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Professione giornalista

Piove sulla Rete, giornalisti ladri

di Marco Mazzei
Componente del Dipartimento on line della FNSI
24.05.2000
 

Attaccare i giornalisti è un'operazione che porta sempre qualche simpatia; attaccare i giornalisti dei nuovi media (o che sui nuovi media ci vogliono andare) porta con tutta probabilità applausi scroscianti dalla platea. Se l'obiettivo è un po' di demagogia servita come aperitivo, va bene: in fondo anche le pagine su Internet - come quelle su carta - devono essere riempite e agitare la penna è sempre una bella attività. Se però si vuole fare un discorso serio sull'informazione e sul rapporto che esiste tra informazione e Internet, allora bisogna essere seri. Se poi si vuole parlare dei giornalisti, dei loro privilegi, della corporazione e di nuovi media bisogna essere ancora più seri e ancora più documentati.

Gli interventi che ho letto in questi giorni su Interlex - e prima su Punto Informatico e sempre su decine di liste, newsgroup, siti e quant'altro - hanno come punto di riferimento sempre e solo un particolare tipo di giornalista: quello che usa la tessera anche per entrare al supermercato, che guadagna un sacco di soldi (senza apparente ragione), che è come minimo schierato, quasi sempre incompetente. Il sindacato e l'ordine professionale di questo losco figuro sono come lui, all'ennesima potenza. Punto. Fine dell'analisi. Quando il figuro parla di informazione su Internet e di regole, ovviamente si pensa al disastro: le mani della corporazione sulla Rete. Che i giornalisti (italiani) riescano dove fino a oggi nessuno nel mondo è riuscito?

Provo a essere serio, con qualche domanda sparsa e qualche riflessione. Chi parla di corporazione sa quanto guadagna un praticante che viene assunto oggi in una casa editrice? E sa quanto sia difficile uscire dal mondo del sommerso, del nero, del precario? Chi parla di corporazione è consapevole del fatto che a fronte di pochi baroni (che esistono nella nostra come in tutte le altre categorie professionali), ci sono centinaia di giovani che pensano soprattutto a lavorare e che della tessera se ne infischiano? Giovani sottoposti spesso a pressioni, ricatti, forzature: perché l'informazione - oggi più che mai - vale un sacco di soldi e muove grandi interessi.

Siamo comunque ancora una categoria fortunata, nessuno lo nega, ma non più così tanto da essere il facile bersaglio della demagogia da aperitivo di cui sopra. Bisognerebbe aggiornare le informazioni e passare ad altri bersagli.

Quanto a Internet, la questione è di una semplicità disarmante. Nessuno vuole censurare la Rete, nessuno è nemmeno così pazzo da pensare di riuscirci, vorrei aggiungere. La battaglia non è tra l'informazione libera da una parte e quella corporativa dall'altra. L'informazione è sempre stata molte cose: un'enciclopedia, una recensione, una lettera, un manifesto. Oggi resta molte cose e per di più su molti mezzi, o - meglio - anche su un mezzo dalle molte facce. Una di queste è l'articolo di un giornale; tra le molte "informazioni", c'è quella prodotta da professionisti, intesi come persone che per mestiere - e a tempo pieno - producono informazione. Di questi signori si parla pensando ai problemi che pone il nuovo mezzo. E la battaglia non è finalizzata a censurare Internet, ma solo a evitare che la Rete diventi il pretesto per fare piazza pulita di una categoria professionale, che - vale la pena ricordarlo - svolge un servizio pubblico fondamentale in una democrazia. Lo stesso servizio può essere svolto dal popolo di Internet, libero e anarchico? E' questo il modello che qualcuno ha in mente?

Ai giornalisti non interessa mettere le briglie alla Rete, ma interessa molto evitare che sulla scia di Internet qualcuno pensi di spacciare per lavoro giornalistico quello che non lo è. E questo qualcuno non è certo il singolo o il gruppo che realizzano un sito di informazione, contro-informazione, poesia o giardinaggio. Questo qualcuno sono le grandi casi editrici, i gruppi mediatici, le aziende di telecomunicazioni. Chi porta avanti campagne demagogiche da quattro soldi non ha capito che se la libertà di informazione su Internet è in pericolo, lo è perché i media sono sempre più controllati, sempre più concentrati, sempre più omologati, ma non certo da quattro giornalisti in croce, quanti siamo oggi. Il nemico non sono i giornalisti, come categoria; il nemico è la pubblicità spacciata come articolo, la comunicazione mischiata all'informazione, la mancanza di idee e di coraggio nell'inventarsi prodotti editoriali nuovi.

La legge sulla stampa, la legge istitutiva dell'Ordine dei giornalisti, altri istituti andranno certamente riletti, rivisti, ripensati. Bisognerà essere più seri e rigorosi da un punto di vista deontologico. Ma da qui a far credere che i giornalisti vogliano mettere le mani sulla libera circolazione delle informazioni ce ne passa: siamo una categoria forse antipatica, certamente anche un po' per colpa nostra, ma non siamo noi i nemici di Internet. Cercateli da qualche altra parte.

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