Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013
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Giurisprudenza

Corte costituzionale - Sentenza n. 237 del 13 luglio 1984

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. ANTONINO DE STEFANO, Presidente

Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN

Avv. ORONZO REALE

Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI

Avv. ALBERTO MALAGUGINI

Prof. LIVIO PALADIN

Dott. ARNALDO MACCARONE

Prof. ANTONIO LA PERGOLA

Prof. VIRGILIO ANDRIOLI

Prof. GIUSEPPE FERRARI

Dott. FRANCESCO SAJA

Prof. GIOVANNI CONSO

Prof. ETTORE GALLO

Dott. ALDO CORASANITI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, 183, 184, 195 e 334, primo comma, n. 2, del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, (Codice postale e delle telecomunicazioni) modificati dall'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 promossi con le ordinanze emesse il 20 dicembre 1977 dal pretore di Firenze, il 30 novembre 1979 dal pretore di Torino, il 29 marzo e 12 giugno 1980 dai pretori di Putignano e Modena; il 14 gennaio 1981 dal pretore di Torino, l'11 marzo 1981 dal tribunale di Livorno, il 27 marzo e 15 maggio 1981 dal pretore di Susa, il 5 ottobre 1981 dal pretore di Reggio Emilia (2 ordinanze) il 31 marzo 1982 dal pretore di Verona, il 3 novembre 1982 dal pretore di Saluzzo, il 1 dicembre 1982 dal pretore di Bologna, il 16 novembre 1982 dal pretore di Terralba e il 13 gennaio 1983 dal pretore di Morbegno, iscritte rispettivamente al n. 262 del registro ordinanze del 1978, ai nn. 76, 347, 838, del registro ordinanze 1980, ai nn. 291, 358, 512, 698, 704, 705 del registro ordinanze 1981 e ai nn. 460, 916 del registro ordinanze 1982 e ai nn. 33, 40 e 143 del registro ordinanze 1983 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 1978, nn. 92 e 166 del 1980, nn. 56, 262, 248, 304 del 1981, nn. 33 e 344 del 1982, nn. 142, 149, 177 e 191 del 1983.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 1984 il Giudice relatore Alberto Malagugini;

Udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Pieri Piero, imputato del reato di cui all'art. 195 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, come modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103, per aver attivato un impianto ripetitore dei programmi televisivi della RAI nella Valle del Mugnone senza la prescritta autorizzazione ministeriale, il pretore di Firenze, con ordinanza del 20 dicembre 1977 (r.o. 262/78), sollevava una questione di legittimità di tale norma incriminatrice, assumendone il contrasto con l'art. 3 Cost.
Dopo aver rilevato che la legge n. 103 del 1975, sulla scorta dei principi posti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 225 del 1974, ha introdotto il regime della concessione per gli impianti di diffusione radiotelevisiva via etere in ambito locale (c.d. radio libere) e quello della autorizzazione per gli impianti ripetitori, e che il primo regime é stato caducato per effetto della successiva sentenza della Corte n. 202 del 1976, il pretore osservava che in tale situazione risulta del tutto libera un'attività prima sottoposta a regole più rigide, e per contro assoggettata ad obblighi (necessità di preventiva autorizzazione, pagamento di tasse e canoni) penalmente sanzionati un'attività analoga che sin dal primo esame era sembrata non creare pericoli di monopolio od oligopolio.
La norma impugnata - strettamente collegata a quella parte della stessa disposizione dichiarata incostituzionale ed anzi attinente ad un sistema necessariamente unitario - contrasterebbe quindi, ad avviso del pretore, col principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.. E ciò in quanto, pur essendovi parità di condizioni oggettive (esercizio di apparati radiotrasmittenti) e pur dovendo le due situazioni, secondo un'autorevole interpretazione, essere assoggettate ad un analogo regime di autorizzazione, esse subiscono invece un trattamento differenziato senza che la disparità sia fondata su presupposti logici ed obiettivi che ne giustifichino razionalmente l'adozione.
2. - Della legittimità costituzionale degli artt. 1, 183 e 195 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, come modificati dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103, dubitava altresì il Pretore di Putignano, con ordinanza 29 marzo 1980 (r.o. 347/80) emessa pregiudizialmente alla decisione su una richiesta della P.G. di perquisizione domiciliare, tendente al sequestro di un apparecchio ricetrasmittente (C.B.) di debole potenza usato senza concessione. Ad avviso del pretore dette disposizioni contrasterebbero: a) con l'art. 3 Cost. per essere allo stato "del tutto libere e esenti da tasse di concessione l'installazione e l'esercizio di impianti di diffusione radiofonica e televisiva di potenza assai maggiore"; b) con l'art. 21 Cost., in quanto le norme impugnate sottopongono ad un regime di concessione amministrativa il diritto di tutti i cittadini di "manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione": c) con l'art. 10 della Convenzione internazionale per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848 che sancisce la libertà di espressione e di, "conseguenza", con l'art. 10 della Costituzione.
3. - Intervenendo nel giudizio instaurato con la prima delle predette ordinanze, l'Avvocatura dello Stato rilevava innanzitutto che la Corte, nel dichiarare - con la sentenza n. 202 del 1976 - l'illegittimità costituzionale della disciplina che assoggettava le attività di diffusione radiotelevisiva via etere in ambito locale al regime concessorio anziché a quello autorizzatorio, aveva avvertito che la caducazione del primo non avrebbe implicato l'automatica applicazione (agli impianti già esistenti) del secondo. Essa avrebbe invece "reso necessario l'intervento del legislatore per stabilire i modi e le condizioni di attuazione, in attesa del quale, poiché il regime di autorizzazione presuppone un vero e proprio diritto perfetto del richiedente, sarebbero state "inapplicabili sanzioni penali prevedute per ipotesi diverse anche se analoghe" (cfr. n. 5 sent. cit.).
Finora l'auspicabile intervento del legislatore non si é concretizzato, sicché allo stato, le attività ora dette godono di un anomalo regime transitorio di libertà.
