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Professione giornalista

Caro Ministro, senza l'Ordine solo editori-padroni

di Franco Abruzzo
Presidente dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia
12.07.01
 


Botta e risposta tra Franco Abruzzo, presidente dell'Ordine dei giornalisti lombardo, e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Roberto Maroni. Parlando della necessità di riformare gli ordini professionali, anche in accordo con gli orientamenti comunitari, Maroni dice che il primo ordine da abolire sarebbe quello dei giornalisti. Secca e argomentata risposta di Abruzzo, alla quale il ministro replica: stavo scherzando, mi documenterò sulla questione. Abruzzo soddisfatto...
Qui sotto i documenti, sul prossimo numero qualche valutazione sulla spinosa questione.  (M. C.)

 

ORDINE DEI GIORNALISTI- Consiglio regionale della Lombardia
www.odg.mi.it via A. Appiani, 2 - 20121 Milano
odg@galactica.it tel. 02.6361171 fax 02.6554307

Il presidente

Prot. n. 3467/01/FA/eg/maron-or.doc Milano, 7 luglio 2001
posta celere

On.le avv. Roberto Maroni
Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali
Via Flavia 6 - 00187 Roma

e p.c.:

On.le Umberto Bossi
Ministro per le Riforme
Palazzo Chigi
Piazza Colonna 370 - 00186 Roma

On.le ing. Roberto Castelli
Ministro della Giustizia
via Arenula 70 - 00186 Roma

Dott. Alberto Brambilla
sottosegretario di Stato
Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali
via Flavia 6 - 00187 Roma

Oggetto: il ruolo moderno dell’Ordine dei Giornalisti a tutela del diritto dei cittadini a un’informazione corretta e completa.

Signor Ministro, il 6 e il 7 luglio, l’Ansa e il Corriere della Sera Le hanno attribuito queste dichiarazioni pronunciate a Bruxelles al termine dell’incontro con il commissario Ue alla concorrenza Mario Monti:

