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Televisione

Presentata al Parlamento la relazione dell'AGCOM sul 2008

TV, la grande "bufala" del pluralismo digitale

A forza di ripetere una cosa falsa, si dice, diventa vera. E' un rischio da non trascurare. Perché se si continua a dire che con Sky e il digitale terrestre è risolta l'anomalia televisiva, l'anomalia televisiva non si risolverà mai.
20 luglio 2009
Qual è lo stato di salute delle comunicazioni in Italia? Difficile trovare qualche risposta sintetica nelle quattrocentodieci pagine di dati, diagrammi, riferimenti normativi che costituiscono la relazione annuale al Parlamento  dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. E' meglio leggere il discorso di presentazione del presidente Corrado Calabrò, che riassume i punti significativi: la crisi dell'editoria tradizionale di fronte all'avanzata dei nuovi media (che però sono ancora a percentuali di utilizzo molto basse); le tariffe troppo alte praticate dagli operatori di telefonia mobile; l'urgenza di dotare l'Italia di un'infrastruttura efficiente a larga banda. Sono i punti più evidenti e anche più condivisibili.
Ma la curiosità del lettore riguarda soprattutto la televisione. Come vede il Garante l'anomalia italiana? La risposta è semplice: non la vede.

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Dice il presidente dell'AGCOM "La TV è una finestra aperta sul pianeta. La nostra è spesso una finestra sul cortile. E’ ripiegata sui fatti di casa nostra, specie di cronaca nera. E’ una grande TV locale. Il che induce un effetto di chiusura mentale da considerare, poiché per una gran parte dei telespettatori la televisione ha una funzione di validazione della realtà: i fatti non riportati in televisione vengono ritenuti per ciò stesso irrilevanti". Un discorso "alto", che potrebbe condurre a valutazioni molto critiche.

Infatti Calabrò rileva, fra l'altro, l'inadeguatezza della normativa sulla par condicio: "In televisione si assiste ad un proliferare di trasmissioni di approfondimento informativo che utilizzano format analoghi a quelli della comunicazione politica vera e propria, il che rende davvero difficoltoso coniugare i principi di autonomia editoriale e giornalistica e di attualità della cronaca – tipici dell’informazione – con quelli di parità di accesso e trattamento – tipici della comunicazione politica. Ripropongo pertanto l’opportunità di una riflessione su una riforma legislativa che tenga conto dei cambiamenti intervenuti, garantendo pluralismo ed equilibrio in un contesto moderno e molto più diversificato rispetto all’epoca di emanazione della legge. Emerge, al tempo stesso, un problema di completezza e obiettività dell’informazione, specie nei telegiornali, anche fuori dal periodo elettorale".

Senza dimenticare che "resta scetticamente inevasa l’esigenza della riforma della Rai, tuttavia irrinunciabile se non altro per dare alla gestione maggiore efficienza e alle testate maggiore indipendenza dalla politica".

Poi sembra affrontare il tema dell'anomalia televisiva. Riassume il lavoro svolto dall'Autorità, rimettendo ordine nelle frequenze televisive dopo trent'anni di caos e sotto la spada di Damocle di una procedura d'infrazione europea. Dice Calabrò: "Nel settembre 2008 il Governo, d’intesa con l’Autorità, ha stabilito il calendario del passaggio dal sistema trasmissivo analogico a quello digitale. Era l’occasione attesa per il riordino del settore [...] L’Autorità ha adottato una delibera che detta i criteri per il passaggio al digitale, risolvendo al contempo la situazione country specific. Mediaset e Rai ridurranno le loro reti da 5 a 4; anche Telecom Italia scenderà da 4 a 3. Le altre emittenti nazionali manterranno invece le loro reti. Europa 7 ha la sua rete, ponendo termine così a un contenzioso decennale".

Dunque, secondo il presidente dell'organismo "per le garanzie", è tutto a posto. Come vuole una specie di parola d'ordine che negli ultimi tempi sembra adottata sia dalla maggioranza telegovernativa - ed è normale - sia dall'opposizione. E questo è molto meno normale.
Perché l'anomalia televisiva italiana resta sempre uguale. Con un solo soggetto che controlla quasi tutto il sistema televisivo pubblico e privato. Con il passaggio al digitale terrestre che vede le reti Mediaset automaticamente ai primi posti nella lista dei ricevitori e i nuovi canali occupati da emittenti specialistiche o criptate, che non influsicono sugli effetti dell'emittenza generalista unificata dal signore delle televisioni.

Con la sola rete che potrebbe costituire un'alternativa, Europa 7, ancora costretta al silenzio da una non-soluzione al problema delle frequenze. Perché, mentre le altre emittenti siedono intorno a un tavolo e si spartiscono i canali migliori, Europa 7 è stata astutamente confinata su una sola frequenza che non le permette di coprire tutto il territorio nazionale, almeno per un paio d'anni. Il che significa non poter trasmettere, perché, come dice il patron Francesco Di Stefano, non si possono sostenere i costi di un'emittente nazionale senza le entrate pubblicitarie di un'emittente che copre tutto il territorio.

Ma il presidente Calabrò, serissimo, ci racconta che Rai e Mediaset rinunceranno a una rete ciascuna, passando da cinque a quattro, per soddisfare le indicazioni che vengono dalla UE. Chi ha già un ricevitore digitale terrestre, in Sardegna dove è tutto digitale, o a Roma o in altre zone in cui si avvicina lo switch-off, può contare quanti canali ha la Rai e quanti ne ha Mediaset. E forse può capire perché non si arrabbiano alla prospettiva del taglio annunciato (come si arrabbia Fedele Confalonieri quando qualcuno dice che Rete 4 è abusiva): una parte del "dividendo digitale" di fatto è già assegnata (vedi TV digitali, grandi manovre in terra e in cielo).

Il quadro è distorto anche da un'altro recente luogo comune, tanto efficace quanto inesatta: Sky è il secondo operatore nazionale, avendo superato Mediaset per fatturato pubblicitario. Dunque, si dice, il duopolio non c'è più, i protagonisti dell'emittenza sono tre. Ma, a parte la provvisorietà di questo risultato, non si può confrontare il numero di spettatori che vedono la TV generalista gratuita e i suoi telegiornali con il numero di quelli che pagano per vedere lo sport o il cinema.

Dunque la storia che l'anomalia televisiva italiana è risolta e il pluralismo trionfa si rivela un inganno. Come dicono a Roma, una "bufala". Pericolosa, perché distoglie la già scarsa attenzione generale da un problema sempre più serio, quello dell'informazione televisiva a senso unico, intollerabile in un sistema democratico.

 

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