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Internet e stampa

Il contributo per l'AGCOM: chi paga?

Daniela Redolfi* - 19.07.2000
Un anno fa, e precisamente il 16 luglio 1999, il ministro delle finanze emanò un decreto che determinava la misura e le modalità del contributo previsto a copertura dell’onere derivante dall’istituzione e dal funzionamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. 
Il decreto stabilisce che il contributo deve essere versato entro il 31 luglio di ogni anno.

I soggetti tenuti al versamento sono quelli operanti in una serie di categorie, tra cui quella dei servizi interattivi e multimediali. In particolare per tale categoria, si specifica che sono soggetti i fornitori di servizi di accesso, i fornitori di servizi di informazione e i produttori e distributori di prodotti, compresa l’editoria elettronica e digitale. 
Per l’anno 1999, il decreto stabiliva una deroga esplicita a favore di tale categoria; deroga che per l’anno corrente non è stata, almeno ad oggi, rinnovata.

Si pone quindi il problema, per la verità urgente, di verificare l’ambito di applicazione del decreto, individuando nel dettaglio quali sono i destinatari del contributo, o meglio le attività sui cui ricavi calcolare lo 0,35 per mille stabilito quale contributo. 
Se alla categoria fornitori di servizi di accesso corrispondono ragionevolmente gli internet provider, diversi dubbi interpretativi sorgono, invece, con riferimento ai fornitori di servizi di informazione e ai produttori e distributori di prodotti.

Se si pensa ai siti web, infatti, sembrerebbe sufficiente l’approntamento di un servizio di informazione (al limite anche una newsletter) per ritenere l’attività soggetta al contributo. Ovviamente a maggior ragione, nel caso in cui attraverso il sito sia resa disponibile una banca dati. Peraltro, la distribuzione di banche dati dovrebbe essere considerata attività soggetta all’applicazione del contributo anche indipendentemente dalla sua accessibilità via internet, cioè anche nel caso in cui la banca dati sia fruibile per via telematica secondo le modalità di collegamento tradizionali.

A fronte di un così esteso ambito di applicazione del decreto, bisogna però segnalare che il contributo è calcolato sui ricavi relativi alle attività in questione. Con la conseguenza che sono esclusi dall’applicazione del decreto tutti i servizi forniti gratuitamente e quindi buona parte dei servizi informativi che ad oggi vengono offerti via internet.

Per quanto riguarda la categoria dei produttori e distributori di prodotti, la formulazione del decreto si presta ad una duplice interpretazione. Se, infatti, non vi è dubbio che il contributo trovi applicazione alla produzione e distribuzione di prodotti interattivi e multimediali (il che è confermato dal richiamo all’editoria elettronica e digitale), potrebbe essere anche sostenibile la tesi che esso si estenda anche ai produttori e distributori di prodotti di tipo tradizionale, che utilizzano per la loro diffusione servizi interattivi e multimediali.
Se così fosse, anche i ricavi derivanti dalla vendita via internet di prodotti di qualsiasi tipo (beni materiali e non) sarebbe soggetta all’applicazione del decreto.

Bisogna però rilevare che se la lettera del decreto si presta a queste considerazioni, la sua ratio induce ad escludere che possano essere subordinati all’obbligo contributivo quei soggetti economici nei confronti dei quali l’Autorità per la garanzia nelle comunicazioni non ha alcuna competenza.
Peraltro, tale criterio si dimostra spesso inefficiente perché l’ambito di competenza dell’Autorità supera quello relativo ai gestori delle infrastrutture di telecomunicazione estendendosi anche, almeno per certi aspetti, ai fornitori di servizi.

Non vi è dubbio che sulle questioni suesposte sarebbe utile un chiarimento del Ministero.

* Avvocato in Milano

 

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