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Internet e stampa

La legge sull’editoria viola le norme dell’Unione europea

di Stefano Valentino* - 26.04.01

Ma allora per pubblicare i giornali on line occorre registrarli presso il tribunale, al pari dei loro "cugini" della carta stampata, o no? E, poiché la registrazione per legge presuppone che direttore del giornale sia un giornalista professionista, sorge spontaneo il dubbio: bisogna essere per forza iscritti all’albo professionale per diffondere notizie su Internet o chiunque è libero di esercitare la propria libertà d’informazione sul Web senza restrizioni? A dare la risposta all’arduo interrogativo, da cui dipende gran parte del futuro sviluppo dell’informazione in Rete e da cui è scaturita negli ultimi giorni un accesa controversia che ha coinvolto governo, giuristi, ordini professionali e libertini del "popolo della rete", ci ha pensato l’UE.

Un’affermazione che può certamente stonare alle orecchie di chi è convinto che la riforma dell’editoria, entrata recentemente in vigore, abbia già risolto la disputa a favore dei partigiani della registrazione. L’art. 1 della nuova normativa, infatti, inventa ex-novo una definizione di prodotto editoriale che comprende anche i supporti informatici volti alla diffusione di notizie per via elettronica, prevedendo l’obbligo di iscrizione in tutti i casi in cui un prodotto editoriale siadiffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del prodotto: una formulazione prolissa che non è altro che un sinonimo di "giornale", incluso quello formato on line.

Questa chiara messa al bando dei tanti notiziari web "puri", anche detti web-zines, ossia sprovvisti di una versione cartacea e quindi fino ad oggi non registrati, che sono gestiti da soggetti privi di titolo professionale, costituisce il colpo di grazia del lungo attacco istituzionale alla libera informazione su Internet. Un assalto iniziato circa tre anni fa con le prime sentenze di tribunali che, sbizzarrendosi nelle più svariate interpretazioni, hanno ritenuto di estendere la legge sulla stampa del ’48 alle pubblicazioni telematiche. E che preparava la sua mossa finale già con la finanziaria 2001 (art. 153) in cui si impone l’obbligo di registrazione ai giornali on line editi dai partiti come condizione per beneficiare delle sovvenzioni pubbliche.

Ma non è finita qui, perché il governo aveva addirittura proposto di inserire nel disegno di legge sull’aggiornamento della normativa del ’48, in discussione alla Camera, l’espresso obbligo di registrazione per ogni giornale anche se diffuso a mezzo di trasmissioni informatiche o telematiche. Il DDL è poi decaduto per la fine della legislatura, ma la proposta è passata nella legge sull’editoria.
Casualmente, poi, l’approvazione della riforma dell’editoria è giunta quasi in contemporanea all’accordo stipulato, seppure non ancora in via definitiva, tra FIEG e FNSI sul rinnovo del contratto giornalistico il quale, d’ora in avanti, coprirà obbligatoriamente anche i redattori delle pubblicazioni on line che lavorano presso testate registrate.

L’assurdo risultato è facilmente immaginabile: centinaia di piccoli siti più o meno d’informazione, che sopravvivono attualmente grazie a qualche milione di lire al mese di introiti pubblicitari, costretti a chiudere perché privi di un direttore professionista richiesto per la registrazione e, tanto meno, dei fondi necessari ad assumere ulteriore personale giornalistico con titolo professionale. Ciò nonostante, forse non tutto è perduto. Per rendersene conto basterebbe mettere il naso fuori dall’italico cortile degli interessi politici e di categoria e guardare invece ad un organismo come l’UE che, al riparo da polemiche lontane mille miglia, si è seriamente impegnata negli ultimi mesi a regolamentare il fenomeno dell’informazione in Internet per quello che realmente è: non una semplice scheggia impazzita nel panorama del giornalismo italiano da ingabbiare in un sistema normativo ormai vecchio più di mezzo secolo, ma una positiva e rivoluzionaria realtà trans-nazionale che per svilupparsi a pieno ha bisogno, al contrario, di spezzare gli attuali vincoli statali alla libertà d’informazione.

E’ questo, per l’appunto, il risultato raggiunto con l’approvazione della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, sebbene quest’ultima non si rivolga direttamente al giornalismo telematico.
Obiettivo generale della nuova normativa, la cui entrata in vigore è fissata al gennaio 2002, è quello di promuovere l’integrazione del mercato europeo della "new-economy" attraverso un quadro giuridico uniforme che garantisca la libera prestazione e la libera circolazione tra i vari paesi delle attività o servizi on line (ossia quelli prestati via Internet, ma anche attraverso altri strumenti elettronici interattivi come la TV on-demand). Questi ultimi sono definiti tecnicamente "servizi della Società dell’informazione" (SSI).

