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Il web è sempre più efficace. Ma i quotidiani lasciano il segno

Viareggio, una lezione per i media

Dal punto di vista giornalistico l'incidente è stato un Big Bang. E il Corsera ne esce vincente
di Sabina Rodi - 6 luglio 2009  (da Italia Oggi del 3 luglio 2009)
Ci sono delle date e degli avvenimenti che costituiscono un crinale, una improvvisa rottura rispetto al passato. Sono quelle, ad esempio, del crollo del Muro di Berlino (9 novembre 1989) o dell’abbattimento terroristico alle Due Torri di New York (11 settembre 2001). Dopo la prima, si è dissolto l’impero sovietico ed il comunismo è diventato, improvvisamente, un’ideologia impresentabile. Dopo la seconda, ha fatto irruzione, sulla ribalta del mondo, l’estremismo islamico, sino a quel tempo ritenuto una malattia infantile del mondo musulmano, da continuare a curare a casa loro e a loro spese.

Dal punto di vista giornalistico italiano, il big bang, nel pieno di questa stagione editoriale piena di incertezze e di tagli, ma forse anche grazie a questo, è stato rappresentato dall’incidente ferroviario di Viareggio che è avvenuto in un orario che ha consentito ai media, nel loro complesso, di esprimersi al meglio delle loro possibilità.

Le fiamme dal vagone deragliato sono infatti divampate la sera di lunedì 29 giugno alle 23 e 50. I giornali quindi sono riusciti a fare solo una fugace ribattuta, e solamente sull’ultima edizione, che, in sostanza, diceva ben poco. Il successivo black out, fino alla mattina del giorno successivo, mercoledì luglio, ha avuto tre effetti.

Il primo effetto è che tale spazio editorialmente vuoto, dal punto di vista della carta stampata, è stato riempito, non solo da tv e radio, ma anche, e soprattutto, dai siti internet dei vari giornali che, nel vuoto lasciato dai loro fratelli (sino a quel tempo, considerati maggiori dell’edizione cartacea) si sono subito espressi al meglio delle loro possibilità, pubblicando un numero imponente di foto e di sequenze televisive a colori. Molte delle quali riprese da dei dilettanti che, al momento dell’incidente, si trovavano sul posto. E mandando in onda le prime corrispondenze dei loro numerosi inviati sul posto. Corrispondenze calde e coinvolgenti perché sempre più precise, circostanziate. E anche, man mano che passava il tempo, ricche di testimonianze dal vivo e di valutazioni di esperti. Di fronte allo straordinario concerto informativo multimediale che è andato in onda martedì scorso, i discorsi dei “frenatori” del sindacato dei giornalisti sui cronisti da loro definiti “tacca banda”, cioè costretti a declinare la loro professionalità, non solo scrivendo i pezzi ma utilizzando anche l’intera gamma dei facili mezzi di comunicazione che nel frattempo si sono resi disponibili, sembrano vecchi di decenni, anche se, tali discorsi, sono stati furiosamente urlati, con indignazione, fino a ieri. E, forse, si sussurrano anche oggi. 

Non a caso risale a una settimana fa la protesta ufficiale (e patetica) da parte di un esponente rappresentativo dell’associazione dei fotoreporter iscritti all’ordine dei giornalisti perché, in un concorso fotogiornalistico, non sono stati premiati i fotografi che hanno in tasca il tesserino e che sono burocraticamente in regola con il pagamento dei bollini, ma sono stati premiati solo fotografi che si potrebbero definire, come il titolo del celebre romanzo di Jaen Dellanoy (1955), dei “Cani perduti senza collare”, cioè dei battitori liberi .

Non si sono minimamente chiesti, i “protestanti del clic in regola con il timbro dell’ordine”, se quelli che sono stati premiati hanno presentato delle foto più belle di quelle scattate dai loro iscritti. Oggi, piaccia o non piaccia, la verità vera è che fotogiornalisti e cineoperatori sono tutti coloro che sono sul posto dove sta succedendo un fatto che produce una notizia. E i migliori sono stati, sul disastro di Viareggio, quelli che, con il tesserino o no, alle 23 e 50 di lunedì 29 giugno, erano vicini alle fiamme.

Il secondo effetto è che i quotidiani, avendo avuto a disposizione 24 ore di tempo per poter realizzare la loro edizione di mercoledi 1 luglio, hanno confezionato dei numeri strepitosi, completi, esaurientemente visualizzati, in presa diretta sui fatti. Il migliore quotidiano, e di gran lunga, è stato però il Corriere della Sera. Ferruccio De Bortoli, in questa occasione, (ma è lo stesso De Bortoli che aveva diretto il Corriere anni fa? Mah!) ha guidato una formidabile èquipe giornalistica multimediale che ha lavorato in un modo strepitoso, realizzando un numero da antologia, che merita di essere conservato. E io, personalmente, l’ho conservato.

