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Professione giornalista

Un ripensamento della professione giornalistica

di Paolo Bonaiuti
Sottosegretario all'Editoria - Presidenza del consiglio dei ministri
27.11.01
 

Dal resoconto stenografico delle dichiarazioni del sottosegretario all'Editoria Paolo Bonaiuti alla Commissione VII della Camera il 20 novembre 2001

[...] Particolarmente significativa è la crescita dell'attività editoriale su Internet, sia da un punto di vista quantitativo (con i maggiori editori che hanno creato, in molti, società ad hoc per lo sviluppo di attività sul web) sia da un punto di vista qualitativo (con l'affermazione di modelli di offerta innovativi come i portal sites verticali o i portali tematici). Gli investimenti editoriali sul web sono cresciuti del 17,5 per cento nel 1999 sul 1998 e del 14 per cento nel 2000 sul 1999.
Signor presidente, onorevoli commissari, nel triennio 1998-2000, il modello produttivo dell'azienda editoriale in Italia è mutato in meglio. I risparmi dei costi ed una più efficiente distribuzione delle risorse hanno determinato un certo riequilibrio dei conti economici delle singole imprese e del sistema nel suo complesso. Il processo è stato facilitato da un utilizzo efficace delle nuove tecnologie digitali e, soprattutto, da una crescita straordinaria, in quel periodo, degli introiti derivanti dalla pubblicità. Purtroppo, nemmeno in questa congiuntura favorevole si è riusciti ad ampliare le dimensioni del mercato, che restano molto anguste, soprattutto per i prodotti editoriali tradizionali: quotidiani, periodici e libri. Questo è un grave elemento di debolezza strutturale che rischia di aggravarsi ulteriormente nel momento in cui i ricavi pubblicitari sono in frenata e diventa probabile, dopo quanto avvenuto l'11 settembre scorso, una contrazione dei consumi.
Arriviamo all'intervento pubblico. La scorsa legislatura è stato un momento felice per il settore dell'editoria. Sono state varate norme importanti, per cercare di contrastare i problemi strutturali, che ho già messo in rilievo. Queste norme sono state varate con uno spirito al di sopra delle parti, con il consenso convinto anche della Casa delle libertà. È uno spirito, un metodo che - voglio dirlo con chiarezza - ritengo debba continuare ad essere perseguito, perché questo settore, al di là dei suoi risvolti economici e commerciali, fissa le regole che salvaguardano l'informazione e la libera circolazione delle idee e della cultura: in altre parole, tutti sappiamo che questo settore è uno dei pilastri della nostra democrazia.
Veniamo agli interventi. Due sono stati i principali interventi, ai quali mi riferivo in precedenza: in primo luogo, la legge n. 108 del 1999, che ha fissato, prima, la sperimentazione e, poi, le regole per superare il più che cinquantennale monopolio di vendita dei prodotti editoriali nelle edicole; in secondo luogo, la legge n. 62 del 2001, che ha modificato in maniera sostanziale la legge n. 416 del 1981, ovvero la norma di base del settore.
Il percorso della legge n. 108 del 1999 ha dimostrato che, storicamente, nel nostro paese non si è riusciti a soddisfare, anche per una serie di vincoli formali imposti alla distribuzione, la domanda potenziale di prodotti editoriali, nella fattispecie quotidiani e periodici. Infatti, come sapete bene voi, membri di questa Commissione, i risultati della sperimentazione della vendita dei prodotti editoriali al di fuori delle edicole hanno messo in evidenza una crescita aggiuntiva, dovuta non solo ai nuovi punti di vendita, ma anche al contemporaneo incremento delle vendite nelle edicole: un effetto che gli economisti chiamerebbero spill-over ovvero di tracimazione.
Ecco perché la via indicata dalla legge n. 108 del 1999 deve essere continuata con una convinzione anche maggiore rispetto a quella manifestata finora da alcuni soggetti direttamente interessati. Si dovrà inoltre vigilare perché la pluralizzazione dei punti di vendita - che non è e non dovrà essere una liberalizzazione selvaggia - non sia ostacolata in via amministrativa dal coacervo di regolamenti a livello locale tra comuni e regioni.

