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Sistema informazione

Informazione e comunicazione, un cantiere di leggi 

08.01.07
Il Governo avvia consultazioni in vista di una legge di riforma dell'editoria.
Si discute anche del sistema televisivo. Convergenza delle tecnologie, multimedialità e professione giornalistica devono essere i nodi della discussione.
C'è qualcosa di buono e qualche punto critico nello schema del Governo per la riforma del sistema dell'editoria. Un testo molto generico, inviato alle istituzioni e alle categorie interessate insieme a un questionario. Sulla base delle risposte sarà  preparato il disegno di legge.
Finalmente. Il sistema disegnato dalle norme del '48 sulla stampa e del '63 sulla professione giornalistica è da anni inutilizzabile a causa dei cambiamenti innescati dal progresso delle tecnologie.

Il nuovo progetto si affianca al disegno di legge C. 1825 per il passaggio alla televisione digitale terrestre, a quello per la riforma delle professioni e alle discussioni sulla riforma del sistema televisivo, in particolare della Rai. Insomma, è in funzione un "cantiere legislativo" dal quale dovrebbe nascere un sistema complessivo adeguato alla realtà della società dell'informazione.
Vediamo alcuni passaggi essenziali dello schema.

Al primo punto ci sono "L'impresa editoriale e il ruolo del giornalista". Due aspetti che potrebbero essere separati ma che, insieme, mettono in luce un problema di grande attualità: l'importanza di distinguere tra l'informazione professionale e quella "spontanea", tipica dell'era dell'internet. Per la prima occorrono regole non facili da riscrivere; per la seconda non si possono porre limiti che non siano quelli imposti dal codice penale, in forza dell'articolo 21 della Costituzione.

Il secondo punto, "Il prodotto editoriale" è strettamente legato al primo. Il questionario chiede se si ritenga adeguata la "dizione" introdotta dalla famigerata legge 62/01: la risposta è negativa; l'intero regime della legge del 2001 è da rivedere, perché non è pensabile che la periodicità della pubblicazione sia l'unico requisito per distinguere il prodotto "stampa" dal resto dell'editoria. Il sistema del '48 non sta più in piedi.

Il problema è molto serio. Quelli che non conoscono l'internet affermano che la proliferazione incontrollata delle fonti di informazione comporta il rischio di diffusione di notizie non verificabili. "Internet uguale Far West" è il luogo comune che accompagna questa visione. In realtà è vero il contrario: mentre prima eravamo costretti a fidarci di fonti sempre più o meno "istituzionali", oggi disponiamo di una quantità di "siti" che ci consentono di verificare e confrontare le notizie. La pluralità delle fonti allarga gli orizzonti informativi e stimola il senso critico.

Ma tutto questo comporta l'assunzione di nuove e più stringenti responsabilità per i professionisti dell'informazione. E anche la necessità di allargare la preparazione professionale. Oggi il giornalista della carta stampata non può più esistere come figura diversa da quello della radio o da quello della televisione. La convergenza del media, con l'internet come "crogiolo" delle notizie, ci costringe tutti a misurarci con la multimedialità da una parte, e con le fonti di informazioni non professionali dall'altra.

Questa impostazione è stata accolta dal nuovo contratto di servizio della Rai, firmato il 6 dicembre 2006. Esso presenta molte innovazioni interessanti, ma una è la più importante dal punto di vista del "sistema": il sito internet della Rai, nelle sue varie articolazioni, è visto come punto di snodo di tutta la programmazione e del dialogo con il pubblico, fino a prevedere non solo gli spazi per gli interventi "dal basso", ma persino la possibilità che altri siti attingano alle risorse dell'emittenza pubblica.

Torneremo sull'argomento quando sarà pubblicato il testo definitivo (a un mese dalla firma circolano ancora solo le bozze!). Ma è chiaro che siamo di fronte a una visione finalmente concreta della convergenza e della multimedialità, i due concetti-chiave dell'informazione nel nostro tempo.

