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Sistema informazione

"Spezzare il circuito perverso di una competizione al ribasso"

Intercettazioni e processi, informazione e privacy

Alcuni deputati del Partito democratico annunciano un progetto di legge per regolare, attraverso l'autodisciplina, la pubblicazione degli atti dei processi, e in particolare delle intercettazioni. E scoppia subito la polemica.

14.02.11

Metti insieme le parole "processo", "intercettazione" e "informazione" e succede il finimondo.
Certo, in Italia su questo argomento abbiamo i nervi a fior di pelle. Li ha chi si deve presentare ai giudici per rispondere di gravi accuse, fondate soprattutto su intercettazioni. Li hanno i giornalisti, che da una parte devono informare il pubblico e battere la concorrenza, e dall'altra sono sotto accusa per vere o supposte violazioni della riservatezza. Infine li hanno le persone che, coinvolte per caso, devono fare i conti con il cosiddetto "tritacarne mediatico".

Non c'è dubbio che la pubblicazione di atti processuali, con nomi e cognomi di persone che non sono direttamente coinvolte nei fatti oggetto di indagini, può costituire una pesante violazione del diritto alla riservatezza. Soprattutto se si tratta di comuni cittadini e non di personaggi pubblici.

Per porre fine a questi abusi alcuni deputati del Partito democratico hanno annunciato una bozza di progetto di legge che prevede alcune regole, e relative sanzioni, per il "trattamento dei dati personali effettuato nell'esercizio della professione di giornalista o, comunque, tramite i mezzi di informazione, con particolare riferimento ai dati relativi alle indagini di polizia ed ai procedimenti giurisdizionali, ivi compresa la diffusione delle intercettazioni telefoniche e ambientali".

Il testo, che porta le firme di Antonello Soro, Roberto Zaccaria, Gianclaudio Bressa, Pierluigi Castagnetti e altri, non contiene disposizioni specifiche sulla materia: dispone che il Garante per la protezione dei dati personali promuova l'adozione di un codice di deontologia da parte del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti. Codice che si aggiungerebbe a quello già in vigore dal 1988, che, si legge nella relazione, "per quanto qui interessa contiene solo alcuni principi generalissimi, quanto mai bisognosi di specificazione e chiarimento, oltre che di un necessario aggiornamento anche alla luce dell'evoluzione nel frattempo verificatasi nel mondo dell'informazione".

Un articolo, tre commi in tutto. Le reazioni sono immediate. Il Partito democratico fa sapere che la bozza "non è in alcun modo una proposta del partito, non essendo mai stata discussa dagli organismi dirigenti". Lo scrive in risposta al furioso comunicato della Federazione nazionale della stampa e dell'Unione nazionale dei cronisti italiani. Nel quale si legge, fra l'altro:

Dietro il pretesto della tutela di privacy - non dei cittadini bensì della loro, cioè dei soliti noti - si nascondono, come è stato sottolineato a gran voce nei congressi di Bergamo e Viareggio, i disegni di prevaricazione dei potenti: difendere i propri privilegi con una sorta di salvacondotto, imporre il silenzio totale sui fatti e sui misfatti della cronaca di tutti i giorni, mettere la sordina sull’intreccio fra politica e malaffare, tarpare le ali alla critica e alla mediazione giornalistica.

La proposta non sembra meritevole di una reazione così forte. In fondo non fa che rimandare la definizione di norme di autodisciplina al concerto tra il sindacato unitario dei Giornalisti e il Garante. E' il contenuto di queste norme che potrebbe rivelarsi censorio e "imporre il silenzio su fatti e misfatti".
Piuttosto ci si dovrebbe chiedere se questo sia il momento più opportuno per presentare un progetto di legge di questo segno, anche perché tra la normativa sui dati personali, l'autoregolamentazione in vigore e il codice penale, le norme per colpire gli abusi non mancano.

Ma siamo in Italia. Negli Stati Uniti, dove la trasparenza è un connotato essenziale della democrazia, norme di questo tipo non possono essere nemmeno ipotizzate. C'è il Primo Emendamento della Costituzione, che dice che il Congresso "non può" fare leggi che limitino la libertà di espressione. Neanche con le migliori intenzioni.

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