tariffe stabilite vari ordini professionali toglie qualsiasi efficacia all'art. 636 del codice di procedura civile (da abrogare per effetto delle norme in questione?). Ma è vero anche che: a) la disposizione non riguarda i giornalisti, proprio perché il tariffario dell'Ordine non è vincolante per legge; b) ci sono altri strumenti per costringere un editore a pagare il dovuto e a subire le conseguenze degli eventuali ritardi.
In ogni caso, se del credito si dà prova scritta ai sensi dell'art. 634 del codice di procedura civile (di solito la fotocopia autentica del libro dei corrispettivi), il giudice emette comunque l'ingiunzione. E per i ritardi nel pagamento c'è il  decreto legislativo 9 ottobre 2002 n. 231, che prevede interessi salati a carico dei pagatori "pigri".

Ma, come sanno tanti giornalisti liberi professionisti, di solito la fattura viene emessa dopo che è stato ricevuto dall'editore il consuntivo delle collaborazioni prestate in un certo periodo: niente consuntivo-niente fattura, niente fattura-niente decreto ingiuntivo?
E' una prassi, non una norma. Nulla vieta di emettere la fattura in mancanza dell'avviso dell'editore (che spesso lo ritarda apposta per ritardare il pagamento). L'obbligazione al pagamento del corrispettivo sorge nel momento in cui la prestazione è conclusa con la pubblicazione dell'articolo (o del servizio fotografico o televisivo). Quindi è possibile emettere la fattura anche prima di ricevere il consuntivo e anche di richiederne il pagamento coattivo dopo trenta giorni.
Ma quale importo deve essere indicato nella fattura? In assenza di un preventivo accordo scritto con l'editore, si può tranquillamente indicare la cifra del tariffario dell'Ordine, che dovrebbe sopravvivere al decreto Bersani-Visco proprio perché non vincolante per legge. Sarà l'editore, nell'eventuale giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, a dover dimostrare la non congruità della somma.

Tutto questo, purtroppo, nella maggior parte dei casi può rivelarsi pura teoria, perché sono pochi i free lance che possono permettersi di subire le conseguenze di una simile iniziativa.

In ultima analisi, l'"affondamento" pianto da Abruzzo è l'affondamento di una speranza. Che forse può destare più disappunto dell'affondamento di una realtà come quella che fino a oggi ha privilegiato altre libere professioni. Ma questa realtà doveva comunque essere superata nell'ottica della liberalizzazione del mercato e per l'applicazione delle disposizioni dell'Unione europea.

Dunque il problema ritorna al punto di partenza: l'inadeguatezza dei compensi e i ritardi nei pagamenti. Non è materia del decreto "Bersani-Visco": per i primi occorre un'azione più incisiva del sindacato e dell'Ordine, per i secondi la legge c'è già e non si deve fare altro che richiederne l'applicazione. Eventualmente anche davanti al giudice.

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