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Sistema informazione

Sui giornali cala la pubblicità, la notizia on line non rende 

Google e la crisi della carta. O dell'informazione?

Una lettera di Carlo De Benedetti al Sole 24 Ore apre una prospettiva nello scontro tra gli editori e il motore di ricerca. Ma serve una nuova visione del sistema multimediale: il giornale di carta non è più il cuore dell'informazione.
2 febbraio 2010
Tutti contro Google. Dalla Cina agli Usa, passando per l'Italia e la Germania. Oggi non parliamo dei processi che fanno temere una "censura privata" sui contenuti, ma degli attacchi che gli editori sferrano contro Google News. L'accusa è di concorrenza sleale nei confronti delle versioni on line delle testate di carta. Succede negli USA per opera del magnate Murdoch, succede in Italia e in Germania per opera delle associazioni degli editori. In Italia uno dei più importanti scrive: "La Rete non può restare un Far West senza regole o una Somalia in balìa dei signori della guerra, dove tutto è gratis e la pirateria non è un reato". Sembra una di quelle sfuriate che andavano di moda quindici anni fa, quando la Rete era una realtà sconosciuta ai più e qualcuno arrivava a concludere che sull'internet "si corre persino il pericolo di essere uccisi".

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Invece la frase porta la data del 24 gennaio scorso e il suo autore è Carlo De Benedetti, presidente del Gruppo editoriale L'espresso, in una delle sue ricorrenti lettere al Sole 24 Ore. L'argomento è sempre la crisi della carta stampata di fronte all'avanzata dei nuovi media. I quali danno gratis un mare di notizie e fanno concorrenza all'informazione tradizionale, penalizzata dal calo degli introiti della pubblicità e dalla mancanza di un modello di business capace far pagare l'informazione on line come quella su carta.

Scrive De Benedetti: "Via via un numero crescente di utenti s'è abituato a trovare gratis sui siti tutti gli aggiornamenti e, talvolta, gli approfondimenti e i commenti di cui ha bisogno [...]
Ma un editore non può prescindere dal bilancio, anche perché quando i conti non tornano è la libertà d'espressione a soffrirne per prima e di più. L'errore degli editori è stato puntare tutto sulla pubblicità, quasi che potesse esserci una quota aggiuntiva di investimenti da dedicare a internet e in particolare a chi fornisce notizie online [...] 
Far pagare le notizie di qualità su internet è parte del mix di misure anticrisi che gli editori stanno definendo. Il «New York Times», i quotidiani della galassia di Rupert Murdoch, quelli di Axel Springer in Germania stanno per mettere in vendita una quota dei propri contenuti informativi digitali. Se si offre un buon prodotto, chiunque capisce che è ragionevole pagarlo, sia che se ne fruisca sul cellulare sia online".

"Chiunque capisce che è ragionevole pagarlo"? Forse l'ingegner De Benedetti è troppo ottimista. Perché tra "capire" e "pagare" c'è una distanza incolmabile, quando l'informazione che si dovrebbe pagare si trova gratis, replicata su centinaia di siti. In molti casi una forma di "pirateria" simile - non uguale - a quella che colpisce i contenuti audio e video. Con una differenza sostanziale: mentre l'industria dell'intrattenimento gode di buona salute nonostante la pirateria, quella dell'informazione se la passa male indipendentemente dalla pirateria.

L'acquisizione abusiva dei contenuti audio e video on line è praticata da milioni di utenti. E siccome l'industria ha incominciato a capire con molto ritardo le potenzialità della Rete nella diffusione dei contenuti, si è affermato il costume, forse la cultura, della musica e dei film da scaricare gratis. La tecnologia lo consente, controllarla si sta rivelando impossibile.

La questione è diversa quando si parla dell'informazione, soprattutto in Italia. La carta perde pubblicità, la Rete non ne raccoglie abbastanza, la televisione è un sostanziale monopolio. Non sono in crisi i giornali, ma l'intera industria dell'informazione. E' un fatto che nel nostro Paese i lettori della carta stampata sono pochi; il numero di copie di quotidiani vendute nelle edicole è fermo intorno ai cinque milioni da più di mezzo secolo. Le acquistano persone abituate da sempre a comperare il giornale di carta. Quanti di questi "antichi" lettori sono disposti a spendere per avere gli stessi contenuti on line, anche considerando il valore aggiunto dell'informazione sul web (riferimenti, approfondimenti, ricerche)?

