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Internet e stampa

Chi si rivede? Il diavolo nella rete

di Giancarlo Livraghi* - 12.10.2000

Devo confessare che quando InterLex mi ha chiesto di ritornare sul tema delle  bufale, cioè della perenne moltiplicazione di "notizie" bislacche e infondate a proposito dell’internet, sono stato preso da un senso di nausea. Che noia, diranno i lettori, è sempre la stessa storia. Hanno ragione. Ma il fenomeno continua a ripetersi con una frequenza ossessionante. Con un ritorno in pompa magna del diavolo in persona.

Per il solo fatto di parlarne si corrono parecchi rischi. Uno è essere considerati ipercritici – o "nemici" dei giornalisti. Lasciatemi ripetere che non sono né l’uno, né l’altro. Non ho alcuna antipatia per i giornalisti come categoria. Sono anch’io, a modo mio, un "giornalista". Anche se da molti anni non sono più iscritto all’albo (e ne vorrei l’abolizione) non ho mai smesso di scrivere. Mi limito a constatare, quando è necessario, che alcuni fanno male il loro mestiere. Specialmente quando si tratta dell’internet.

Un altro rischio è essere "classificati" in ogni sorta di turpitudini. Così come essere contrari alla pena di morte diventa la difesa di Caino, parlare di libertà di informazione e comunicazione può voler dire essere classificati come amici di una varietà di criminali. Nazisti, pornografi, violentatori di bambini... o "pirati" (parola usata in una tale varietà di significati che non si sa più che cosa voglia dire).

Un terzo è fare la fine del grillo parlante. In un mondo di pinocchi volano facilmente i martelli.

C’è anche in giro, diciamolo chiaro, una buona dose di vigliaccheria e di opportunismo. Chi se la sente di essere sospettato di non "aderire" a un’onda strabordante di chiacchiere, di non far parte della santa schiera che finge di "combattere il male"? Certo, è molto più comodo aggiungere benzina ai fuochi di paglia che fare la fatica di capire come stanno davvero le cose; e coprire di elogi qualsiasi scempiaggine piuttosto che dire qualche scomoda verità.

Gli esempi sono così tanti che è impossibile farne non dico un elenco, ma neppure una ragionevole antologia. Prendiamone solo qualcuno... con la "doverosa premessa" che nel torrente in piena delle bufale puntare il dito sull’uno o sull’altro è come scegliere, quasi a caso, un individuo in una folla impazzita.

Ci sono i virus. Naturalmente esistono davvero. Ma le notizie e i commenti sono quasi sempre sbagliati. O si esagera, attribuendo effetti dirompenti a infezioni non particolarmente gravi (e dimenticando di segnalare il fatto che le epidemie sono dovute agli imperdonabili difetti di software troppo diffusi e a un’incredibile debolezza delle difese e delle prevenzioni). O, come è accaduto di nuovo la settimana scorsa, si dà un’eco spropositata all’ennesimo hoax (messo in giro per scherzo ma poi diffuso come "vero") o a interpretazioni affrettate di notizie di tutt’altra natura.

Ci sono i hacker. Altra parola con tanti significati diversi... ma generalmente intesa in senso negativo, come intrusione nociva. Tutti dipinti come criminali, anche quando non lo sono; fino a quando con la scusa delle "buone intenzioni" di colpo si santificano gli "intrusori" e si applaudono i  fanatici che mettono in piedi organizzazioni a delinquere. Compresa un’incredibile proposta in Parlamento di "bombardare di virus" i siti incriminati per illeciti commerci... che è caduta davanti all’ovvia insensatezza tecnica (oltre che morale e giuridica) di un’idea del genere. Ma è un sintomo dello stato confusionale in cui si trovano i nostri legislatori. E forse non è finita. Sembra che quella bislacca idea abbia scatenato le iniziative "spontanee" di "bombardieri" di varia specie, ringalluzziti da un’improvvida benedizione in alto loco

Ci sono gli alti e bassi della borsa. Un giorno la "nuova economia" è sugli altari, il giorno dopo è nella polvere. C’è assai poco di nuovo nelle speculazioni che scuotono il mercato – e ricordano sconquassi anche peggiori di cinquanta o cento anni fa. Ma ogni oscillazione dà luogo ai più incredibili schiamazzi; come se lo sviluppo di fenomeni nuovi e in graduale maturazione potesse saltare di colpo da una falsa facilità di successo a un’altrettanto falsa catastrofe universale.

C’è un’infinita proliferazione di notizie "tecniche" che oscillano fra l’irrilevante e il falso. Un esempio fra tanti... un articolo (con richiamo in prima pagina) su Repubblica del 4 ottobre parlava di "saturazione" della rete; cioè di un numero non più gestibile di "indirizzi". Quel testo conteneva una montagna di sciatterie e di errori. Compresa la confusione fra internet e web (che non sono la stessa cosa), fra indirizzi IP e nomi a dominio, fra Vinton Cerf (nell’articolo chiamato Vincent) che ha dato un contributo fondamentale alla nascita dell’internet e Tim Berners-Lee che vent’anni dopo ha costruito il modello per la world wide web. Ma soprattutto una "notizia" tecnica priva di fondamento. Forse è possibile che si arrivi davvero a una "saturazione", cioè al punto in cui non basteranno più i numeri disponibili. Ma non occorre essere professori di informatica per sapere che le soluzioni tecniche ci sono; e che sono già in fase di sperimentazione con la sesta versione del protocollo IP. La cosa, naturalmente, non è così banale – ma per "metterla in soldoni" basta aggiungere una cifra a una chiave numerica per decuplicare il numero di "indirizzi" disponibili. In sostanza, il problema non esiste. Come non sono mai esistiti tanti altri fenomeni immaginari che hanno portato a ripetuti annunci sulla "fine dell’internet" – regolarmente smentiti dai fatti.