La legge n. 62 del 2001 rappresenta il tentativo - che, come ho detto, la Casa delle libertà ha condiviso in pieno con la maggioranza di centrosinistra di allora - di superare la legge n. 416 del 1981 nei suoi istituti divenuti francamente obsoleti. È basata, la legge n. 62, su una nuova ed innovativa definizione di prodotto editoriale che assimila le componenti tradizionali cartacee (quotidiani, periodici, libri) a quelle multimediali off line ed on line.
La legge n. 62 del 2001 segna, inoltre, una diversa filosofia dell'intervento pubblico nel settore. Ricorre sempre più agli strumenti indiretti - credito agevolato, credito di imposta, sostegno all'outplacing della forza lavoro (sostegno alla forza lavoro quando «esce fuori», magari da un giornale) - che non distorcono le condizioni di base del mercato, e sempre meno agli strumenti diretti come i contributi a fondo perduto, ormai limitati ai «veri» organi di movimenti politici ed alle «vere» cooperative di giornalisti. Ho messo «veri» tra virgolette per sottolineare che la nuova normativa, molto più rigorosa, ha imposto una barriera, un ostacolo, un barrage all'accesso ai contributi. Della legge n. 62 del 2001 voglio sottolineare le norme specifiche a favore della lettura del libro, nella versione migliorativa attuata dal decreto legge 5 aprile 2001 n. 99 convertito nella legge n. 198 del 2000.
Signor presidente, onorevoli commissari, il Governo ritiene che il percorso in parte tracciato con i provvedimenti illustrati debba essere continuato e reso ancora più concreto ed efficace. In questa prospettiva sono già stati realizzati alcuni interventi importanti. Il primo provvedimento del Governo sull'editoria è stato quello - richiesto da quasi tutte le categorie e dalle forze sociali interessate - di mantenere le competenze istituzionali sull'editoria stessa concentrate nella Presidenza Consiglio, in particolare nel dipartimento per l'informazione e per l'editoria.
L'esecutivo in ciò è stato agevolato da un consenso molto ampio, direi quasi trasversale, delle forze parlamentari e colgo questa occasione per porgere a voi un ringraziamento.
Come sapete, la cosiddetta riforma Bassanini prevedeva che le competenze della Presidenza del Consiglio nel settore fossero, dall'inizio di questa legislatura, divise tra Ministero delle comunicazioni, Ministero delle attività produttive e, in parte residuale, Ministero dei beni e delle attività culturali. Ci è sembrato che questa divisione potesse diminuire la capacità di coordinamento, di indirizzo e di gestione necessaria per far fronte ai delicati problemi del settore e, lasciatemelo dire, ci è anche sembrato assurdo «frazionare» una delle strutture, il dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio, riconosciuta all'avanguardia della pubblica amministrazione.
Gli interventi successivi del Governo stanno dando forte impulso all'attuazione della legge n. 62 del 2001. Anche in questo caso, voglio sottolinearlo senza alcuno spirito polemico, molte difficoltà sono nate proprio dall'applicazione della cosiddetta riforma Bassanini, che ha toccato le sedi istituzionali (per una parte l'ex Ministero dell'industria e l'ex Ministero delle finanze) coinvolte con la Presidenza del Consiglio nella stesura dei provvedimenti di normazione secondaria. Dei tre atti regolamentari necessari per rendere operativa la nuova legge sull'editoria, quello riguardante il fondo per la mobilità e la riqualificazione professionale dei giornalisti (ex articolo 15 della legge n. 62 del 2001) e quello riguardante il credito agevolato (ex articoli 5, 6 e 7 della stessa legge) sono all'esame del Consiglio di Stato per il previsto parere, propedeutico al passaggio successivo in Consiglio dei ministri.
Il regolamento ex articolo 8 della legge n. 62, relativo al credito di imposta è in fase di stesura molto avanzata al Ministero competente, quello dell'economia e delle finanze, con la stretta collaborazione della Presidenza del Consiglio. Per quanto il percorso non sia ancora del tutto perfezionato, voglio sottolineare l'importanza dello strumento: si tratta di un fondo di 8,5 miliardi l'anno per cinque esercizi a sostegno delle iniziative di riqualificazione professionale dei giornalisti. Con questo fondo si cerca al tempo stesso di favorire nuove iniziative - soprattutto, ma non soltanto, nella multimedialità - e di sostenere, senza interventi assistenzialistici «a pioggia», i comparti più deboli dell'editoria. In ultima analisi, stiamo cercando di favorire forme di flessibilità che non vanno, però, a scapito della forza lavoro: in questo abbiamo ottenuto il consenso degli editori e della Federazione nazionale della stampa.