''Non abbiamo una posizione di difesa totale e preventiva dell'esistente: siamo disponibili a discutere apertamente su tutto'': lo ha sottolineato il ministro a proposito della necessità o meno di abolire gli ordini professionali. Maroni, che ha detto di esprimere un'opinione personale, è stato interpellato al termine di un incontro con il commissario Ue alla concorrenza Mario Monti che ha in corso un'indagine contro gli ordini professionali (anche italiani).
''Pur svolgendo alcune funzioni importanti, è vero che in sé non sempre l'ordine è garanzia di professionalità'', ha detto Maroni. ''Se servono a garantire posizioni di rendita, gli ordini hanno un ruolo negativo, se invece al contrario servono a garantire il cittadino sul livello di professionalità di chi esercita un mestiere, hanno un ruolo positivo''. Maroni, censurando gli ordini che frenano l’accesso alle professioni, ha fatto l’esempio di quello degli avvocati. Riterrebbe invece validi altri organismi simili (come quello dei medici), quando garantiscono l’affidabilità professionale degli iscritti.
Per Maroni, negli ultimi anni c'è stata una proliferazione di ordini ''che a mio avviso non hanno ragione di essere''. E' un terreno difficile e complicato, su cui siamo disposti a discutere, non avendo lobby da difendere'', ha aggiunto Maroni, rilevando che un ordine ''che andrebbe abolito subito è quello dei giornalisti''. Sugli ordini professionali esprimo, però, un'opinione personale perché non è scritto nel programma di governo. Dentro la Casa delle libertà, del resto, c'è anche chi vorrebbe la fine della funzione legale per i titoli di studio: questo comporterebbe una revisione totale degli ordini''.
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Mi ha colpito in particolare una frase delle sue dichiarazioni: "Un Ordine che andrebbe abolito subito è quello dei giornalisti''. Mi permetto sommessamente di ricordare che la parola Ordine significa riconoscimento giuridico di una professione, nel caso particolare della professione giornalistica. L’Ordine, inoltre, è la deontologia. Nel caso specifico le "regole" fissate dal legislatore sono il perno, come afferma il nostro contratto di lavoro, dell’autonomia dei giornalisti. I Consigli degli Ordini sono per legge i giudici disciplinari. Fanno la loro parte, certamente con alti e bassi. Gli enti e gli apparati statali camminano sulle gambe delle donne e degli uomini che se ne occupano. Probabilmente sono da mettere sott’accusa donne e uomini per le loro insufficienze e incapacità. In Italia è di moda, al contrario, ribaltare le situazioni e sparare solo sugli enti e sugli apparati...che non funzionano!.
Sottolineo l’importanza strategica per una società democratica del nuovo diritto fondamentale dei cittadini all’informazione ("corretta e completa"), costruito dalla Corte costituzionale sulla base dell’articolo 21 della Costituzione e dell’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Questo nuovo diritto fondamentale presuppone la presenza e l’attività di giornalisti vincolati a una deontologia specifica e a un giudice disciplinare nonché a un esame di Stato, che ne accerti la preparazione come prevede l’articolo 33 della Costituzione.
I consiglieri dell’Ordine della Lombardia hanno condiviso sin dal 1999 quella parte del decreto legislativo sul riordino dei ministeri che affida l’accesso alle professioni - e quindi anche della professione giornalistica - all’Università. E’ augurabile che le scuole di giornalismo, oggi riconosciute, siano collocate nel nuovo assetto organizzativo degli Atenei italiani, potendo costituire il ciclo conclusivo biennale di diversi corsi di laurea (Scienze politiche, Giurisprudenza, Scienze economiche, Lettere, Scienze della comunicazione, etc.). La nostra scuola di giornalismo (l’Ifg "Carlo De Martino") in 20 anni ha formato 500 giornalisti. Nell’Ifg la deontologia è anche materia di insegnamento. Il 21 luglio 2000 ho sottoscritto un protocollo con il Rettore dell’Università Statale di Milano che prevede la trasformazione dell’Ifg in corso di laurea specialistica biennale in giornalismo. Il corso dovrebbe partire dall’ottobre 2002. Si diventerà giornalisti - ed era ora! - soltanto in università. Un obiettivo che l’Ordine di Milano persegue da 10 anni!
Le considerazioni e i fatti raccontati consentono di risalire alle ragioni che hanno spinto il Parlamento nel 1963 a tutelare la professione giornalistica. L’eventuale abrogazione della legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica comporterà questi rischi:
1) quella dei giornalisti non sarà più una professione intellettuale riconosciuta e tutelata dalla legge.
2) risulterà abolita l’etica professionale fissata oggi nell’articolo 2 della legge professionale ("E' diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale di fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori. Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori"). Senza etica, regnerà, nel mondo dell’informazione, la legge della giungla!!!
3) senza la legge n. 69/1963, cadrà per giornalisti (ed editori) la norma che impone il rispetto del "segreto professionale sulla fonte delle notizie". Nessuno in futuro darà una notizia ai giornalisti privati dello scudo del segreto professionale.
4) Senza legge professionale, direttori e redattori saranno degli impiegati di redazione vincolati soltanto da due articoli (2104 e 2105) del Codice civile che riguardano gli obblighi di diligenza e fedeltà. Dice l’articolo 2104 Cc: "Diligenza del prestatore di lavoro. Il prestatore di lavoro deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende". Dice l’articolo 2105: "Obbligo di fedeltà. Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio". Gli accordi tra editore e direttore responsabile (su linea politica, organizzazione e sviluppo della testata) non devono, dice oggi l’articolo 6 del Cnlg, "risultare in contrasto con le norme sull’ordinamento della professione giornalistica". In sostanza l’editore oggi sa che ha di fronte giornalisti professionisti vincolati per legge al rispetto di determinate regole etiche e, quindi, non può impartire disposizioni al direttore in rotta di collisione con quelle regole. In futuro, quando le norme sull’ordinamento della professione giornalistica non ci saranno, l’imprenditore (o chi per lui) potrà scavalcare l’impiegato-direttore e impartire direttamente disposizioni agli impiegati-redattori sui contenuti del giornale. L’articolo 2104 Cc, senza la barriera della legge professionale, conferisce all’editore un potere totale che prima non aveva. Il direttore responsabile, non più giornalista professionista, diventerà, comunque, un dirigente dell’azienda editoriale alle dipendenze operative dell’amministratore delegato e del suo braccio destro (il direttore editoriale).
Senza la deontologia calata nella legge professionale, e quindi vincolante per tutti (editori compresi), il direttore non potrebbe più garantire l’autonomia della sua redazione e i redattori dovrebbero solo piegare la testa di fronte agli interessi dell’editore. La professione non ci sarebbe più. Sarebbe un ritorno al passato e quindi al mestiere.

