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Sistema informazione

Rassegne stampa e illecita riproduzione di articoli giornalistici

di Renato Clarizia - 20.10.97

(nota a sentenza di prossima pubblicazione sul n. 3/97 de "Il diritto dell’informazione e dell’informatica")

1. Il caso e le problematiche affrontate

L’ordinanza del Tribunale di Milano 8 aprile 1997 è di grande rilievo per il mondo dell’editoria, non soltanto per l’espressione dei principi che supportano la decisione ma anche per le altre enunciazioni di regole che possono essere utilizzate per l’impostazione della soluzione di problemi che vanno al di là di quello specifico della liceità dell’attività di "rassegna stampa" esercitata dalla società soccombente.
Il caso è semplice. Una società "pubblica in tempo reale, ossia contemporaneamente all’uscita di quotidiani e riviste, gli articoli e le informazioni che specificamente interessano i suoi clienti (vuoi perché li riguardano direttamente vuoi perché attengono al settore nel quale essi operano)", riproducendo anche articoli tratti da pubblicazioni della società ricorrente. Il Tribunale giudica illecita l’attività sotto il duplice profilo della concorrenza sleale e del diritto d’autore: l’art. 101 l.d.a. "sanziona come atto di slealtà commerciale la riproduzione sistematica di informazioni raccolte e proposte da un imprenditore concorrente;" inoltre "la protezione riservata dalla l.d.a. -all’art. 65, come ha correttamente rilevato il giudice di prime cure - agli articoli considerati, a differenza delle informazioni, oggetto della tutela riservata all’opera dell’ingegno per il loro carattere originale, conduce inevitabilmente alla illegittimità del comportamento della convenuta considerato che gli articoli in esame erano stati espressamente riservati quanto alla riproduzione dalle ricorrenti". Evidentemente l’attività svolta dalla Selpress era di riproduzione in altre riviste e giornali aventi una loro originale caratterizzazione, altrimenti il riferimento fatto all’art. 65 l.d.a. non sarebbe corretto secondo il significato ordinariamente attribuito al termine "concorrenza".
Nel contempo, il Tribunale, seppur di sfuggita ed indirettamente, si sofferma anche su altre problematiche: sulla natura dei mezzi di riproduzione, sul significato di rassegna stampa, sui limiti della formazione di rassegne stampa e di banche dati, in sostanza sulla portata del termine "uso personale" che legittima la libera riproduzione di opere (art. 68 l.d.a.).

2. Diritto d’autore ed informatica

La società dell’informatica, delle tecnologie di comunicazione più avanzate, di INTERNET, mette in crisi, talvolta, settori come quello dell’editoria e più in generale della tutela del diritto d’autore che stenta a trovare una adeguata protezione nella legge. Le particolari caratteristiche e modalità di utilizzazione dell’"autostrada telematica" fanno sostenere a taluni giuristi che il tradizionale diritto d’autore non sia più attuale. Altri, al contrario, ritengono che Internet sia un mezzo di comunicazione integrato con quelli ordinari nei cui confronti, quindi, è pienamente applicabile la vigente disciplina del diritto d’autore (anche se appare evidente la necessità di una maggiore armonizzazione tra i diversi sistemi nazionali e di una più precisa disciplina convenzionale). L’ampiezza delle presenti note non consente di approfondire compiutamente questa tematica, ma si può fin d’ora rilevare che, come meglio si dirà in seguito, le nuove tecniche informatiche, ed in particolare l’utilizzazione di Internet, a fini di riproduzione e diffusione di articoli giornalistici creano problematiche di difficile o comunque non soddisfacente soluzione per una corretta e appagante tutela degli interessi (non soltanto di natura economica) dell’editore, del direttore responsabile e del giornalista, alla luce della vigente normativa. E ciò che maggiormente preoccupa è che non sembra che, allo stato attuale, il problema possa trovare completa soluzione neanche con un provvedimento legislativo, perché esso non sarebbe in grado di prevedere interventi che, in concreto, possano contrastare o limitare gli effetti di atti e di comportamenti lesivi dei diritti di cui sono titolari l’editore, il direttore responsabile e il giornalista, quando essi siano realizzati con tecniche telematiche che, in quanto tali, rendono oltremodo difficile anche la sola individuazione e la localizzazione fisica del soggetto imputabile. Allo stato attuale è infatti questo il problema più scottante. Sebbene le informazioni che corrono sull’"autostrada informatica" sono certamente dotate di una certa "fisicità", buona parte dell’apparato sanzionatorio apprestato dalla disciplina del diritto d’autore è inutilizzabile per la difficoltà, come è stato detto, di "governare" la cosa Internet.

