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Sistema informazione

La TV, non l'internet, ha gettato il seme della libertà

Libia 2011: il potere inarrestabile della televisione

Non c'è solo la rivolta in Libia, dopo quelle dei mesi scorsi in Tunisia e in Egitto. I venti rivoluzionari spirano in buona parte del mondo arabo e il virus della libertà si diffonde attraverso le televisioni, molto più che sulla Rete.

24.03.11

In questi giorni è la Libia che occupa i titoli in prima pagina. Prima ci sono stati la Tunisia e l'Egitto, mentre in altre nazioni arabe ci sono fermenti rivoluzionari. Perché questi popoli si risvegliano proprio ora?
Nei primi giorni si era detto che l'internet, con i social network, era il tam-tam, il collegamento tra i giovani di diverse nazioni.

Poi si è incominciato a capire che la Rete ha avuto un ruolo marginale. Per un motivo molto semplice: anche se i giovani arabi hanno i telefonini e si collegano all'internet, la penetrazione dei nuovi media è limitata e le possibilità di accesso sono ostacolate dalle censure tecnologiche dei governi, che hanno il totale controllo delle compagnie telefoniche.
Si è incominciato a capire, dicevo, e forse per la prima volta a L'infedele di Gad Lerner, lunedì 21 scorso, qualcuno lo ha detto con chiarezza.

Il vero collante delle rivolte arabe di questi mesi è la televisione. Che è sempre un potere, dalla parte delle emittenti statali, ma una specie di contropotere nelle antenne delle televisioni panarabe. Al Jazeera prima delle altre.
Per capire come stanno le cose è necessario fare un passo indietro, lungo esattamente vent'anni.

Gennaio 1991, guerra del Golfo. Il World Wide Web non c'era. C'era l'internet, ma era una cosa "difficile", per pochi specialisti o appassionati. C'era però la televisione via satellite, il primo mezzo di comunicazione "di massa" a livello globale. Che in quelle regioni sarebbe diventato in pochi anni il mezzo "delle masse".
E' diventato subito un mito, il cronista della CNN Peter Arnett che trasmetteva da una terrazza di un albergo di Baghdad con un collegamento satellitare, mentre gli americani attaccavano la città. Ed è diventata un modello la CNN, fino ad allora quasi sconosciuta al di fuori del Nord America.

Una scoperta soprattutto per i Paesi arabi, che fino a quel momento conoscevano solo le televisioni dei diversi regimi: pura propaganda, formali, noiose, tese solo a indottrinare i popoli e celebrare i tiranni locali. Già allora, però, quelle genti cercavano di conoscere il mondo al di fuori dei loro confini, con traffici clandestini di videocassette e antenne paraboliche di fortuna. Fatte in casa, addirittura con le padelle di cucina. La CNN e altre emittenti satellitari facevano - involontariamente - quella che in tempi più lontani da noi si chiamava "controinformazione".

Fu l'Arabia Saudita, proprio nel 1991, a proporre un primo modello televisivo con aspirazioni panarabe: la MBC, pensata come collegamento con il vasto mondo della diaspora araba, una specie di ponte soprattutto con l'Europa. Ma si trattava pur sempre di un'emittente "ortodossa", sotto il controllo degli emiri.
Nel 1995 il giovane emiro del Qatar, di formazione occidentale, sostenne la nascita di una nuova emittente panaraba che per la prima volta assumeva il modello occidentale delle TV commerciali, con un'informazione libera e, come si dice dalle nostre parti, "pluralista".

News sui fatti del mondo, informazione locale anche poco ortodossa e qualche volta irriverente nei confronti dei potenti e dei potentati mediorentali. Dibattiti non addomesticati, dirette senza censure. Nel giro di tre anni l'emittente era diventata la CNN dei Paesi Arabi. Al Jazeera ("La Penisola") era lo strumento di una modernizzazione che partiva dal Quatar per diffondersi, lentamente, in tutto il mondo arabo.

I governi si trovarono spiazzati, cercarono di frenare in qualche modo l'espansione di Al Jazeera, si affettarono a mettere in piedi emittenti che ne bilanciassero il potere, anche sul piano commerciale. La più importante, Al Arabiya, si poneva e si pone ancora oggi come la principale concorrente di Al Jazeera. Ma non riesce a replicarne il successo, perché resta più "ufficiale", meno libera sul piano dell'informazione.

Lo vediamo in questi giorni, quando Al Jazeera dà le cronache più immediate e crude della rivolta in Libia, mentre Al Arabya mantiene una linea più prudente. All'altro estremo, la televisione di stato libica rimane saldamente nelle mani del Colonnello, che attraverso le sue antenne si manifesta a intervalli astutamente calcolati ad arringare una piazza sempre meno affollata. Spiazzando ogni volta quanti lo danno per finito, in fuga all'estero o nascosto come un topo nei sotterranei dei suoi bunker.

Dunque il seme della libertà si è diffuso attraverso la televisione e attraverso la televisione il potere cerca ancora, disperatamente, di mantenersi tale. Il ruolo della Rete non deve essere sottovalutato, soprattutto per la presa sulle generazioni più giovani. Ma non sono solo i giovani, sono le masse arabe che oggi chiedono quella libertà che hanno conosciuto grazie alle parabole satellitari.

Vale la pena di ricordare come in Egitto, pochissimo tempo fa, si sia avuta la sensazione della imminente fine del regime nel momento in cui un alto ufficiale è apparso sugli schermi di stato, per calmare il popolo in rivolta. Quando questo accadrà a Tripoli, l'era di Gheddafi sarà finita.
Prima di quel momento non c'è internet che tenga: saranno le televisioni a diffondere la nozione della libertà da una parte e i proclami del potere dall'altra. Poi, forse, sarà un'altra storia.

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