Questa precaria carenza di disciplina delle suddette attività, già per la sua stessa contingente provvisorietà, non può però riflettersi, ad avviso dell'Avvocatura, sulla persistente legittimità della specifica disciplina che la legge del 1975 detta, in armonia con la ricordata giurisprudenza costituzionale, per altre attività come quelle inerenti agli impianti ripetitori; e neppure autorizza il sospetto che la diversità di trattamento possa non essere giustificata.
Già nelle sentenze nn. 225 e 226 del 1974 - con le quali erano stati "liberalizzati", rispettivamente, i ripetitori di trasmissioni estere ed il settore delle reti locali di trasmissione via cavo - la Corte aveva sottolineato la legittimità (ed anzi l'opportunità) dell'assoggettamento di tali attività ad un regime autorizzatorio, in quanto interferenti col monopolio radiotelevisivo statale ed al fine di coordinarle con questo e tra di loro, a salvaguardia di preminenti interessi pubblici. Le stesse esigenze erano state poi ribadite nella sentenza n. 202 del 1976.
Di qui, dunque, da un lato la legittimità dell'attuale disciplina delle attività inerenti agli impianti di ripetizione - data la loro incidenza sul limitato numero di bande assegnate all'Italia e la loro interferenza con il servizio statale, con la c.d. libertà di antenna nell'ambito locale e con il limite della localizzazione delle attività private -; e dall'altro, la non ipotizzabilità di una irrazionale disparità di trattamento per l'eventuale diverso regime di queste attività rispetto ad altre, come quelle inerenti alle emittenti private locali, diverse per le implicazioni tecniche e per quelle giuridiche.
D'altra parte, se la ricordata giurisprudenza postulasse la necessità di assoggettare le diverse attività ad analogo regime autorizzatorio, ne discenderebbe non già l'ingiustificatezza della disciplina cui sono assoggettati gli impianti ripetitori, per i quali é appunto richiesta l'autorizzazione, bensì del regime transitorio di libertà del quale provvisoriamente godono le emittenti private locali.
Quanto al contrasto tra un regime di autorizzazione e la libertà di manifestazione del pensiero (artt. 21 Cost. e 10 Convenzione Europea), sostenuto dal pretore di Putignano, esso ésecondo l'Avvocatura, smentito dalle sentenze della Corte già ricordate (nn. 225 e 226 del 1974, 202 del 1976), tutte concordi nel ritenere necessaria una disciplina autorizzatoria.
4. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Cavalli Giancarlo - imputato del reato di cui agli artt. 183 e 195 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, come modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103, per aver installato ed utilizzato nella propria azienda, senza la prescritta concessione, due apparecchi ricetrasmittenti di debole potenza - il pretore di Torino sollevava in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., una questione di legittimità costituzionale delle predette norme, nonché dell'art. 334, primo comma, n. 2 del citato d.P.R. n. 156 del 1973, "nella parte in cui prevedono la pena dell'ammenda e dell'arresto per chi esercita senza concessione un impianto radioelettrico ricetrasmittente di debole potenza di tipo portatile in ausilio a servizi di impresa industriale, e non prevedono alcuna pena per chi esercita privatamente, senza concessione od autorizzazione, trasmissioni radio-televisive via etere in ambito locale" (r.o. 76/80).
Il pretore rilevava innanzitutto: che per i servizi radioelettrici, disciplinati dal Titolo IV della legge 29 marzo 1973 n. 156, vige, in generale e per la totalità dei casi, il principio del "regime vincolato"; che, in particolare, sono esercitate in regime di concessione (art. 183) le trasmissioni e comunicazioni via etere a mezzo di ricetrasmittenti, anche quando si tratti di apparecchi radioelettrici di debole potenza (art. 334) installati in ausilio a servizi di imprese industriali (comma primo, n. 2 del medesimo articolo); che in mancanza di concessione l'art. 195 d.P.R. cit. commina la pena dell'arresto da 3 a 6 mesi e dell'ammenda da L. 200.000 a 2.000.000. Tale regime é, ad avviso del pretore, del tutto ingiusticato ove lo si raffronti con quello relativo alle trasmissioni via etere su scala locale che, a seguito della sentenza n. 202 del 1976 della Corte Costituzionale, sono esercitate di fatto dai privati senza alcuna concessione o autorizzazione, in regime di totale carenza legislativa (e quindi anche di sanzione