Non dico che tutti i giornalisti che parlano della rete debbano essere esperti sull’argomento. Ma se dedicassero un po’ di tempo a informarsi prima di scrivere... la quantità e la frequenza delle bufale potrebbero diminuire molto. Ormai l’internet è diventata come il gioco del pallone. Con una fondamentale differenza. Milioni di appassionati seguono da tanti anni il calcio; e per quanto sottili possano essere le analisi si tratta di un pallone, due porte, ventidue persone, un arbitro e alcuni guardalinee. Non è sorprendente che tutti i bar d’Italia siano popolati di "esperti" sull’argomento. I nuovi sistemi di comunicazione sono una cosa molto più complessa. Nessuno che abbia un’ombra di buon senso può considerarsi o proclamarsi "esperto" (compreso l’autore di queste righe, che rifiuta quell’aggettivo come ridicolo). Perché le cose cambiano spesso in modo imprevedibile e tutti abbiamo sempre molto da imparare.

Infine... con un’accentuazione della nausea eccomi costretto a ritornare sulla "demonizzazione" dell’internet. Non è una metafora. I due più importanti newsmagazine italiani sono usciti contemporaneamente con una rappresentazione demoniaca della rete. L’Espresso e Panorama, nei numeri datati 12 ottobre e in edicola venerdì 6, dedicano la copertina a questo argomento.

Non mancavano temi rilevanti e di attualità. Come il cambiamento politico in Serbia e la crisi in Palestina. In questi casi i settimanali sono un po’ in difficoltà, perché non possono dare l’ultima notizia. Ma avrebbero il compito e il dovere di offrire approfondimenti, analisi, commenti. E si tratta ovviamente di temi "da copertina". Invece no. Tutti e due cercano una scappatoia buttandosi su argomenti che non hanno alcuna "attualità" (i problemi sono gli stessi da molti anni) ma fanno parte di un’onda fasulla e manipolata su cui non vorrei ritornare, perché ne ho parlato molte volte (recentemente in Il coro dei bugiardi alla seconda crociata su InterLex del 5 ottobre). E tutti e due evocano il demonio.

Panorama mette il diavolo in copertina. Nel più vistoso stile della demonologia medioevale – o del satanismo contemporaneo. Rosso, cornuto e minaccioso nel monitor di un computer. L’immagine ricompare ancora più aggressiva nel breve servizio intitolato "il diavolo su internet" in cui si impastano le cose più svariate... "pedofilia, pornografia, truffe e crolli in borsa". E ripete le solite abborracciate scempiaggini di cui già ci hanno sommerso altri mezzi di cosiddetta "informazione". Spero di poter evitare la snervante fatica di un commento.

L’Espresso, invece, salta sul carro della disinformazione in fatto di violenze contro i bambini. L’immagine in copertina è di insolita sobrietà e buon gusto. Una metafora tragicamente poetica, un orsetto di peluche sventrato, pone con efficacia il problema. Ma poi... all’interno si parla seriamente di questo grave fenomeno, delle sue radici, della sua oscura e perversa diffusione negli angoli bui della nostra società? Macché. Il titolo di copertina è "pornografia e violenza: il coraggio di dire basta". Se la prende coi mezzi di informazione, così elencati: "televisione, cinema, internet, pubblicità". Già che c’erano, potevano prendersela anche con la moda, le cui sfilate hanno sempre meno a che fare con l’abbigliamento e sempre più con esibizioni sul tema del sesso (ma si sa... la moda è sacra e inviolabile, se ne può solo parlare bene). Il problema, naturalmente, esiste. Se ne discute da anni, quasi sempre in modo superficiale, senza venirne a capo. Di coraggio, nelle sei paginette di "inchiesta", neppure l’ombra. In apertura chi si rivede? il solito fiammeggiante e minaccioso demonio, con il titolo "i diavoli di internet". Sui contenuti... che cosa dire se non che si tratta delle solite volgari e deformanti banalità?

Se ci fosse in giro un po’ di coraggio, vedremmo qualche riga di autocritica, da parte di testate (queste come tante altre) che non hanno mai esitato a strumentalizzare sesso e violenza, a "pescare nel torbido", a lodare sperticatamente le più svergognate manipolazioni (nello spettacolo, nella cronaca, nei commenti, nella pubblicità... eccetera eccetera). Vedremmo anche qualche tentativo di approfondimento, di analisi sulle vere radici dei problemi. Ma questo costerebbe fatica... e andrebbe controcorrente. Poco di moda, in un mondo in cui si cerca l’omologazione a tutti i costi.

Prima di andare a occuparmi di qualcos’altro, per farmi passare il voltastomaco, non riesco a evitare di concludere con un piccolo sfogo. Prendendo a prestito un termine che gira nel mondo della moda, potrei parlare di zoccole. Ma si prestano all’occasione anche alcuni aggettivi. Superficiali, imitativi, servili, ignoranti e ipocriti. Soprattutto vigliacchi.
 

* gian@gandalf.it - http://gandalf.it 

 

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