Sembra, in un certo qual modo, ripetersi quanto già è emerso in dottrina ed ha confermato la recente legge 675/1996 a riguardo del tema della privacy e banche dati: assunta consapevolezza della impossibilità di poter continuare a garantire lo stesso grado di "riservatezza" ai dati personali che era possibile assicurare fino a qualche anno fa in assenza di una così massiccia utilizzazione dell’informatica, ci si è rassegnati a non più riconoscere un diritto alla riservatezza contro le aggressioni perpetrate ad ogni livello con le tecniche informatiche, ma a riservare la possibilità al titolare dei diritti di accedere liberamente ai suddetti dati per verificarne la correttezza e la completezza, nonché per controllare che la loro comunicazione e diffusione avvenga secondo le modalità e nei termini concordati.
Il Tribunale nella annotata ordinanza, comunque, rileva che, pur non essendo gli articoli giornalistici riprodotti - così come espone l’art. 101, 2° comma, lett. b), l.d.a. - a mezzo di "giornali o altri periodici" ovvero di "radiodiffusione", si devono ritenere compresi nella lettera della norma, tutti i mezzi di riproduzione, anche quelli tecnologicamente più avanzati, come quelli informatici che consentono di raggiungere meglio e più rapidamente lo stesso risultato.
Per completezza si rammenta che recentemente la stampa periodica ha riportato la notizia di un provvedimento del Tribunale di Napoli (I sez. civ. giudice dott. L. Capasso) che ha negato la registrazione di una testata giornalistica per un periodico che sarebbe stato diffuso esclusivamente via INTERNET, per la "difficoltà di estendere per analogia al giornale diffuso per via telematica le norme della legge sulla stampa", mancando il supporto cartaceo, mentre la "estensione della registrazione alle testate giornalistiche televisive e radiofoniche è frutto di un’espressa previsione normativa, che ha aggiornato la legge esistente". E’ evidente -e comunque non condivisibile - la contraddittorietà di questo orientamento rispetto a quello seguito dal Tribunale di Milano, che giustamente non "discrimina" tra modalità tecniche più o meno avanzate.

3. Entro quali limiti ed a quali condizioni è consentita la riproduzione e la diffusione di articoli di giornali o di interi giornali?

I giornali e le riviste sono qualificati dalla legge sul diritto d’autore (legge 22 aprile 1941, n° 633 "Protezione del diritto di autore e di altri diritti connessi al suo esercizio") "opere collettive" (art. 3) e sono specificamente presi in considerazione nella sezione II del capo IV l.d.a. intitolata "Opere collettive, riviste e giornali" (artt. 38-43).
Per quanto riguarda i limiti di riproducibilità di articoli giornalistici, occorre innanzitutto chiarire cosa debba intendersi per riproduzione. L’art. 13 l.d.a. specifica testualmente che "il diritto esclusivo di riprodurre ha per oggetto la moltiplicazione in copie dell’opera con qualsiasi mezzo, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, la incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione". Invero, in dottrina a chi oggi identifica la riproduzione con la realizzazione di uno o più oggetti corporei ripetitivi o rappresentativi della forma esterna dell’opera stessa e, per talune opere, ripetitivi della loro esecuzione (Santoro) si contrapponeva in passato chi autorevolmente (Carnelutti) riteneva che per riproduzione dovesse intendersi l’idoneità a rappresentare esternamente seppure in diversa forma la stessa "idea". Tale ultima qualificazione deve essere opportunamente rielaborata, in modo da non risultare oltremodo generica e come tale inutile ai nostri fini. Per riproduzione non deve intendersi solo quella che ripete sia la forma e sia la sostanza dell’opera, ma anche quella che riprende il contenuto originale dell’opera, senza rielaborarlo ma al più modificandone esclusivamente l’aspetto esteriore grafico.
Delicati problemi di identificazione del fenomeno "riproduzione" pone l’utilizzazione di mezzi informatici, ai fini di una corretta fissazione del momento dal quale possa ritenersi applicabile la relativa normativa di tutela. In verità, il riferimento fatto dall’art. 13 l.d.a. alla "moltiplicazione in copie" sembrerebbe poggiare sul presupposto di un supporto materiale di dette copie e, in quanto tale, immediatamente intelleggibile (e quindi qualificabile come copia). Nel campo informatico, invece, la forma elettronica non consente una immediata intelleggibilità del supporto se non in una fase successiva di visualizzazione sullo schermo e/o di stampa su un supporto cartaceo, momenti comunque distinti e temporalmente posteriori rispetto a quelli della vera e propria riproduzione. In definitiva, si realizzano elettronicamente delle copie (riproduzione) che non sono però percepibili, riconoscibili ed identificabili come tali.