penale): e ciò, nonostante che si tratti di attività di eccezionale importanza che coinvolge interessi economici e sociali rilevanti, rispetto alla quale le trasmissioni radioelettriche con apparecchi portatili di debole potenza sono certamente un minus. Né potrebbe obiettarsi che tale vuoto legislativo non é stato voluto dalla Corte, che ha anzi postulato la necessità di disciplinare la materia: in attesa di questa si é comunque venuta oggettivamente a creare - nell'ambito di una stessa fattispecie tecnico-giuridica di trasmissione via etere - una disparità di trattamento tra un'attività meno grave e una più grave, che può essere eliminata solo rendendo non sanzionabile la fattispecie meno grave.
Tale normativa sarebbe inoltre in contrasto con il principio di cui all'art. 27, terzo comma, Cost. (finalità rieducativa della pena) in quanto - ad avviso del pretore - "colui che si vede condannato per un fatto meno grave di quello commesso da altri (di eguale natura, ma di maggiore rilevanza), che rimane impunito perché considerato lecito dal legislatore, sente una ingiustizia di fondo che toglie alla pena ogni possibilità di emendarlo".
5. - Nel corso di procedimenti penali relativi all'esercizio senza autorizzazione di impianti radioelettrici ricetrasmittenti di debole potenza, numerosi altri giudici sollevavano questioni di legittimità costituzionale delle sopra richiamate disposizioni cui agli artt. 183, 195 e 334, primo comma n. 2 del d.P.R. n. 156/1973 (le prime due nel testo modificato con l'art. 45 legge n. 103/1975).
Nelle relative ordinanze venivano svolte considerazioni analoghe a quelle enunciate dal pretore di Torino nell'ordinanza 30 dicembre 1979. L'impugnativa era riferita talora al solo art. 3, talaltra anche all'art. 27, terzo comma, Cost.. In particolare deducevano la violazione del solo art. 3 Cost.: il pretore di Susa con due ordinanze del 27 marzo e 15 maggio 1981 (r.o. 512 e 698/81); il pretore di Saluzzo con ordinanza del 3 novembre 1982 (r.o. 916/82); il pretore di Morbegno con ordinanza del 13 gennaio 1983 (r.o. 143/83). Lamentavano, invece, anche la violazione dell'art. 27, terzo comma Cost.: il pretore di Modena con ordinanza del 12 giugno 1980 (r.o. 838/80); il tribunale di Livorno con ordinanza dell'11 marzo 1981 (r.o. 358/81); il pretore di Reggio Emilia con due ordinanze del 5 ottobre 1981 (r.o. 704 e 705/81); il pretore di Terralba con ordinanza del 16 novembre 1982 (r.o. 40/83); il pretore di Torino con ordinanza del 14 gennaio 1981 (r.o. 291/81). Va precisato che in quest'ultima ordinanza venivano censurati gli artt. 184 e 195 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, modificati dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103, dei quali si assumeva altresì il contrasto con l'art. 21 Cost., peraltro col solo rilievo che la normativa in oggetto impedirebbe la libera manifestazione del pensiero.
Le ordinanze del Tribunale di Livorno e dei pretori di Reggio Emilia, Verona e Morbegno erano motivate con un semplice richiamo (per relationem) a quella in data 30 novembre 1979 del pretore di Torino, o ad altre analoghe.
6. - L'Avvocatura dello Stato é intervenuta con memorie di tenore sostanzialmente analogo nei giudizi instaurati con le ordinanze nn. 78 e 347/80, 291, 512, 698 e 705/81, 460 e 916/82, 40/83. In tali memorie, essa ripeteva i rilievi già svolti in ordine sia alla necessità di sottoporre a regime autorizzatorio le stazioni di radiotelediffusione via etere di portata locale, sia all'inapplicabilità a tali ipotesi, nell'attuale situazione di carenza di disciplina, delle sanzioni penali previste per ipotesi diverse anche se analoghe. Rilevava peraltro che proprio la riconosciuta esigenza dell'autorizzazione statale impedisce che tale situazione possa essere assunta come parametro al quale rapportare situazioni simili onde verificarne la conformità al principio di uguaglianza. All'uopo potrebbe invece valere la disciplina prevista per i ripetitori di programmi esteri e per le reti via cavo a raggio locale dalle stesse norme impugnate, che - applicando i principi fissati nelle sentenze della Corte nn. 225 e 226 del 1974 - sanzionano penalmente l'esercizio senza autorizzazione di tali attività.
