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Televisione

Troppe cose non funzionano, sulla terra e nell'alto dei cieli

I sette misteri della televisione digitale

Dopo lo switch-off, in molte zone del Lazio sono oscurati i canali del servizio pubblico, mentre quelli di Mediaset e di tante emittenti private si vedono bene.
E c'è ricorso alla UE contro Tivù Sat, che potrebbe essere l'unica soluzione.

15 febbraio 2010

Nella crisi generale c'è una sola categoria che non lamenta un calo degli introiti: gli antennisti delle aree televisive "all digital". In particolare del Lazio, dove lo switch-off dell'analogico ha spento di fatto i canali del servizio pubblico per molti utenti che pagano il canone (e anche per quelli che non lo pagano).
E' ormai chiaro che in qualche zona in cui si riceveva - bene o male - il segnale analogico, quello digitale non arriva. O arriva con una potenza e/o una qualità insufficienti per il funzionamento del ricevitore. Il mistero, il primo di una serie, è in una sorta di "selezione naturale", grazie alla quale scompaiono solo i canali del servizio pubblico, mentre si ricevono senza problemi quelli di Mediaset e di una miriade di piccole emittenti.

Per Rai Uno, Due e Tre c'è una parziale spiegazione: il piano delle frequenze messo a punto dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni prevede che questi canali, insieme a Rai Storia, vengano trasmessi da un multiplex su quello che prima era il canale di Rai Uno, nella banda III VHF. Si dà il caso che in questa banda la propagazione del segnale sia meno efficace di quella in banda UHF, sulla quale trasmettono tutti gli altri canali. Tanto che in alcuni paesi la banda VHF è stata destinata a servizi diversi dal broadcast televisivo.

Evidentemente già al momento dello switch-off del Lazio i tecnici si sono resi conto del problema, tanto che hanno annunciato la trasmissione ("sperimentale" e per un periodo massimo di sessanta giorni) dei quattro canali Rai anche sulla frequenza 25 della banda UHF. Ma anche questa presenta notevoli "buchi" di ricezione in aree lontane dalle antenne trasmittenti, forse per problemi di interferenze che costringono i tecnici a usare una potenza più bassa.

C'è però il fatto che in certe aree non si ricevono, o si ricevono a intermittenza, altri canali Rai: Rai4, RaiNews 24, RaiSat Extra e via elencando. Nelle stesse aree i programmi Mediaset si ricevono sempre regolarmente. La ragione tecnica di questa "discriminazione" è un altro mistero ben protetto. Come è un mistero l'inerzia dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni su questa palese violazione degli obblighi di servizio pubblico da parte della Rai.

Ma Rai, Mediaset e La7 hanno annunciato la soluzione per chi non risiede nelle zone d'ombra del digitale terrestre: la trasmissione in simultanea via satellite degli stessi canali, attraverso la piattaforma Tivù Sat. Però la diffusione satellitare impone di codificare alcuni programmi, per i quali le emittenti hanno i diritti di trasissione solo per il territorio nazionale (il satellite copre un'area molto più vasta). Dunque occorre una smart card. E qui c'è un quarto mistero: perché è stata scelta una codifica almeno parzialmente incompatibile con i decoder in commercio, obbligando gli utenti ad acquistare un apposito decoder? E perché gli apparecchi in questione sono stati per lungo tempo introvabili? Altro mistero.

Sul punto è intervenuta una decisione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: la smart card deve essere compatibile "con diversi apparati di ricezione". Inoltre "l’ Autorità ha valutato che le proposte formulate dalla Rai nel corso del procedimento, di offrire ai propri utenti in regola con il pagamento del canone che ne faranno richiesta la smart card Tivù Sat, a fronte del rimborso dei soli costi, nonché di assicurare un congruo numero di carte Tivù Sat alle comunità italiane in Europa, fossero idonee a rimuovere le criticità riscontrate".
La decisione risale al 16 dicembre. Due mesi dopo, delle carte "compatibili con diversi apparati di ricezione" non c'è traccia nei negozi. La ragione? E' il quinto mistero.

A tutto questo si aggiunge una curiosa iniziativa dell'associazione di consumatori Altroconsumo, che fa ricorso alla Commissione europea sostenendo che l'iniziativa Tivù Sat è contraria alle regole comunitarie. Secondo Altroconsumo "Con la creazione della joint venture Tivù, Telecom Italia media, RTI e RAI hanno realizzato una concentrazione di dimensione comunitaria, che tuttavia non è stata notificata alla Commissione europea".

Inoltre, sempre secondo l'associazione "Criptando i programmi con un protocollo di codifica incompatibile con quello del decoder Sky, Rai e RTI hanno in pratica reso inaccessibile la propria programmazione generalista sulla piattaforma Sky in lesione delle regole della concorrenza (Articolo 101 del Trattato). Risultato: circa 5 millioni (sic, ndr) di utenti Sky non potranno ricevere programmi free-to-air e di servizio pubblico".

Non ne azzeccano una. Tivù Sat è un consorzio tra aziende, non una concentrazione ai sensi della normativa europea, e non è di neanche di dimensione comunitaria, perché si rivolge solo al mercato nazionale. Si aggiunga che il protocollo dei decoder Sky non è accessibile al consorzio, quindi se mai un ricorso andrebbe presentato contro Sky per la nota "blindatura" del suo sistema di accesso condizionato.
Infine i programmi "free to air" possono essere ricevuti con i decoder Sky sia con qualsiasi altro decoder in commercio.
Che cosa c'è dietro l'iniziativa di Altroconsumo? Questo è il sesto, interessante mistero.

E c'è un settimo mistero. Gli utenti delle "zone d'ombra" che ricevono i canali Rai attraverso il satellite, non hanno comunque accesso alla programmazione regionale del servizio pubblico. Potrebbero vederla almeno sul web, sia pure con una qualità scadente, dal sito rai.tv. Che però non offre neanche i TG regionali emessi, a rotazione settimanale, dal satellite. Qualcuno ha una spiegazione?

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