In questo quadro la figura del giornalista, la sua libertà intellettuale e il suo profilo professionale devono essere al centro di qualsiasi riforma del sistema. Sotto questo punto di vista la bozza governativa appare carente, o forse reticente. Rivela comunque una certa confusione di idee.
Lo si vede sia nello schema, che si limita alla mera citazione di "Ordine, Albo e codici deontologici". Ma soprattutto nel questionario, che finge di ignorare le discussioni su una questione essenziale come la sopravvivenza dell'Ordine dei giornalisti, anacronistica struttura che non esiste in alcun paese democratico.

Il Governo chiede agli interessati "Quali sono i vantaggi, ovvero, svantaggi che potrebbero prevedersi adottando un Codice deontologico generale, applicabile anche all'editoria on-line e fatto proprio dall'Autorità garante per le comunicazioni, che in mancanza di proposta dell'Ordine lo adotterebbe motu proprio, e che sarebbe competente a sanzionarne le violazioni, secondo la disciplina già prevista per il trattamento dei dati personali?".

Il meno che si possa dire di questa domanda è che è confusionaria. Ammessa (e non concessa) la sopravvivenza dell'Ordine come è oggi, non avrebbe alcun senso un codice proposto dall'organismo dei giornalisti e da applicare a tutto il settore dell'informazione.
L'associazione professionale dei giornalisti, nella quale dovrebbe trasformarsi l'attuale ordine, dovrebbe ereditarne anche il ruolo di garante della deontologia. Che potrebbe applicarsi solo ai professionisti dell'informazione, non al resto del mondo.

Fa venire i brividi l'ipotesi che, in mancanza di deontologia adottata dell'organismo professionale, il codice di comportamento dei giornalisti debba essere imposto da un'autorità amministrativa. E' inaccettabile, ne va dell'indipendenza dell'informazione.
I giornalisti italiani hanno già i loro codici deontologici. La trasformazione dell'Ordine in associazione non li farebbe venir meno. Ma se, per assurda ipotesi, l'autoregolamentazione dovesse "dissolversi", resterebbe sempre il codice penale a sanzionare gli illeciti. Anche questo, di nuovo, è il senso dell'articolo 21 della Costituzione.

Altri sono i problemi da affrontare, sempre nell'ottica della libertà costituzionale di espressione. Fra i primi quello dei sequestri dei siti internet, fino a oggi troppo frequenti anche per reati sostanzialmente modesti, come le violazioni del diritto d'autore. Ma anche per questioni più serie, come la protezione dei minori, ci sono problemi che devono essere risolti a livello di sistema.

Per fare un solo esempio, c'è il "decreto Gentiloni" del 2 gennaio scorso, per il contrasto alla pedofilia on line. Esso costituisce uno sviluppo molto pericoloso delle prime azioni di "oscuramento" dei siti internet del gioco d'azzardo illegale (vedi Illegale l'operatore o illegittimo il decreto? di Andrea Pascerini, su InterLex). Si tratta di una vera e propria censura digitale, per la quale il decreto Gentiloni impone di mettere in piedi un'apposita infrastruttura tecnologica. Con lo strumento a disposizione, altre "autorità" potrebbero cedere alla tentazione di usarlo. Nei prossimi giorni affronteremo l'argomento su Interlex.

Un altro problema ignorato dallo schema governativo è quello dell'accesso alla professione giornalistica. Si dirà che esso rientra nel disegno di riforma degli ordini professionali, ma è una questione essenziale in una riforma dell'editoria che si propone di ridisegnare l'intero settore anche nell'ottica dell'informazione elettronica.
Ancora, non si pone la questione della registrazione dei periodici presso il tribunale, quando c'è il Registro degli operatori di comunicazione tenuto dall'Autorità per le garanzie. A che servono due registri? Qualcuno pensa ancora che i giornalisti siano pericolosi sovversivi, da affidare alla sorveglianza costante di un giudice?

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