D'altra parte, le esigenze di garanzia del pluralismo dell'informazione ed, in genere, della libertà di manifestazione del pensiero, poste a base della sentenza n. 202/76, non possono valere per le residue ipotesi tuttora previste dal citato art. 195, che riguardano collegamenti diretti tra determinati apparecchi o stazioni trasmittenti e riceventi e non trasmissioni destinate ad un pubblico indeterminato: il che fa escludere che si tratti di una medesima fattispecie tecnico-giuridica.
Riguardo alla questione posta in riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost., l'Avvocatura osservava che "il fine della rieducazione del condannato può essere pregiudicato dai presupposti, modi e tempi della detenzione, non dalla considerazione di temporanei vuoti di regolamentazione normativa".
7. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Norelli Giuseppe ed altri, il pretore di Bologna rilevava che, in base alle risultanze degli atti, l'utilizzazione degli apparecchi radioelettrici (radiotelefoni) detenuti dagli imputati non poteva essere autorizzata essendo essi tutti tarati su frequenze già assegnate a terzi (Ministeri dell'Interno e della Difesa), e che peraltro, la normativa vigente non considera penalmente illecita l'importazione, la produzione, la detenzione ed il commercio degli stessi apparecchi (artt. 320, 398, 399, 402 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 e art. 1 legge 22 maggio 1980, n. 209), anche quando si tratta di apparecchi non omologabili, non commerciabili, e non utilizzabili per le caratteristiche relative alle frequenze.
Ritenendo tale differenza di trattamento sanzionatorio non rispondente a criteri di ragionevolezza, il pretore, con ordinanza dell'1 dicembre 1982 (r.o. 33/83), dichiarava "rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 195 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103, nella parte in cui prevede la pena dell'arresto e dell'ammenda per chi esercita senza autorizzazione un impianto radioelettrico ricetrasmittente di tipo portatile, per il quale non é possibile alcuna autorizzazione a causa delle sue caratteristiche, e non prevede alcuna pena per chi produce, importa, commercia e detiene analoghi apparecchi".
8. - Intervenendo nel giudizio così instaurato, l'Avvocatura dello Stato osservava che il divieto di costruire, usare ed esercitare apparecchi radioelettrici che producano emissioni su frequenze o con potenze diverse da quelle ammesse per il servizio cui sono destinati era originariamente munito di sanzione penale (ammenda: artt. 399-402 d.P.R. n. 156/1973), e che questa era stata trasformata in sanzione amministrativa per effetto della legge 24 dicembre 1975, n. 706 (sulla depenalizzazione dei reati minori), mantenendo poi tale natura sia con le modifiche ed integrazioni apportate ai suddetti articoli con la legge 22 maggio 1980 n. 209, sia con la nuova legge di depenalizzazione n. 689/81 (art. 32).
Ciò premesso, l'Avvocatura rilevava che rispetto a tale normativa, finalizzata alla tutela dei principi sull'omologazione delle apparecchiature, é indifferente che l'esercizio dell'apparecchio radioelettrico sia stato o meno autorizzato, così come é indifferente, ai fini dell'integrazione della contravvenzione di cui all'art. 195 cod. postale, che gli apparecchi radioelettrici utilizzati siano o meno conformi alle speciali prescrizioni dettate per la prevenzione e la eliminazione dei disturbi alle radiocomunicazioni (v. in tal senso, sent. n. 47 del 1979).
Trattandosi perciò di precetti aventi contenuto e finalità diverse, il prevedere per l'uno la sanzione penale e per l'altro la sanzione amministrativa rientra - ad avviso dell'Avvocatura - nell'ambito di discrezionalità del legislatore; e la questione dovrebbe quindi essere dichiarata "inammissibile o comunque infondata".
9. - Le ordinanze di rimessione indicate nei precedenti punti, tutte ritualmente notificate e comunicate, venivano pubblicate, rispettivamente, nella Gazzetta Ufficiale nn. 222 del 9 agosto 1978 (r.o. 262/78), 92 del 2 aprile 1980 (r.o. 76/80), 166 del 18 giugno 1980 (r.o. 347/80), 56 del 25 febbraio 1981 (r.o. 838/80), 262 del 23 settembre 1981 (r.o. 291/81), 248 del 9 settembre 1981 (r.o. 358/81), 304 del 4 novembre 1981 (r.o. 512/81), 33 del 3 febbraio 1982 (r.o. 698, 704, 705/81), 344 del 15 dicembre 1982 (r.o. 460/82), 142 del 25 maggio 1983 (r.o. 916/82), 149 dell'1 giugno 1983 (r.o. 33/83), 177 del 29 giugno 1983 (r.o. 40/83), 191 del 13 luglio 1983 (r.o. 143/83).