Un numero che lascerà il segno, questo. E che ha ucciso definitivamente i grandi settimanali di informazione genericamente detti politici, nella formula in cui, insensibili alle dure repliche delle edicole, essi continuano ad essere fatti.

Insomma, i grandi quotidiani (ma in testa, ripeto, c’è il Corriere della Sera) non hanno lasciato nemmeno un briciola, su questo fatto, ai settimanali cosiddetti di attualità politica. Una volta, davanti a eventi di queste proporzioni, i grandi rotocalchi uscivano in edizioni speciali. Se lo facessero adesso, farebbero una figura barbina. E, in gran parte, sarebbero destinati al macero perché il pubblico, sommerso nelle prime ore dopo il fatto, da una vera e propria alluvione informativa su questo argomento, prima la desiderava e poche ore dopo comincia a rifiutarla perché la rimuove: per buone che siano, di pastasciutte non se ne mangia mai dieci. 

Il terreno dell’informazione e dell’approfondimento è infatti già stato, in sole 24 ore, non solo arato e seminato ma anche l’intero il raccolto giornalistico è già stato portato in cascina dai grandi quotidiani che non hanno lasciato, ai settimanali politici, nemmeno l’avvilente possibilità di spigolare fra gli sprocchi.

Un tempo, ai settimanali erano riservate le foto a colori (che adesso ogni quotidiano pubblica, non solo all’istante, ma anche in qualità rotocalcografica). Ai settimanali spettavano gli approfondimenti (già fatti) e i retroscena (già fatti anch’essi). Insomma, il disastro di Viareggio, ha sancito platealmente e definitivamente ciò che solo i grandi editori di rotocalchi si ostinano a non vedere, abbarbicati come sono, a vecchie gloriose testate generaliste sempre più anoressiche di vendite. Non per colpa dei direttori (si possono sempre cambiare, i direttori; e, questo esercizio è, ogni volta, un vero ludibrio per gli editori ordinari, ai quali non par vero deviare su altri le responsabilità che spesso sono quasi solo loro), i settimanali generici sono in crisi, dicevo, non tanto per colpa dei direttori, che spesso invece sono bravissimi, ma per colpa del mondo, cioè della tecnologia che cancella ciò che ha fatto il suo tempo, anche se chi possedeva una gloriosa testata che adesso invece gli si ripiega in mano come un morticino, anziché chiudere inventando altro, spera sempre di poterla rianimare, anche se contro ogni evidenza. E’ un comportamento umano, anche se non è un comportamento manageriale. 

Il terzo effetto è che il nuovo quotidiano, se lo si libera dagli orpelli che lo hanno sinora appesantito, si capisce subito che esso tollera sempre meno le rubriche e le rubrichette affidate, da decenni, agli stessi, diligenti compilatori con le gomme inevitabilmente a terra e le batterie esaurite.

I compitini alla Severgnini (Beppe) o alla Maraini (Dacia), tanto per fare degli esempi che purtroppo potrebbero essere infiniti, sono costosissimi ma, in compenso, sono anche noiosissimi. Se un quotidiano vuol sopravvivere dovrebbe, ad ogni cambio di direzione, cambiare almeno i rubrichisti. Anzi, dovrebbe approfittare dell’occasione per abolirli tutti. Se una firma (più o meno grande) ha qualcosa da dire su una vicenda importante di attualità, si accomodi a dire la sua in questa occasione. Se invece vuol recitare la sua litania, può farlo in privato.

I giornalisti che sono stati in grado di fare un grandissimo Corriere della Sera (e anche gli altri quotidiani nazionali) sono le colonne portanti del rinnovamento dei quotidiani italiani che, pur subodorando da tempo le scelte che dovevano essere fatte, hanno atteso questo big-bang viareggino per metterle in pagina.

Speriamo solo che, dopo questo episodio, continuino a tener fuori le unghie e, risparmiando un po’ di energie dalle recenti vicende politico-pecorecce dalle quali i grandi quotidiani italiani sono usciti con un’autorevolezza ridotta a brandelli, si concentrino sulla spiegazione del mondo e sulla scoperta dell’Italia.

Da questo punto di vista, ma ci ritorneremo quanto prima, il neo direttore de la Stampa, Mario Calabresi, sta dando lezioni a tutti. Un giorno, ad esempio, scopre una località romagnola con la massima concentrazione italiana di transessuali e il giorno successivo metta in pagina (con splendide foto) l’oasi naturalistica di Priolo, in Sicilia, che è nata dal recupero di un’area industriale e petrolchimica, un tempo fortemente degradata. Gli altri quotidiani non avevano nulla su questi argomenti sfiziosi. E si capisce il perché: l’Ansa non li aveva dati. E cercarli è faticoso. E, in ogni caso, scomodo.

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