Sono convinto che la distruzione degli Ordini e dei Collegi costituisca una minaccia per l’autonomia dei professionisti italiani. Governo e Parlamento devono preoccuparsi di riformare le leggi sugli ordini e i collegi e di tutelare i saperi dei professionisti stessi, saperi che sono una ricchezza senza confini e una inesauribile fonte di progresso. Gli esami per l’accesso devono, invece, essere delegati a un altro soggetto (l’Università) anche per garantire il rispetto del principio costituzionale dell’imparzialità. Non possono essere i giornalisti a giudicare chi debba entrare nella cittadella della professione. Lo stesso discorso vale per gli avvocati e per le altre professioni regolamentate.

Il titolo della mia relazione all’assemblea dei giornalisti lombardi del marzo 2001 ("La deontologia della professione giornalistica attraverso le pronunce dell’Ordine di Milano nel corso del 2000. Un impegno al servizio dei cittadini e volto alla tutela della dignità della persona, norma costituzionale e valore costituzionale, che animano l’ordinamento della Repubblica)" suona come una assunzione di responsabilità precisa e incontrovertibile. E si collega all’impegno del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia di difesa e sviluppo della professione giornalistica. Abbiamo cercato in questi anni di far prevalere la legge, vista come il momento più alto della politica, e di alimentate le virtù civili dei giornalisti. Virtù civili che ciascuno di noi deve far crescere con una condotta personale improntata all’imparzialità, all’equidistanza dai fatti, recuperando la cultura della responsabilità e mai abdicando alla libertà di informazione e di critica, libertà che, con la deontologia, è il cuore della professione giornalistica. Questa impostazione ci ha sorretto:

  • quando, all’inizio del 2000, abbiamo bollato su "Tabloid" la contropiattaforma della Fieg come fatto umiliante della professione giornalistica;
  • quando abbiamo discusso di vicende disciplinari o di praticantato d’ufficio;
  • quando abbiamo chiesto (primi in Italia) e poi ottenuto il ripristino dell’appello nei processi penali per diffamazione a mezzo stampa;
  • quando abbiamo difeso contro una potente lobby la presenza dei giornalisti negli uffici stampa della pubblica amministrazione;
  • quando ci siamo battuti per la riforma della legge sulla stampa e per la registrazione delle testate on-line (misura approvata dalla legge n. 338/2000-Finanziaria per il 2001 e dalla legge n. 62/2001 sull’editoria);
  • quando abbiamo difeso il ricorso alla cessione dei diritti d’autore da parte dei giornalisti liberi professionisti o la libertà del cumulo tra pensione e redditi da lavoro autonomo o dipendente (nel rispetto dell’articolo 72 della legge n. 338/2000);
  • quando, con il Cup, abbiamo chiesto una legge moderna di riforma delle professioni regolamentate;
  • quando abbiamo chiesto al Governo Amato parità di trattamento tra la nostra professione e le altre professioni intellettuali, tutte ancorate all’Università, attraverso una riforma dell’esame di Stato che tenga conto della laurea specialistica in giornalismo e che così sancisca il principio ineludibile dell’accesso collegato in futuro soltanto alla via universitaria.


Bisogna cogliere i suggerimenti offerti dalle sentenze della Corte costituzionale per inquadrare la professione giornalistica con una nuova legge al fine: 1) di dare regole innovative sul piano etico-disciplinare e della formazione all’attività giornalistica professionale; 2) di offrire garanzie ai cittadini lesi, nei loro diritti fondamentali, dagli articoli pubblicati su quotidiani e periodici nonché dalle notizie radioteletrasmesse oppure trasmesse da reti telematiche. Deputati e senatori devono sciogliere in via prioritaria un nodo e in sintesi dire se quella dei giornalisti sia una professione intellettuale collegata a funzioni costituzionali come quella dei medici e degli avvocati. La Corte di Cassazione sottolinea da decenni che quella dei giornalisti è una professione intellettuale. La Corte costituzionale, con le sentenze n. 11/1968 e n. 71/1991, "ha affermato che non osta al principio della libera manifestazione del pensiero il fatto che i giornalisti siano così organizzati, anche perché tale Ordine ha il "compito di salvaguardare, erga omnes e nell'interesse della collettività, la dignità professionale e la libertà di informazione e di critica dei propri iscritti"". E con le sentenze n. 11 e 98/1968 e n. 2/1977 ha sottolineato, inoltre, "la rilevanza pubblica o di pubblico interesse della funzione svolta da chi professionalmente sia chiamato a esercitare un'attività d'informazione giornalistica".