Il Governo si accinge ad emanare un decreto-legge che proroga il regime di tariffe agevolate per le spedizioni di pubblicazioni in abbonamento postale. Com'è noto, la normativa vigente prevede che dal 1ogennaio 2002 entri in vigore un nuovo sistema: la spedizione di stampe periodiche è liberalizzata, gli utenti possono scegliere il vettore postale che vogliono (sulla carta) e lo Stato interviene con un contributo a favore dei soggetti meritevoli, sulla base del regolamento già da tempo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Questo sistema è stato fortemente contestato da molte categorie interessate, soprattutto dalla piccola e media editoria. Si ritiene, infatti, che l'assenza nel settore delle spedizioni postali di una concorrenza reale tra vettori finisca per distorcere l'obiettivo della nuova normativa e penalizzare fortemente le imprese con fatturati modesti. Il Governo condivide questa impostazione e, lo ribadisco, interverrà di conseguenza, cercando di elaborare un provvedimento che tenga conto, al tempo stesso, delle esigenze appena dette e dei vincoli di bilancio della legge finanziaria per il 2002.
Signor presidente, onorevoli commissari, nella prima parte di questo intervento ho affermato che il triennio 1998-2000 è stato in complesso positivo per il mercato dell'editoria, anche se non sono state superate alcune debolezze strutturali. Proprio tali debolezze rischiano ora di essere aggravate da una congiuntura poco favorevole. I recenti interventi, attuati dal legislatore con spirito al di sopra delle parti, vanno nella giusta direzione ed il Governo si è impegnato a realizzarli attraverso atti di normazione secondaria - i regolamenti - di cui, però, sottolineo l'oggettiva complessità.
Il Governo manterrà puntualmente questi impegni nel più breve tempo possibile e, allo stesso modo, realizzerà tutte quelle misure aggiuntive che riterrà necessarie, per favorire la creazione di un sistema sempre più orientato verso il mercato e verso le nuove tecnologie multimediali, ma che mantenga pur sempre l'attenzione ed il sostegno anche verso la piccola e media editoria. Nessuno dubita, infatti, che questo settore sia una ricchezza da preservare.
Il compito del Governo è anche quello di favorire - naturalmente sempre attraverso il confronto e mai mediante alcuna forma di dirigismo - un ripensamento della professione giornalistica dopo la rivoluzione generata dalle nuove tecnologie. Mi riferisco, ad esempio, alla necessità di una riflessione sui criteri di accesso alla professione giornalistica, una considerazione che prescinde dall'eventuale riforma dell'ordine. Mi riferisco anche a possibili interventi in tema di tutela giudiziaria della professione, ovvero alla riforma dell'istituto della querela - eventuale - e della procedura civilistica per danni. Tuttavia, è difficile pensare che questi programmi possano avere successo se non sapremo realizzare tutti insieme - Parlamento, Governo, pubblica amministrazione e privati - un'azione efficace a sostegno della lettura in Italia.
Dal punto di vista dell'offerta, dobbiamo fare di più per modificare un meccanismo di distribuzione che allontana, in realtà, il prodotto editoriale dai suoi potenziali consumatori. È il caso dello storico monopolio di vendita dei quotidiani e dei periodici, modificato, solo in parte, attraverso la legge n. 108 del 1999. È anche il caso di ricordare che l'85 per cento dei comuni italiani non ha, tuttora, una libreria e di questi comuni senza librerie soltanto il 22 per cento possiede punti di grande distribuzione che vendono anche libri (per cui oltre il 60 per cento di comuni è completamente scoperto e non è poco). Delle milleottocento librerie esistenti in Italia soltanto quattrocento - meno di un quarto - hanno una superficie superiore a 200 metri quadri, la dimensione minima per attrarre la platea dei cosiddetti lettori morbidi (come detto prima, quelli che leggono romanzi rosa, romanzi gialli oppure solo occasionalmente).
Dal punto di vista della domanda, invece, si può affermare che i meccanismi di scolarizzazione continuano, nonostante vari tentativi di riforma, a perpetuare, oggettivamente, un solco tra gli studenti ed i prodotti editoriali, soprattutto tra gli studenti ed i quotidiani o i periodici. Proprio dalla scuola dovrebbe, quindi, ripartire l'impulso, affinché nel nostro paese si legga di più e si legga meglio.
Questo è l'impegno complessivo, che assumo per conto del Governo e sul quale invito i colleghi della Commissione ad esprimere le proprie valutazioni. Vi ringrazio.

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