Al riconoscimento in capo all’autore del diritto di riprodurre e di autorizzare la riproduzione (art. 13 l.d.a.) -così come dispone anche l’art. 9 della Convenzione di Berna "per la protezione delle opere letterarie e artistiche", ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 20 giugno 1978, n° 399) (e della quale è stato recentemente proposto un Protocollo aggiuntivo)- si affiancano poi quelli di diffondere l’opera a distanza (art. 16 l.d.a.) e di distribuirla (art. 17 l.d.a.). L’art. 38 LDA riserva all’editore il diritto di utilizzazione economica ma precisa che "ai singoli collaboratori dell’opera collettiva è riservato il diritto di utilizzare la propria opera separatamente, con la osservanza dei patti convenuti [...]". Completa il quadro delle tutele apprestate ai titolari di diritti sulle opere letterarie dalla normativa vigente la legge 22 maggio 1993, n. 159, che punisce la reprografia esercitata abusivamente e a fini di lucro. E’ importante evidenziare che ai sensi dell’art. 19 l.d.a. "i diritti esclusivi previsti dagli articoli precedenti sono fra loro indipendenti. L’esercizio di uno di essi non esclude l’esercizio esclusivo di ciascuno degli altri diritti"; pertanto il diritto di riproduzione è tutelato autonomamente rispetto agli altri.
Le riserve di tutela riconosciute a favore dell’autore e dell’editore delle opere letterarie vengono in qualche modo attenuate dal legislatore quando si incide in misura non rilevante sulla vita economica dell’opera e difatti a questa "logica" obbediscono gli artt. 65-71 l.d.a. in tema di utilizzazioni libere. Il quadro delle tutele apprestate si chiude, infine, con l’art. 101 l.d.a. in tema di "riproduzione di informazioni e notizie" e con il richiamo alla normativa generale in tema di concorrenza sleale.

Dal combinato disposto di tutta la suddetta normativa possono ricavarsi i seguenti principi:

* Ai sensi dell’art. 13 l.d.a. esiste un divieto generale di riproduzione dell’opera giornalistica con qualsiasi mezzo; cui si affianca, quando l’abusiva riproduzione è fatta a fini di lucro, la legge n°159/1993.

* Ai sensi dell’art. 65 l.d.a, - come rileva anche la annotata ordinanza - se non è stata espressamente (riservata) vietata, è libera la riproduzione su altre riviste o giornali di articoli di attualità, di carattere economico, politico, religioso purché se ne citi la fonte.

* Ai sensi dell’art. 68 l.d.a. è consentita la riproduzione per uso personale di opere o brani di opere, quando la riproduzione sia fatta con mezzi che non consentono uno spaccio o diffusione dell’opera nel pubblico.

* Ai sensi dell’art. 70 ,l.d.a è consentita la riproduzione di brani o di parti di opere per scopi di critica, di discussione e anche di insegnamento nei limiti giustificati da tale finalità e purché non costituiscano concorrenza alla utilizzazione economica dell’opera.

* Ai sensi dell’art. 101 l.d.a - come rileva anche l’annotata ordinanza - è lecita la riproduzione di informazioni e notizie, salvo che non si risolva nella loro sistematica pubblicazione o radiodiffusione, su giornali o altri periodici o imprese di radiodiffusione, a scopo di lucro.

Conviene fin d’ora precisare che lo scopo di lucro (richiamato sia nell’art. 101 l.d.a che nella legge n° 159/1993) non deve essere identificato esclusivamente nel guadagno che possa ricavare chi pubblica ma anche solo nella sottrazione di guadagni che ne può soffrire il legittimo titolare.

* La normativa generale in tema di concorrenza sleale (artt. 2595 ss, c.c.) trova comunque applicazione, pur nella specificità della previsione dell’art. 101 l.d.a.