L’organizzazione delle professioni va, quindi, ripensata. E va ripensata soprattutto quella dei giornalisti, che trattano una materia - il diritto di manifestazione del pensiero - che è un diritto di tutti i cittadini e non un privilegio dei giornalisti stessi. Basti dire che l’attuale legge quadro delle professioni è un decreto luogotenenziale (n. 382) del 1944. Sono passati 57 anni e l’Italia solo oggi si accorge che c’è un problema "professioni" da regolamentare. Quando si parla dei ritardi nazionali, questa vicenda appare esemplare e istruttiva! Oggi il problema si pone in termini diversi. Nessuno può negare che, in considerazione del ruolo e della rilevante responsabilità sociale dell'informazione, l'esercizio dell'attività giornalistica vada regolato e tutelato dalla legge. L'informazione ha senz'altro carattere di preminente interesse generale (concetto mutuato dall'articolo 43 della Costituzione e ripreso dall'articolo 1 della legge 223 del 6 agosto 1990 sul sistema radiotelevisivo pubblico e privato). Altri studiosi configurano l'informazione anche come servizio pubblico essenziale (concetto mutuato sempre dall’articolo 43 della Costituzione). La liberalizzazione nel campo delle professioni non può comportare il trionfo del Far West nel mondo dell’informazione, perché tutto ciò si scontrerebbe con passaggi essenziali della Costituzione. Una riforma non può prescindere dalla tutela di valori primari. C’è bisogno, quindi, di una nuova legge per garantire la libertà e l’autonomia dei giornalisti nonché il diritto dei cittadini a una informazione "qualificata e caratterizzata (secondo la sentenza n. 112/1993 della Corte costituzionale, ndr) da obiettività, imparzialità, completezza e correttezza; dal rispetto della dignità umana, dell’ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori nonché dal pluralismo delle fonti cui (i giornalisti, ndr) attingono conoscenze e notizie in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti".
La libertà di informazione in Italia, affermata dalla Costituzione e sostenuta dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dal Patto internazionale di New York sui diritti civili e politici, appare un albero robusto, che sostiene tutta l’impalcatura dei diritti inviolabili dell’uomo. Il discorso diventa problematico quando si affronta il diritto di cronaca e il tema della libertà dei giornalisti di informare.

Signor Ministro, tenga conto che l’Ordine dei Giornalisti non è corporativo e chiuso alle istanze dei giovani sul tema dell’accesso alla professione.
Nella seduta di insediamento (18 giugno 2001), il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia ha approvato un documento programmatico sull’accesso diretto a garantire a tutti i cittadini il godimento degli articoli 2 (tutela della dignità della persona: essere di diritto quello che si è di fatto) e 4 della Costituzione (diritto al lavoro). In sostanza i praticanti giornalisti si dividono secondo queste linee:
a) quelli normalmente assunti (quotidiani, periodici, tg, radiogiornali, testate web);
b) i pubblicisti assunti ex articolo 36 del vigente Cnlg (trattati economicamente come redattori professionisti e con il diritto contrattuale di sostenere l’esame di Stato);
c) quelli che hanno superato il concorso presso l’Ifg e la Scuola della Università Cattolica;
d) i redattori "di fatto" (cioè coloro che lavorano normalmente, senza essere assunti, presso quotidiani, periodici, tg, radiogiornali, testate web);
e) i "redattori staccati" o "corrispondenti" con incarichi di lavoro su pagine di cronaca elaborate con le tecniche delle cronache cittadine (pubblicisti anche assunti ex articolo 12 del vigente Cnlg);
f) "pubblicisti free lance", che abbiano compensi complessivi pari al costo di un redattore praticante normale (cioè dai 35 milioni lordi annui in su).
Il praticantato può essere svolto anche nelle testate estere (quotidiani e periodici, agenzie di stampa, tg, radiogiornali, web) che abbiano le caratteristiche di quelle italiane. L’esame di Stato può essere sostenuto in una lingua della Ue.
I dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale possono chiedere l’iscrizione negli albi dei giornalisti e nel Registro (articolo 1, commi 56 e 56-bis, della legge n. 662/1996; sentenza 11 giugno 2001 n. 189 della Corte costituzionale).

