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Televisione

Le scelte sbagliate per l'assegnazione delle frequenze DTT

Sassano: "Non hanno seguito le indicazioni dei tecnici"

I guai dello switch-off non finiranno neanche tra qualche mese, quando in Italia tutta la Tv sarà digitale. Il professor Antonio Sassano spiega perché in tante zone molti canali (soprattutto Rai) si ricevono male o non si ricevono più.

16.04.12 (da Digital Video HT n. 142 - marzo 2012)

Università di Roma La Sapienza, dipartimento di informatica, automatica e gestionale “Antonio Ruberti”. Qui lavora il professor Antonio Sassano, docente di “ottimizzazione combinatoria”. Difficile spiegare in poche parole che cos’è l’ottimizzazione combinatoria. Basta dire che il professor Sassano è considerato il massimo esperto di reti, chiamato spesso a risolvere problemi molto complessi. Come quello di non far interferire migliaia di trasmettitori televisivi in un territorio piccolo e accidentato come il nostro. Ha collaborato anche con il Ministero delle comunicazioni e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per la realizzazione del piano delle frequenze del digitale terrestre. Per questo sono andato a chiedergli qualche spiegazione sui problemi che si verificano dove la transizione dall’analogico al digitale è già compiuta.

Professor Sassano, mancano pochi mesi allo switch-off totale, letteralmente lo “spegnimento” della televisione terrestre analogica. Che al suo posto si accenda dovunque la televisione digitale è materia di discussione. Ma indietro non si torna. Ora la domanda è: si poteva fare meglio?

Sì, si poteva fare meglio. Intanto, tutta la materia è stata condizionata da una fondamentale decisione dell’Autorità, la delibera 181 del 2009, che ha stabilito in 25 il numero delle reti nazionali. Siccome per legge le reti locali debbono essere la metà delle reti nazionali, le reti locali dovevano essere 12 e mezzo, in pratica 13 reti. Che sommate alle nazionali significano 38 multiplex. Un numero altissimo, che quando lo diciamo in Europa tutti sgranano gli occhi. Anche i francesi partivano da una situazione simile alla nostra, eppure hanno deciso di realizzare 6 multiplex DVB-T al momento dello “switch-off” analogico, con il proposito di realizzarne successivamente altri 5. Due di questi sono stati riservati all’alta definizione e la gara per l’assegnazione dei canali si sta svolgendo in questi giorni. La Francia aveva originariamente destinato 2 altri multiplex alla tecnologia DVB-H, che però è morta sul nascere. Gli inglesi hanno realizzato 6 multiplex. Gli italiani 38, una sfida incredibile per la pianificazione. L’Autorità ha pianificato 48 frequenze in UHF e 7 frequenze in VHF, in tutto 56 “canali” per realizzare 38 multiplex su tutto il territorio nazionale. È stato possibile solo utilizzando la capacità del digitale di funzionare bene in modalità SFN (Single Frequency Network): reti che utilizzano, su tutti gli impianti, la stessa frequenza. Il contrario di quello che si fa nelle reti analogiche. Non è stato facile convincere i singoli operatori che questa era l’idea giusta, perché gli operatori volevano semplicemente tenersi le loro frequenze, con una transizione “uno a uno”.

Quattro a uno, se si considera il numero dei canali che poteva essere trasmesso su una sola frequenza.

E sei a uno oggi. Il piano è stato approvato nel 2010. Ed era prudente. Ma al momento metterlo in pratica sono sorti i problemi. Per esempio, in Lombardia il piano prevedeva venticinque multiplex nazionali e quindici multiplex regionali per le reti locali, quindi due in più dell’obbligo di legge. In Emilia-Romagna tredici, altri tredici in Veneto. Quindi il numero previsto dalla legge. Il problema è stato che le emittenti locali hanno giudicato insufficienti questi numeri in quanto non consentivano ad ogni emittente di conservare la sua frequanza.

Perché le emittenti locali non si sono consorziate in modo di realizzare una più efficace suddivisione delle frequenze?

Perché ciascuno voleva conservare le proprie e restare operatore di rete. Per le emittenti italiane le frequenze di servizio sono il risultato di una “guerra di posizione” durata anni. In un quadro non regolato. Perdere la frequenza, diventare semplici fornitori di contenuti significava, per molte emittenti locali, perdere tutto.

Grazie alla legge del 2001 che ha consentito il trading delle frequenze.

Sì. Spesso questa legge viene presentata come una legge avanzata. In realtà noi siamo stati i primi a consentire che qualcuno disponesse di qualcosa che in alcuni casi era stato concesso, in altri era stato originariamente “occupato”, semplicemente installando un trasmettitore su una collina. Da quel giorno l’operatore ha considerato come “sua” quella frequenza in quella zona.

In sostanza, nel passaggio al digitale si è persa l’occasione di rimediare al disastro dell’occupazione selvaggia delle frequenze nella seconda metà degli anni ’70.

No, qualcosa è stato fatto. Prima era veramente il caos. Una frequenza veniva riutilizzata in analogico su trasmettitori vicini, c’era una guerra tra le emittenti. Adesso, bene o male, l’adozione delle reti a singola frequenza ha semplificato il quadro. Per esempio, una frequenza singola assegnata a una rete nazionale, ormai è “salva”, è fuori dal Far West, perché nessuno la può interferire, se non dall’estero. Una frequenza che è utilizzata da un’emittente locale, secondo il piano, cioè utilizzata in Veneto, non utilizzata in Emilia-Romagna, non utilizzata in Lombardia, riutilizzata di nuovo in Toscana, è una frequenza ben utilizzata. Cioè, se il Ministero avesse applicato il piano così com’era, pur scontando il piano stesso il limite delle venticinque frequenze nazionali, sarebbe stato comunque un lavoro di razionalizzazione. Anche adesso, se si applicasse il piano così com’è, la situazione sarebbe enormemente migliore di quella precedente.