Considerato in diritto

1. - Le quindici ordinanze di rimessione propongono questioni identiche od analoghe. I relativi giudizi possono, quindi, essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Preliminarmente va osservato che il tribunale di Livorno (r.o. 358/81) ed il pretore di Reggio Emilia (r.o. nn. 704 e 705 del 1981) sollevano entrambi "questione di legittimità costituzionale degli artt. 183, 195, 334, primo comma n. 2, del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 e successive modificazioni nella parte in cui prevede la pena dell'ammenda e dell'arresto per chi esercita senza concessione un impianto radio-elettrico ricetrasmittente di debole potenza, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione".
Nelle tre ordinanze qui considerate manca, peraltro, qualsiasi motivazione in punto di rilevanza ed il benché minimo accenno alle fattispecie dedotte nei rispettivi giudizi, così che non é verificabile la pregiudizialità della questione sollevata. Per quanto, poi, attiene alla non manifesta infondatezza della questione stessa, i giudici a quibus si limitano a scrivere che ritengono di "condividere pienamente le motivazioni di cui all'ordinanza 30 novembre 1979 del pretore di Torino da ritenersi (qui) integralmente riprodotta (G. U. n. 92 in data 2 aprile 1980)".
Tali essendo le risultanze processuali, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ultimo, le ordinanze nn. 61, 64, 76, 98 e 113 del 1984), deve dichiararsi la manifesta inammissibilità delle questioni proposte dal tribunale di Livorno (r.o. n. 358/1981) e dal pretore di Reggio Emilia (r.o. n. 704 e n. 705 del 1981).
3. - All'esame delle questioni sollevate con le restanti dodici ordinanze di rimessione, giova premettere una sommaria ricognizione della normativa vigente in materia, quale risultante anche per effetto delle sentenze di questa Corte.
Il testo unico delle disposizioni legislative in materia postale di bancoposta e di telecomunicazioni approvato con d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, all'art. 1 riservava in esclusiva allo Stato, nei limiti previsti da quel testo, per quanto qui interessa "i servizi di telecomunicazioni".
I successivi artt. 183, 184 e 195, compresi nel libro IV (Dei servizi di telecomunicazioni) titolo I (parte generale) capo I (disposizioni di carattere generale) e capo II (norme comuni alla concessione ad uso pubblico e ad uso privato) disciplinavano l'"Esecuzione ed esercizio di impianti di telecomunicazioni - Esclusività - Eccezioni - Assegnazione di radiofrequenze" (art. 183), gli "Impianti di telecomunicazioni delle amministrazioni dello Stato e di esercenti di mezzi adibiti al pubblico servizio di trasporto di persone o cose" (art. 184) nonché l'"Impianto ed esercizio di telecomunicazioni senza concessione - Sanzione "(art. 185). Infine l'art. 334, compreso nel titolo IV ("Dei servizi radioelettrici") capo II ("Concessione di stazioni radioelettriche ad uso privato") Sezione IV ("Concessione di stazioni radioelettriche di debole potenza"), disciplina la "Riserva di frequenze, impieghi consentiti".
Con le sentenze n. 225 e n. 226 del 1974 questa Corte ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt. 1, 183 e 195 del succitato T. U. del 1973 "nella parte relativa ai servizi di radiotelediffusione circolare a mezzo di onde elettromagnetiche", nonché, "nelle parti relative ai servizi di televisione via cavo".
In ossequio, alle predette pronunzie, l'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 ha sostituito gli artt. 1, 183 e 195 del citato testo unico.