Il ruolo moderno dell’Ordine posto a tutela degli interessi della collettività. Gli Ordini, enti pubblici, hanno la specifica competenza della tenuta dell’albo, dei giudizi disciplinari, della proposta della tariffa professionale nonché della liquidazione dell’onorario. Tali funzioni sono assegnate a tutela non degli interessi della categoria professionale ma della collettività nei confronti dei professionisti: tale principio è fissato nella sentenza n. 254/1999 del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana (magistratura equiparata al Consiglio di Stato). Molti sostengono, invece, che "gli Ordini hanno la finalità di tutelare (solo) gli interessi della categoria". Ma non è così. Secondo il Consiglio della Giustizia amministrativa della regione siciliana, invece, gli Ordini, devono tutelare gli interessi dei clienti dei professionisti. "Le specifiche competenze della tenuta dell’albo, dei giudizi disciplinari, della redazione e della proposta della tariffa professionale nonché della liquidazione dei compensi — scrive il Cgars – sono assegnate dalla legge agli Ordini essenzialmente per la tutela della collettività nei confronti degli esercenti la professione, la quale solo giustifica l’obbligo dell’appartenenza all’Ordine, e non già per una tutela degli interessi della categoria professionale che farebbe degli Ordini un’abnorme figura d’associazione obbligatoria, munita di potestà pubblica, per la difesa di interessi privati settoriali". Un concetto, questo, che prefigura un ruolo moderno degli Ordini non più intesi come corporazione ma come enti pubblici che concorrono ad attuare valori e finalità propri della Costituzione repubblicana.

In conclusione, senza l’Ordine ai giornalisti rimarrebbero soltanto gli ordini degli editori-padroni.

Con stima,

dott. Franco Abruzzo
Presidente dell’Ordine
dei Giornalisti della Lombardia
e vicepresidente del Cup di Milano

ORDINE DEI GIORNALISTI - Consiglio regionale della Lombardia
comunicato stampa

Il Ministro Maroni risponde via e-mail: "La mia dichiarazione sull’Ordine era soltanto una battuta scherzosa"

Milano, 9 luglio 2001. Il ministro del Lavoro, Roberto Maroni, ha risposto via e-mail a Franco Abruzzo (che il 7 luglio era intervenuto a proposito di una dichiarazione sull’Ordine dei giornalisti fatta il 6 dall’uomo politico a Bruxelles): "Caro Abruzzo, La ringrazio per il lungo e interessante documento che mi ha inviato sulle ragioni alla base della necessità di mantenere l'Ordine dei giornalisti. Lo leggerò con attenzione, per farmi un'opinione fondata. Se La può rassicurare, la mia dichiarazione sulla necessità di eliminare l'Ordine dei giornalisti era una battuta scherzosa che ha fatto - appunto - ridere i giornalisti presenti, come Le potranno confermare i Suoi colleghi presenti alla chiacchierata a Bruxelles. Cordialmente, Roberto Maroni"

Questa la replica di Franco Abruzzo: "Gentilissimo Ministro, La ringrazio per la risposta. E' accaduto che mi sono fidato di quanto Le hanno attribuito le agenzie di stampa. Il documento, comunque, può essere una base di discussione in vista della riforma complessiva degli Ordini professionali.
Colgo l'occasione per richiamare la Sua attenzione sui problemi che Le ho segnalato a proposito del Contratto nazionale del lavoro giornalistico (rinnovato il 24 febbraio 2001): l'esame di Stato dei giornalisti è a rischio, perché il Cnlg non prevede più che i permessi per i giornalisti commissari siano retribuiti. E’ urgente richiamare le parti al tavolo delle trattative. L'articolo 23 del Cnlg, così come è stato scritto, viola due articoli della Costituzionale e la nostra legge professionale.
La ringrazio per la tempestiva risposta. E' la prima volta che un Ministro risponde a stretto giro di...e-mail. Cordiali saluti, Franco Abruzzo".

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