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Televisione

Dall'analogico al digitale. Tolto al servizio pubblico il primato nel controllo dell'etere

Romani scippa le frequenze alla Rai

di Carlo Rognoni - 21.06.11 (da Il Riformista del 18.06.11)

Dalla Rai non se ne va solo Santoro. Se ne stanno andando anche le frequenze! Più ci avviciniamo alla data dello switch-off - ovvero del passaggio dall’analogico al digitale in tutta Italia - più diventa evidente la rapina che il governo Berlusconi ha immaginato. e programmato...
Dalla Rai non se ne va solo Santoro. Se ne stanno andando anche le frequenze! Più ci avviciniamo alla data dello switch-off - ovvero del passaggio dall’analogico al digitale in tutta Italia - più diventa evidente la rapina che il governo Berlusconi ha immaginato. E programmato.
Eh bravo il ministro Romani! Sta riuscendo nell’operazione più devastante e più nell’ombra che mai sia stata immaginata ai danni del servizio pubblico: ridurre la Rai in miseria togliendole il primato del controllo dell’etere, cioè del possesso delle migliori frequenze. E tutto ciò molto banalmente vuol dire che i programmi della Rai si vedranno meno bene in diverse parti d’Italia.
Il risultato dell’azione del governo comincia a dare i suoi frutti! Con l’assegnazione delle frequenze guidata proprio dal ministero per lo Sviluppo già oggi abbiamo una Rai più debole, meno competitiva, con una copertura del territorio non sempre all’altezza degli impegni da servizio pubblico. Perfino l’Antitrust - stimolata dalla Federconsumatori - sta intervenendo: molti telespettatori - come volevasi dimostrare - non riescono a vedere bene i canali Rai. E mancano ancora all’appuntamento dello switch-off totale regioni come Liguria, Marche, Umbria, Toscana, Puglia e Sicilia).
E Mediaset? Beh! Naturalmente ha le migliori frequenze che le consentono una distribuzione del segnale digitale dei suoi canali - anche quelli pay - in tutta Italia senza il pericolo di interferenze. Dopo Mediaset viene D-Free, la rete di Tarak Ben Ammar, il grande amico di Berlusconi. E poi non è finita: c’è anche il sospetto che il ministero sia riuscito perfino a garantire una distribuzione privilegiata delle frequenze ad alcune tv locali. Solo a quelle “amiche”? Quello che c’è di certo è che a farne le spese di questa rivoluzione dello spettro è soprattutto la Rai.
Ai tempi dell’analogico la Rai aveva un patrimonio di frequenze inarrivabile: 6.500 di ottima qualità messe insieme in più di cinquant’anni di servizio pubblico. Mediaset ne aveva 5.500, anch’esse di buona qualità anche se non all’altezza di quelle Rai. Insieme avevano la metà delle 24 mila frequenze utilizzate in analogico in Italia. Insomma “il duopolio dello spettro” era una realtà incontrovertibile. Poi arrivò la prima resa dei conti: in una conferenza internazionale a Ginevra, proprio in vista del passaggio dell’Europa dall’analogico al digitale terrestre, fu deciso di mettere ordine e fu fatto un nuovo piano per la distribuzione delle frequenze paese per paese. L’Italia dovette rinunciare a quella occupazione selvaggia dell’etere che andava a scontrarsi con spazi di spettro che toccavano a Paesi confinanti, quelli dell’Adriatico soprattutto ma anche della Francia e della Svizzera. Alla fine di una battaglia a colpi di ingegneri - eravamo negli anni della presidenza Petruccioli e direttore generale era Claudio Cappon - la Rai uscì da Ginevra in piedi: quasi tutti i circa 3.600 impianti/frequenze italiani coordinati a Ginevra (su 24 mila, ricordiamocelo!) erano della Rai e Mediaset non aveva quasi nessuna frequenza registrata in quello che gli addetti ai lavori chiamano il “Master Register” ginevrino.
Alla fine del processo di transizione dall’analogico al digitale lo scenario è totalmente cambiato. Mediaset avrà sei multiplex nazionali che utilizzano sei frequenze in esclusiva e coordinate con tutti i Paesi confinanti. E la Rai? Forse che non dovrebbe avere di più? Aveva di più e quindi non sarebbe scandaloso se avesse un’eredità più ricca! Ebbene non è così. Grazie alla gestione Romani - durante la direzione generale Masi - se va bene, si fa per dire, la Rai si ritroverà con quattro multiplex nazionali di qualità leggermente inferiore ai sei di Mediaset e con due multiplex di qualità drasticamente inferiore realizzati per la prima volta nella storia del servizio pubblico italiano su frequenze non coordinate e quindi non in grado di garantire un servizio di qualità agli utenti. Si tratta di una perdita secca: 4 - 500 milioni di euro basandosi sulle “basi d’asta” della gara di Tremonti per la valutazione dei canali UHF.
I consiglieri di amministrazione della Rai ne sono informati? Il presidente Garimberti e il nuovo direttore generale Lorenza Lei sanno di che si tratta? Oltre a occuparsi di palinsesti e nuovi direttori di rete che piacciano a qualche partito di maggioranza, non sarebbe il caso che il cda si facesse carico di una reazione orgogliosa della Rai, evitando che la bulimia di Mediaset e del cavalier Berlusconi oltre a far perdere credibilità e immagine al servizio pubblico lo depauperasse del patrimonio delle frequenze? Forse che non è materia del cda? Gli esperti sostengono che per tenere la qualità del segnale con questo tipo di assegnazione la Rai si ritroverà a dover investire in manutenzione 70 - 80 milioni di euro in più di quello che spenderebbe se avesse frequenze coordinate ed esclusive.

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