4. La rassegna stampa

Un problema particolare - e diverso rispetto a quello esaminato dalla annotata ordinanza di comunicazione a terzi di rassegne stampa - si pone quando l’articolo giornalistico è riprodotto e diffuso (ad es. mediante fotocopie, oppure in rete mediante elaboratori) all’interno di una struttura aziendale. Ad esempio, è quanto avviene all’interno di istituti pubblici e privati con la raccolta in fotocopie di articoli giornalistici, raccolte che - come vedremo impropriamente - sono chiamate rassegne stampa e vengono distribuite tra gli uffici. Il problema è se possa ritenersi applicabile l’art. 68 l.d.a., se cioè siffatta riproduzione possa qualificarsi "per uso personale", restando limitata nell’ambito aziendale. A me sembra, in verità, che il problema debba essere risolto, da un lato con un approccio che tenga conto della rilevanza economica del fenomeno, dall’altro con una corretta esplicitazione di cosa debba intendersi per uso personale. Già si è detto prima che la "logica" su cui poggia la normativa delle "utilizzazioni libere" è la mancanza di un danno patrimoniale rilevante a carico dei titolari dei diritti sull’opera giornalistica riprodotta. Rilievo questo che si ricava anche dalla annotata ordinanza, laddove giustamente il giudice rammenta che "è ben vero che i lettori stessi possono procedere autonomamente alla formazione di rassegne stampa e di banche dati, ma la loro attività non può prescindere dall’acquisto delle pubblicazioni, acquisto che è illegittimamente escluso a danno delle ricorrenti dalla raccolta offerta da Selpress". Se il numero di fotocopie, anche rispetto al numero di copie del giornale o della rivista acquistate, è scarso, non si ritiene sussista interesse ad agire. Quanto al significato di "uso personale" ricavabile dall’intera normativa in materia, ci sembra che esso sia circoscrivibile in una relazione diretta tra la persona (fisica) che ne gode e l’opera giornalistica: la circostanza che qui siamo in presenza di una persona giuridica non può condurre a ritenervi comprese tutte le persone fisiche che ne fanno parte! A maggior comprensione di quanto dianzi esposto, può soccorrere la distinzione tra "uso personale" ed "uso privato". Il primo, infatti, manifesta la possibilità che la fruizione della singola opera si esaurisca con l’utilizzazione da parte di una sola persona (fisica), mentre l’uso privato riguarda la contemporanea fruizione di una singola riproduzione da parte di più soggetti individuati secondo determinati criteri (ad es. la proiezione cinematografica per i soci di un circolo, il concerto per i dipendenti di un’azienda, ecc.). Nel caso della rassegna stampa distribuita nell’ambito aziendale -e tanto più nel caso di quella comunicata o distribuita a terzi- gli articoli giornalistici contenuti nelle singole copie del giornale acquistate sono moltiplicati e distribuiti (con fotocopie o con immissione nella rete telematica) e di essi, pertanto, le singole persone avranno una fruizione temporalmente diversificata, che non può dunque qualificarsi ad uso personale. Sul punto il protocollo aggiuntivo della Convenzione di Berna propone criteri molto rigorosi rispetto alla determinazione della cerchia dei soggetti a cui limitare l’uso personale. In conclusione, la fattispecie concreta che stiamo esaminando non può ritenersi compresa nell’art. 68 l.d.a.; ma neanche nell’ipotesi di cui all’art. 65 l.d.a., perché la riproduzione non avviene in altre riviste e giornali. Pertanto, a nostro parere, cade sotto il divieto generale di cui all’art. 13 l.d.a. e potrebbe anche configurarsi l’ipotesi di cui alla legge n° 159/1993 dell’abusiva riproduzione, in quanto la mancanza prima facie dello scopo di lucro può essere recuperata nella considerazione del danno economico subito dai titolari dei diritti sull’opera giornalistica.
Ovviamente, a maggior ragione l’attività di riproduzione potrà ritenersi giuridicamente illecita se gli articoli sono pubblicati, nonostante la espressa riserva, in altri giornali e riviste (art. 65 l.d.a.) e se è evidente il perseguimento dello scopo di lucro "diretto" (legge n° 159/1993).
Possiamo, dunque, distinguere secondo l’oggetto varie possibilità di riproduzione su altre testate giornalistiche di articoli di giornali e/o riviste:

- articoli a carattere artistico, culturale, storico, geografico, tecnico, scientifico, non possono essere riprodotti in alcun caso, a prescindere dall’apposizione della riserva;

- articoli di attualità a carattere politico, economico, religioso, possono essere riprodotti, in assenza di apposita riserva e nei limiti dell’art. 65 l.d.a.;

- la riproduzione di informazioni e notizie è libera se effettuata in conformità agli usi onesti in materia giornalistica (art. 101 l.d.a.) ed in particolare, quando per scopo di lucro, che non abbia i caratteri della sistematicità.

