Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013
Home Curriculum Blog Mappa del sito E-mail Storico

 

Internet e stampa

Non vogliamo la registrazione obbligatoria

di Marco Mazzei* - 14.12.2000

La campagna lanciata dall'associazione Peacelink contro la censura in Rete ha preso spunto da alcune dichiarazioni di Franco Abruzzo: il presidente dell'Ordine dei giornalisti lombardo avrebbe sostenuto che la legge sulla stampa sarebbe stata presto modificata con l'obbligo della registrazione in tribunale (e quindi la nomina di un "direttore responsabile") per tutti i siti di informazione. Sempre secondo quanto riportato, a domanda precisa, Abruzzo avrebbe confermato che il criterio discriminante sarebbe stato solo la frequenza di aggiornamento, ovvero la presenza di un flusso continuo di notizie. Obbligo di registrazione, quindi, per tutti, da corriere.it a peacelink.it passando per pincopallino.it, nel in caso in cui il signor Pinco Pallino aggiorni quotidianamente il proprio sito personale con il resoconto puntuale di quanto accade nel proprio condominio.

Quest'ultimo esempio fa sembrare inverosimile la proposta e, nella sostanza, la rende non realizzabile: nessuno può pensare che un percorso di questo genere sia la risposta all'esigenza di rendere più moderna la legge sulla stampa, che è del 1948. Questa legge è in effetti oggetto di verifica proprio in questi giorni: se ne sta parlando, però, in un contesto diverso, che non c'entra nulla con Internet e l'informazione on line. Si parla di modifica alla legge sulla stampa nell'ambito di una rilettura del reato di diffamazione, e di diffamazione a mezzo stampa: il 5 dicembre la proposta di legge n. 7292 (presentata il 13 settembre, Anedda come primo firmatario) e varie altre collegate sono state rimandate dalla Camera in Commissione (II giustizia) per la valutazione degli emendamenti e alcuni altri interventi.

In tutti quei documenti, però, non c'è traccia di quell'obbligo esteso di registrazione, anzi. Si parla, infatti, di "direttore responsabile o comunque di responsabile della pubblicazione", che nel caso di siti come Peacelink sarebbe il presidente dell'associazione o la persona che ha registrato il dominio. Insomma, se il problema è la modifica alla legge sulla stampa, il problema non esiste: l'ipotesi fantasiosa che vorrebbe Pinco Pallino come direttore responsabile del proprio sito non è nei testi di nessuna proposta. Che poi qualcuno possa desiderare un percorso del genere, è possibile: si tratta di un rispettabile pensiero che però non diventerà una norma o una legge.
Certo, capisco che se un pensiero del genere viene esposto dal presidente dell'Ordine dei giornalisti, sia logico (o comprensibile o verosimile) ipotizzare che la stampa italiana voglia mettere le mani anche sulla Rete. Ipotesi, dunque. Vediamo quali sono, invece, le certezze.

Non sappiamo quale sia la posizione ufficiale dell'Ordine dei giornalisti, mentre questi giorni sono un po' troppo "caldi" per chiedere una dichiarazione ufficiale alla FNSI (Federazione nazionale della stampa italiana, ovvero il sindacato). Esiste tuttavia all'interno della FNSI un dipartimento che si occupa dell'on line: una struttura giovane (costituita nell'aprile di quest'anno e del quale il sottoscritto fa parte) che ha come compito - lo dico in modo un po' romanzato - mettere un po' di Internet nel sindacato. In questi mesi la FNSI è stata impegnata nel rinnovo del contratto di lavoro dei giornalisti: è scaduto da oltre un anno e gli scioperi di queste settimane nel settore dell'informazione sono legati proprio all'ennesima rottura delle trattative con gli editori (che, nel caso specifico, sono la controparte).

I punti di disaccordo sono svariati, ma uno riguarda proprio Internet. La richiesta del sindacato e, in particolare, del dipartimento on line di cui parlavo, circa le testate telematiche è che ne venga resa obbligatoria la registrazione. Ecco il punto centrale: si chiede che sia registrato il Corriere della Sera on line, ma nessuno si sogna di chiedere la registrazione di Peacelink. Per il sindacato il problema è evitare che con la scusa della new economy vengano spazzati via controlli, obblighi e garanzie. Evitare che grandi editori costruiscano nuove redazioni di testate telematiche piene di flessibilità varie (collaboratori, stagisti, contratti a termine) e di figure professionali perlomeno ambigue (editor, content editor, content manger, publisher, producer), tutte rigorosamente inquadrate con contratti diversi da quello giornalistico. Queste nuove redazioni sarebbero totalmente nelle mani dell'editore e del tutto incapaci di dire anche un solo "no"; il compito del sindacato è tutelare gli interessi della categoria che rappresenta e una new economy come quella descritta rappresenterebbe anche la fine dei giornalisti in quanto tali.

Evviva, penserà qualcuno. E forse molti tra coloro che condividono l'appello di Peacelink dal quale siamo partiti. Il problema, però, è che attaccare i giornalisti come categoria in questa fase, significa sostenere di fatto gli editori, cioè coloro che l'informazione la controllano davvero. Gli stessi che sono oggetto della lamentela e delle preoccupazioni di Peacelink.
E allora bisogna turarsi il naso e sostenere una categoria di privilegiati, una lobby parecchio antipatica? Non so, appartengo alla lobby quindi non posso rispondere. E non posso rispondere nemmeno ad altre domande, che chiunque mi farebbe dopo aver letto queste righe; per esempio, come si può distinguere l'informazione del corriere.it da quella di peacelink.it in modo tale che se è obbligatoria la registrazione in tribunale del primo non lo sia per il secondo: io penso si possa ragionare sulla differenza che c'è tra imprese (case editrici) e associazioni, sulla presenza di pubblicità, sul professionismo (nel senso: il lavoro che uno fa per vivere) e sul volontariato. Ragionare, perché non ci sono certezze.

Chi pensa ai giornalisti con antipatia dovrebbe anche andare a leggersi gli ultimi contratti: siamo ancora dei privilegiati, ma non più tanto come forse si crede; dovrebbe anche andare a fare un giro in qualche redazione, magari lontano dalle scrivanie più importanti: molti precari, lavoro sempre con l'orologio in mano, stipendi bassi. Non ci sono certezze, ma i giornalisti devono certamente prendere spunto da Internet (che, bisogna dirlo, se è una rivoluzione per molti settori, per chi campa facendo informazione assomiglia più a un terremoto) per ripensare al proprio ruolo (e ai propri errori); gli editori dovrebbero ricominciare a pensare alla qualità dell'informazione e usare il pugno di ferro con chi lavora male.

Personalmente, avrei molta voglia di ragionare sulla libertà di espressione in Rete e non essere costretto a battaglie (che sembrano di retroguardia, me ne rendo conto) per difendere, per esempio, il diritto allo sciopero: in questi giorni di scioperi dei giornalisti molti colleghi sono costretti a lavorare (e molti proprio sui siti on line) perché la flessibilità della new economy gli impedisce di dire "no". L'appello di Peacelink è in gran parte condivisibile, parte da alcune premesse a mio parere errate e non dice una cosa che, invece, andrebbe detta: chi per scelta, vocazione o necessità, fa informazione da professionista (cioè, ripeto, campa facendo quel mestiere) deve essere garantito nella propria indipendenza.
 

* Componente del Dipartimento on line della FNSI

 

Per intervenire su questo argomento scrivi a

Top - Indice della sezione - Home

© Manlio Cammarata 2009

Informazioni di legge