Ora, che anche i giornali on line siano soggetti alle disposizioni della direttiva appare facilmente dimostrabile. In primo luogo, è indubbio che la diffusione e la visualizzazione di news in Rete non si traduce nel trasferimento di un bene, come è il caso della pubblicazione di un giornale cartaceo, ma nella prestazione di un’attività immateriale, uno scambio di file dal computer che ospita il giornale al computer del lettore. Al riguardo, secondo il Trattato e la giurisprudenza della Corte UE, una qualsiasi attività economica che, per sua natura, non rientri nella nozione di distribuzione di beni va considerata una prestazione di servizi: il giornale on line (come anche quello radiofonico e televisivo) è quindi un servizio. Per di più, esso è da ritenersi appartenente alla particolare nozione di SSI, quale esplicitamente richiamata dall’art. 1 della direttiva. Quest’ultima comprende qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale del destinatario del servizio.

Un qualunque sito che contenga informazioni d’attualità presenta senz’altro tutti i requisiti dei SSI. In primo luogo, quello della remunerazione, sotto forma dei proventi derivanti dai banner pubblicitari: infatti, secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia UE, per remunerazione di un servizio deve intendersi non solo il corrispettivo versato direttamente da ciascun utente, ma qualsiasi forma di beneficio finanziario che il prestatore possa ricavare dalla fornitura di quel particolare servizio, anche se attraverso un procedimento indiretto come appunto la vendita di spazi pubblicitari associata alla propria attività professionale. Il giornale on line soddisfa, inoltre, il requisito della diffusione elettronica a distanza, insita nel funzionamento stesso di Internet; ed, infine, quello dell’individualità della richiesta da parte del destinatario, grazie al carattere interattivo dei link ipertestuali che danno accesso alle diverse news.

Non per niente la stessa Commissione europea si è premurata di precisare a più riprese, nella Comunicazione del 30 agosto ’96 su "La trasparenza normativa nel mercato interno dei servizi della Società dell’informazione", nel documento di presentazione della stessa direttiva, nonché nel considerando 18 di quest’ultima, che nella categoria dei servizi della Società dell’informazione rientrano anche i giornali elettronici.
Una volta appurato che la disciplina UE si applica ai giornali telematici, per risolvere il nostro dilemma iniziale nel senso della libertà di informazione in Internet ci viene in aiuto l’art. 4 della direttiva che fa piazza pulita dell’obbligo di registrazione. Questo vieta, infatti, agli Stati membri di restringere l’accesso alla prestazione dei SSI, facendo salvi solo i regimi restrittivi più ampi che non colpiscono specificamente ed esclusivamente le attività svolte on line, ma si riferiscono ad attività preesistenti ad Internet.

Riconducendo la norma comunitaria al problema della registrazione delle testate telematiche, la prima domanda da porsi è la seguente: l’estensione dell’obbligo di registrazione alle pubblicazioni in Internet è suscettibile di limitare l’accesso alla prestazione dell’attività d’informazione on line, considerata come un particolare tipo di SSI ? La risposta secca è "sì" per le ragioni già viste.
Facendo l’avvocato del diavolo, si potrebbe obiettare che l’obbligo di iscrizione previsto dalla nuova legge sull’editoria riguarda tutti i tipi di prodotto editoriale caratterizzati da periodicità regolare, siano essi on line che off line. E che, quindi, esso rappresenta un regime restrittivo che non colpisce in modo specifico ed esclusivo l’attività di informazione svolta in Rete, bensì l’attività d’informazione in generale: sarebbe così ammissibile in base allo stesso art. 4 della direttiva.

Eppure, non bisogna dimenticare che per l’editoria giornalistica off line, per intenderci quella della carta stampata e quella radiotelevisiva, la legge italiana già prevede l’obbligo di registrazione attraverso due normative diverse, rispettivamente la legge del ’48 e la legge "Mammì" del ’90. Non c’era, quindi, nessun bisogno di riformare la legge sull’editoria per sottoporre a tale obbligo i giornali stampati e quelli radiotelevisivi. E, d’altro canto, come ben dimostra la stessa diversità di regolamentazione che sussiste tra la pubblicazione di stampati e la radiotelevisione, la diffusione d’informazione generalmente intesa non costituisce un’attività economica in sé ed in quanto tale preesistente ad Internet. Essa, al contrario, dà luogo a tante attività economicamente diverse tra loro a seconda della particolare tecnologia impiegata: quella dell’informazione stampata, quella dell’informazione radiotelevisiva e quella, più innovativa, dell’informazione telematica. Quest’ultima, tra le tre, è l’unica che finora non aveva trovato una sua propria disciplina nel nostro ordinamento perché basata su una tecnologia inesistente all’epoca in cui sono state adottate le vecchie legislazioni sui mass media.

Ecco dunque che l’art. 1 comma 3 della legge 62/01, nonché la modifica alla legge del ‘48 proposta dal governo, sotto le false spoglie di un regime restrittivo generale per la fantomatica "attività di informazione", non hanno altro obiettivo specifico ed esclusivo, se non quello di colpire la prestazione di una particolare attività, appartenente alla categoria dei SSI, che consiste appunto nella diffusione d’informazione per via telematica.
Conclusione: l’estensione dell’obbligo di registrazione ai giornali on line risulta inammissibile in virtù della normativa UE, con buona pace di tutti coloro che credono che la libertà d’informazione esercitata nella rete globale di Internet possa essere ritagliata a pezzi più o meno grandi seguendo le frontiere nazionali.

* Giornalista professionista, corrispondente da Bruxelles per Italia Oggi, specializzato sui temi della new-economy

 

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