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Internet e stampa

Indicazioni obbligatorie e diritto all’anonimato

di Claudio Manganelli* - 10.05.01

Umberto Agnelli, assistendo alle prove del Gran Premio di Formula uno in Spagna, ha dichiarato di essere molto interessato dalla decisione, assunta dalla FISA, di liberalizzare l’elettronica nel governo delle auto di F1 e ha sottolineato questo interesse sostenendo che siamo ormai in un mondo altamente tecnologico dove bisogna essere i più liberi possibile. Dello stesso parere non sembrano i nostri legislatori quando si rivolgono a quel fascinoso medium tecnologico che è Internet e la recente legge 62/01 lo testimonia. Questa normativa appare come un ulteriore tentativo, alquanto scombiccherato, di controllare localmente, all’italiana, un fenomeno in continua e rapida trasformazione che, per le sue caratteristiche di globalità, abbraccia ed interseca società, culture e religioni dove principi e valori possono presentarsi con forti differenze prospettiche.

Ma Internet, che la si utilizzi per diffondere informazioni e notizie uno a molti, o per dialogare uno a uno, è essenzialmente un medium di comunicazione ed i mezzi di comunicazione hanno sempre preoccupato il Palazzo del Principe, fosse esso il potere dinastico, politico, militare o religioso; non dimentichiamo che in Italia è esistita, e forse vige ancora, una legge che faceva obbligo di denunziare il possesso di piccioni viaggiatori; dopo lo sconvolgimento apportato dalle scoperte di Marconi il possesso di una ricetrasmittente doveva essere legalizzato attraverso complicate procedure burocratiche.
Meraviglia oggi che, in Galleria di Milano, gli anziani "brambilla" possano ancora liberamente riunirsi e discutere di politica e società senza esibire alcuna autorizzazione e, certamente, negli anni più difficili del cosiddetto ventennio, questa usanza era impedita o perlomeno sorvegliata.

Ma Internet è troppo potente, è troppo liberatorio, è pericoloso! Quindi va sorvegliato: è una sorta di foresta di Sherwood ove tanti Robin Hood possono crescere e moltiplicarsi e quindi gli uomini dello sceriffo di Nottingham si affannano a penetrarvi, a erigere palizzate e recinti, ad installare torri di sorveglianza, a tracciare percorsi obbligati. E alle preoccupazioni dei tanti sceriffi si sommano quelle del quarto potere, dell’editoria e del giornalismo tradizionale, preoccupato di perdere la prerogativa di detentore ufficiale del diritto di informare.
Quindi ancora una legge pasticciata e pastrocchiona, dopo quella sui nomi di dominio, tenta di ingabbiare la Rete e i politici, deputati o sottosegretari che la hanno più o meno distrattamente appoggiata, cercano giustificazioni e tentano di sdrammatizzare il coro delle proteste.

Il problema è il solito: quando si tratta di materie scientifiche e tecnologiche dovrebbero essere i detentori della conoscenza, scienziati o tecnologi, a dettare i principi su cui basare la normativa; la mia esperienza in materia di tutela della riservatezza mi fa tornare al primo periodo del quadriennio passato nel Collegio del Garante: la legge 675/96 presentava concetti talmente remoti dal modus operandi dei grandi gruppi imprenditoriali e finanziari che si sono dovute fare vere e proprie acrobazie per adattarla alle situazioni reali e ancor oggi, interi settori dell’economia nazionale vivono ai margini della regolarità in materia di rispetto di tutte le prescrizioni di quella legge. Sarebbe bastato che la commissione di giuristi incaricata di redigerne il testo avesse dato più spazio alle consultazioni e opinioni delle rappresentanze delle diverse categorie economiche.
La stessa cosa è successa per il DPR 318/99 sulle misure "minime" di sicurezza previsto dalla 675. Oggi può essere definito obsoleto sia rispetto alle possibilità e soluzioni offerte dalla tecnologia digitale in materia di protezione delle informazioni, sia considerando le capacità di penetrazione dei sistemi informatici connessi a reti di comunicazione, maturate da parte dei cybercriminali.

Il fatto poi che anche il ragazzo di spiccate capacità informatiche che voglia divertirsi a creare un proprio sito, dove offrire consulenza in videogiochi o proporre uno scambio di vecchie raccolte di fumetti, indipendentemente da qualunque forma di periodicità e ben lungi dal desiderio di assumere un ruolo professionale o lucrativo, debba sentirsi obbligato a fornire le proprie generalità e l’indirizzo ai frequentatori del suo spazio virtuale, questo è il risultato sia di una consueta formula di non chiarezza su quanto e per chi si sta legiferando, sia della inveterata e pessima abitudine di abusare di rinvii e agganci a precedenti fonti legislative, tipica dei legulei pigri e incapaci di circoscrivere la materia e il settore che si intende regolamentare e conseguentemente sforzarsi a scrivere testi e norme compiute e finalizzate.

Sarà interessante, qualora il caso si presenti, conoscere in qual modo l’Ufficio del Garante per la tutela dei dati personali potrà rendere conciliabili i due diritti: quello del ragazzino di rimanere anonimo, o al massimo noto col suo nickname, ai frequentatori del suo sito, con l’altro preteso da una legge che è rivolta, e tale sarebbe dovuta rimanere con buona pace dei Serventi Longhi, a governare il settore dell’editoria elettronica.
Ad ogni buon conto un’altra torre di guardia è stata eretta sulla agorà telematica; chissà quante ne verranno ancora e forse, prima o poi, gli spiriti liberi ricorreranno a tecniche di crittografia proprietaria, ahimé considerate alla stregua di materiale bellico, altrimenti la nostra piazza e il nostro Internet café diverranno un lager. Forse allora torneremo ai piccioni viaggiatori sperando che, per un po’ di tempo, il Principe sarà inesperto nell’uso della balestra o nell’arte della falconeria e quindi incapace di intercettare il nostro Canto Libero, per dirla con l’indimenticabile Lucio Battisti.
 

* Già componente del Garante per la protezione dei dati personali

 

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