Ma allora c’è qualcosa che non funziona nell’applicazione del piano.

Il fatto è che il Ministero ha deciso di assegnare le frequenze a tutti quelli che le chiedevano. Il piano prevedeva quindici frequenze in Lombardia, tredici in Emilia-Romagna, tredici diverse in Veneto. Invece il Ministero ne ha assegnate ventisette in Lombardia, ventisette in Emilia-Romagna, ventisette in Veneto. Le stesse. Il che vuol dire il caos. Ma è un caos concentrato sulle emittenti locali, mentre prima era generale.

Però la Rai è una delle emittenti che sembrano più penalizzate, mentre i canali Mediaset si vedono bene quasi dovunque.

Perché la Rai ha chiesto di essere trattata come le emittenti locali per il multiplex di servizio pubblico. E ha commesso un errore, perché così si trova all’interno del caos.

C’è qualcosa che mi sfugge. A me risulta che la maggior parte dei MUX A della Rai, cioè quelli di Rai 1, 2, 3, RaiNews eccetera, sono nella banda VHF, quella del vecchio primo canale, e non in UHF, dove sono le emittenti locali.

Doveva essere sul VHF. Dove era Rai 1, poi, proprio per “regionalizzare” le trasmissioni di Rai3, in molte aree il multiplex di servizio pubblico viene trasmesso in UHF.

In ogni caso, per quanto ne so, il VHF presenta una propagazione del segnale meno favorevole dell’UHF.

No, la propagazione del VHF è più favorevole dell’UHF, ma di conseguenza più interferente. Chi dice che è più difficile realizzare una rete in VHF ha ragione, se è una rete in singola frequenza. Perché se io ho un trasmettitore a Torino e uno a Milano sulla stessa frequenza, le due emittenti tendono naturalmente a interferire nella zona intermedia. In VHF la zona di interferenza è più grande, proprio perché l’area di propagazione è più vasta. Quindi un’emittente arriva a disturbare l’area di servizio vicina con un segnale più forte.

Questo spiegherebbe perché in alcune zone a Nord di Roma i canali Rai non si vedono: si ricevono contemporaneamente le emissioni di Monte Mario e Monte Cavo, che da quella distanza appaiono separate da un angolo piuttosto stretto. Evidentemente sono al di fuori della “finestra” all’interno della quale le stazioni in singola frequenza si rinforzano, invece che interferirsi a vicenda.

È possibile. Nell’area di Roma le due stazioni si rinforzano e si ricevono molto bene.

Non dovunque, per quanto mi risulta. C’è un’area, all’interno del Grande raccordo anulare, dove Rai 1 in analogico si vedeva male e ora tutti i canali del servizio pubblico non si vedono più.

Ci sono delle zone d’ombra. Ma in questi casi la Rai può installare un “gap filler”, cioè un piccolo trasmettitore che ripete in un’area limitata il segnale in singola frequenza.

Anche nella zona di Viterbo ci sono problemi seri. Con l’analogico alcune aree a Sud del capoluogo vedevano il segnale di Roma, che è scomparso con lo switch-off. Ora è stata digitalizzata anche Viterbo, ma la situazione non è migliorata.

Lì la situazione è più complessa. Questa è un’altra questione importante. Il piano AGCOM aveva aggregato la provincia di Viterbo con l’Umbria e la Toscana. Questo perché, ad esempio, molte utenze della zona di Viterbo erano servite dal grande trasmettitore di Monte Peglia, in Umbria, ma ora che il Ministero ha deciso di assegnare le frequenze su base regionale non si può più mettere Viterbo insieme alla Toscana o all’Umbria.

In sostanza la pianificazione “politica” non rispetta le esigenze della pianificazione “tecnica”. Ma con la completa digitalizzazione, sparito del tutto il segnale analogico, sarà possibile migliorare la situazione?

Non per lo spegnimento dell’analogico. L’interferenza dell’analogico sul digitale è più favorevole di quella analogico su analogico o digitale su digitale.

Quindi o le cose restano così, o peggiorano, se si considera che le emittenti televisive dovranno abbandonare le frequenze da 61 a 69.

Questo è il problema aperto. Il piano aveva lasciato alcune frequenze non assegnate, poi il Ministero ne ha assegnate lo stesso alcune. Il che significa che adesso dovranno essere liberate e lo Stato dovrà pagare per liberarle. La soluzione può passare solo per i consorzi di emittenti. Lo vedremo presto con le procedure di assegnazione per la Sicilia, dove i multiplex non basteranno per tutte le emittenti locali. E dove il servizio pubblico della Rai è fortemente interferito.

Ma perché le emittenti di Mediaset non sono mai interferite, o comunque sono meno interferite di quelle della Rai?

Perché ha Mediaset ha le sue frequenze, che sono le stesse in tutta Italia. Sono isolate, segregate rispetto all’inferno dei ventisette multiplex regionali. Diciotto da ora, sottraendo le frequenze da 61 a 69.

Dunque dobbiamo aspettarci non un miglioramento, ma un peggioramento della situazione?

È chiaro che qualcosa si dovrà fare. La separazione tra fornitori di contenuti e operatori di rete e la formazione di consorzi, sulle quale insisto da sempre, forse sono l’unica soluzione. Potrebbe consentire a tutte le emittenti locali e alla Rai di trasmettere con maggior qualità ad un numero maggiore di utenti.

(Intervista registrata il 19 gennaio 2012)

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