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Professione giornalista

Posta certificata obbligatoria anche per i pubblicisti

La norma riguarda "I professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato". Tali sono i pubblicisti, iscritti nell'apposito elenco istituito con la legge 69/63. Ma a che serve la posta elettronica certificata?
9 dicembre 2009

Scadeva il 28 novembre scorso il termine entro il quale gli iscritti agli ordini professionali avrebbero dovuto comunicare agli ordini stessi i propri indirizzi di posta elettronica certificata (PEC). Sembra che pochi lo abbiano fatto, in particolare tra i giornalisti. Un rinvio sembra inevitabile. Ma non provocherà conseguenze significative, visto che al momento la PEC serve poco o nulla, come vedremo tra poco.

L'obbligo di avere (ma non di usare) una casella PEC per i professionisti è stato introdotto dal decreto-legge 185/08, il cosiddetto "anticrisi", entrato in vigore il 29 novembre 2008 e convertito con la legge 28 gennaio 2009, n, 2. Dice l'art. 16, comma 7:

I professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato comunicano ai rispettivi ordini o collegi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica di cui al comma 6 entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Gli ordini e i collegi pubblicano in un elenco riservato, consultabile in via telematica esclusivamente dalle pubbliche amministrazioni,i dati identificativi degli iscritti con il relativo indirizzo di posta elettronica certificata.

Alcuni ordini professionali, secondo le frammentarie informazioni disponibili, hanno provveduto a stipulare convenzioni con fornitori di PEC e a fornire le caselle agli iscritti. L'Ordine dei giornalisti non sembra si sia attivato. Sul sito nazionale si rimanda ai siti degli ordini regionali, che sono venti. Ma solo due affrontano la questione: la Lombardia, che offre una casella gratuita ai freelance (valore 5 euro) e la Sardegna, che assicura l'assistenza tecnica. Una citazione anche nel sito della Valle D'Aosta, che rimanda semplicemente ai siti istituzionali. Come dire: non ci capiamo nulla.

E questa è la realtà: della posta elettronica certificata nessuno capisce nulla, neanche il governo che ne vorrebbe diffondere l'uso. La PEC è un'innovazione tutta italiana, che potrebbe essere utilissima. Si tratta semplicemente dell'applicazione alla normale posta elettronica della firma digitale (un'altra applicazione della tecnologia al diritto che ha visto l'Italia all'avanguardia). Sostituisce la raccomandata tradizionale: se il destinatario ha una casella di posta certificata, si ha l'esatto equivalente della raccomandata con ricevuta di ritorno; se non c'è l'ha, l'effetto è quella di una raccomandata semplice, con la sola ricevuta di spedizione. Peccato che neanche sui siti istituzionali sia menzionata questa possibilità; lo strumento viene presentato come alternativo solo alla raccomandata A.R.. Questo ne limita non poco la prima diffusione.

Purtroppo, come è accaduto per la firma digitale, all'invenzione della PEC non sono seguite norme chiare e coerenti, né è stata fatta alcuna opera di informazione e formazione. Il risultato è un caos normativo che rende difficile usare questi strumenti (vedi Posta certificata: troppe questioni ancora aperte di Andrea Monti su InterLex). Si è preferito favorire gli interessi dei fornitori invece di curare la coerenza degli aspetti giuridici e tecnici. Al punto che non è neanche chiaro in quali rapporti possano essere usate le caselle di PEC offerte da enti diversi, mentre si è introdotta la possibilità usare sistemi di posta certificata che potrebbero essere non compatibili tra loro. E' stata addirittura lanciata la demagogica e inutile quanto costosa offerta di una casella gratis per tutti i cittadini, che sembra fatta apposta per far guadagnare soldi alle Poste italiane, con una gara "su misura".

In tutto questo, che se ne fanno, oggi, i professionisti della casella di PEC obbligatoria? Nulla. E' solo una seccatura.

Infine si deve sottolineare che l'obbligo riguarda indistintamente sia i giornalisti iscritti nell'elenco dei professionisti sia quelli iscritti negli altri albi (pubblicisti, elenco speciale, praticanti): la norma recita "I professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato". Non vale giocare con la parola "professionisti", contenuta nella legge del 1963, per concludere che solo i non-liberi-professionisti, cioè i giornalisti dipendenti da un editore, sono tenuti a disporre della PEC (vedi il sito di Franco Abruzzo). Senza considerare che i pubblicisti sono proprio i (liberi) professionisti contemplati dalla normativa europea e dal nostro codice civile. 

Per chi vuole saperne di più, nell'indice Firma digitale di InterLex ci sono più di 300 articoli su questa materia.

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