Probabilmente troppo pochi per assicurare la redditività delle edizioni telematiche. Ma gli introiti di queste possono crescere proprio grazie agli aggregatori di informazioni, come Google News. Sia in termini di pubblicità sia con la conquista di nuovi lettori telematici paganti (sempre che si riesca a frenare l'informazione parassita gratuita). Per questo molte delle accuse che vengono mosse dagli editori alle pagine di Google sono poco convincenti.

Non è vero che Google News fa concorrenza ai giornali on line, sottraendo loro introiti pubblicitari: anzi, fa aumentare il numero dei clic sulle pagine indicizzate. E il guadagno dell'aggregatore (in prospettiva, perché ora in Italia Google News non ha pubblicità) può essere valutato come la contropartita del "servizio" reso ai giornali con l'indicizzazione dei loro contenuti.

Non è vero che Google News fa concorrenza agli editori perché non "produce" informazione. Non è un editore, come sostiene il Corriere della Sera del 28 gennaio scorso, in un articolo che ha suscitato molte proteste (ma non se ne possono mandare più, chissà perché: "Non è possibile inviare commenti a questo articolo" dice un avviso nella pagina).

E' vero che Google ha una posizione dominante nel campo delle ricerche on line, solo perché nessuno è riuscito a fare di meglio. Ma non è impossibile che qualcuno possa fargli concorrenza, come invece ipotizza il provvedimento di avvio di istruttoria dell'AGCOM: per molte grandi aziende, Microsoft in testa, non ci sono "barriere all'ingresso" oggettive nel mercato delle ricerche on line. E gli stessi editori che si ritengono danneggiati da Google News potrebbero costruire un motore di ricerca comune per indicizzare i contenuti di ciascuno.

L'idea qualche modo sfiora anche Carlo De Benedetti, che nella lettera al Sole 24 Ore scrive:
"Se prendessimo questa grande massa di informazione, la mettessimo sui nostri siti e la facessimo indicizzare da Google e dagli altri motori, rendendola ricercabile, faremmo un buon servizio all'utenza e, se a pagamento, ci garantiremmo ricavi aggiuntivi.
Se lo volesse, Google potrebbe così trasformarsi in un equo distributore della ricchezza creata grazie al lavoro altrui; e avremmo bell'e pronto il sistema di pagamento universale suggerito su queste pagine da John Tierney [...] Finora non era così, nel senso che tutto quanto immagazzinato nei server dell'azienda di Mountain View era, per definizione, fruibile gratuitamente online. Bene, se Google accettasse di riscuotere per conto degli editori i pagamenti legati a determinati contenuti, si potrebbe cominciare a ragionare. Come si ragiona tra partner, non come i sudditi ricevuti in udienza dal sovrano".

E un passo avanti. Ma ne occorre un altro: si deve incominciare a considerare l'informazione on line come il fulcro del sistema, perché integra i contenuti della carta, della televisione e della radio nel "prodotto web". Non si dovrebbe parlare più della versione on line del giornale di carta, ma della versione di carta del giornale on line. Un rovesciamento di prospettiva difficile da accettare e mettere in pratica per mille motivi, prima di tutto per la rivoluzione che comporterebbe nell'organizzazione delle "fabbriche di informazione" e nei ruoli redazionali. Ma è l'unica strada che si può percorrere per mantenere il valore aggiunto dell'informazione "degli editori" nei confronti dell'informazione spontanea della Rete.

Invece non è condivisibile la proposta con la quale l'editore di Repubblica chiude il suo intervento: "far sì che gli operatori di rete, le telecom, accettino di condividere con noi una quota dei loro ricavi dovuti all'accesso". In sostanza, De Benedetti ipotizza una tassa sulle notizie da aggiungere ai canoni di abbonamento pagati dagli utenti. Far pagare l'informazione a chi la vuole è giusto, farla pagare a tutti, anche a quelli che non sanno che farsene, è un'idea bizzarra.

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