E’ evidente che ad un tale stadio di esame della problematica, il fatto che la riproduzione avvenga con mezzi meccanici o in via informatica non ha rilievo determinante, perché si manifesta esclusivamente l’utilizzo di una diverso supporto della riproduzione: cartaceo se realizzata a mezzo di fotocopia, elettronico se realizzata informaticamente. Si discute, è vero, se in campo informatico la riproduzione coincida con il c.d. "caricamento", cioè con l’inserimento del contenuto dell’opera nell’elaboratore (e quindi nella sua "materializzazione" su impulsi elettronici), oppure si realizzi quando sia intelleggibile, ma ai nostri fini la soluzione di questo problema poco interessa, una volta accertata l’illegittimità della riproduzione in quanto tale.
Invece, la diversità del supporto (cartaceo o elettronico) rileva ai fini del buon esito delle azioni cautelari ed inibitorie, nonché per ottenere il risarcimento dei danni che competono ai titolari dei diritti sulle opere letterarie, a seguito della violazione del diritto di riproduzione. Infatti, il Capo III della l.d.a., che prevede le "difese e sanzioni giudiziarie", presuppone la materialità delle copie illecitamente riprodotte o diffuse e quindi la possibilità di impedirne la ripetizione (art. 156 l.d.a.), di distruggerle insieme agli apparecchi che le hanno riprodotte e diffuse (art. 159 l.d.a), materialità che evidentemente è percepibile nel caso delle fotocopie e non invece a livello informatico. Non solo, ma mentre nel caso dell’illecita riproduzione su supporto cartaceo può essere complesso, ma non certo impossibile, giungere all’individuazione di chi ha violato il diritto di riproduzione, lo stesso non può dirsi nel caso della riproduzione informatica e della diffusione tra il pubblico in rete (ad es. attraverso Internet).

Ritornando ora al tema specifico di questo paragrafo e all’oggetto principale della annotata ordinanza, si rileva che la l.d.a. non spiega cosa debba intendersi per "rassegna stampa". Una definizione la ricaviamo dall’art. 10 della Convenzione di Berna (legge 20 giugno 1978, n° 399) che recita testualmente: "Sono lecite le citazioni tratte da un’opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegna di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo". La rassegna stampa, dunque, consiste nella raccolta di citazioni tratte da articoli giornalistici e non, invece, nella riproduzione di interi articoli giornalistici. Perciò, la riproduzione (su supporto cartaceo o altro) di interi articoli di giornali e/o riviste non è qualificabile come rassegna stampa in senso proprio, e quindi non è ascrivibile alle "utilizzazioni libere" di cui alla l.d.a..
Invece, le rassegne stampa vere e proprie sono lecite e, a seconda dell’ampiezza, costituiscono un primo ed immediato veicolo informativo nonché un utile strumento promozionale per le testate richiamate. Così come sono lecite quelle pubblicazioni costituite da sunti, abstracts, e talvolta critici richiami di articoli giornalistici.
Ovviamente, le suddette considerazioni hanno valore a prescindere dai supporti utilizzati: carta, etere o impulsi elettronici, così come del resto rileva lo stesso giudice nell’annotata ordinanza.

Le precedenti osservazioni non possono però prescindere dalla rilevazione di un dato di fatto e che cioè in realtà le rassegne stampa si presentano, invece, normalmente come una mera raccolta di articoli, pubblicati su vari quotidiani e riviste, selezionati per materia, senza alcun personale apporto originale ed innovativo da parte di colui che la confeziona. Se si considerano gli enormi danni economici che soffrono in tal modo gli editori non soltanto per la minor vendita delle pubblicazioni ma anche (e direi soprattutto) in termini di minori introiti pubblicitari, sarebbe forse il caso di sollecitare un intervento legislativo mirato alla soluzione di questo problema, in via definitiva e non meramente giurisprudenziale.

 

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