É sopravvenuta, infine, la sentenza n. 202 del 1976 con la quale questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 45 della legge 14 aprile 1975 n. 103 (nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva) "nella parte in cui non sono consentiti, previa autorizzazione statale e nei sensi di cui in motivazione, l'installazione e l'esercizio di impianti di diffusione radiofonica e televisiva via etere di portata non eccedente l'ambito locale". Con la medesima sentenza la Corte, a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, ha dichiarato altresì "l'illegittimità costituzionale dell'art. 14 della citata legge n. 103 del 1975 nella parte in cui prevede la possibilità che mediante le realizzazioni di impianti da parte della società concessionaria siano esaurite le disponibilità consentite dalle frequenze assegnate all'Italia dagli accordi internazionali per i servizi di radiodiffusione".
Quest'ultima sentenza ha, dunque, riconosciuto il diritto di iniziativa privata per l'installazione e l'esercizio di impianti per le trasmissioni via etere di programmi radiofonici e televisivi su scala locale. Nel riconoscere un tale diritto, questa Corte, ha però affermato anche "la necessità dell'intervento del legislatore nazionale perché stabilisca l'organo dell'amministrazione centrale dello Stato competente a provvedere all'assegnazione delle frequenze ed all'effettuazione dei conseguenti controlli e fissi le condizioni che consentano l'autorizzazione all'esercizio di tale diritto in modo che questo si armonizzi e non contrasti con il preminente interesse generale (di cui sopra) e si svolga sempre nel rigoroso rispetto dei doveri ed obblighi anche internazionali, conformi a Costituzione".
Tale esplicito invito al legislatore, perché intervenisse nella materia de qua, adeguandosi ad una serie di indicazioni specifiche (intervento presupposto anche nel dispositivo della sentenza) é rimasto, però, sin qui inascoltato.
Riassumendo e parafrasando quanto esattamente rilevato dal pretore di Torino (r.o. n. 86/1980) il d.P.R. n. 156 del 1973 e la legge n. 103 del 1975 regolano la materia delle trasmissioni radiofoniche e televisive in regime o di monopolio o di concessione o di autorizzazione, mentre per quanto riguarda i servizi radioelettrici di telecomunicazioni vige il principio del "regime vincolato". Per le trasmissioni via etere a mezzo di ricetrasmittenti (anche quando si tratti di apparecchi di debole potenza installati in ausilio a servizi di imprese industriali, commerciali, artigiane ed agrarie (art. 334 n. 2 del T. U.) occorre cioé la concessione governativa (art. 322 del T. U.).
Dalla normativa qui considerata emerge, dunque, una regola generale, in forza della quale l'installazione, lo stabilimento e l'esercizio di impianti di telecomunicazioni sono subordinati al previo ottenimento dell'autorizzazione o della concessione governativa, mentre la trasmissione via etere su scala locale, esercitata dai privati, per effetto della citata sent. n. 202 del 1976, é assolutamente libera nel senso che si svolge, "in regime di totale carenza legislativa".
Si é determinata in tal modo la situazione indubbiamente anomala e squilibrata, dalla quale prendono le mosse la maggior parte dei giudici rimettenti.
4. - Comune alle dodici ordinanze, qui considerate é la questione di legittimità costituzionale dell'art. 195 del d.P.R n. 156 del 1973, nel testo sostituito dall'art. 45 della legge n. 103 del 1975.
Al proposito occorre rilevare che, pure quando nelle denunzie dei giudici a quibus vengono formalmente coinvolti anche altri disposti del T. U. del 1973, (con le modificazioni introdotte nel 1975) ed in particolare gli artt. 183 e 334, primo comma n. 2, il dubbio di costituzionalità riguarda sempre ed esclusivamente il trattamento sanzionatorio dettato dal legislatore per le ipotesi contravvenzionali di cui al predetto art. 195, senza porre in discussione i relativi precetti. Ciò è vero, non solo e, ovviamente, per l'ordinanza del pretore di Firenze (r.o. n. 262 del 1978) che censura il solo art. 195 del d.P.R. 156 del 1973, nel testo modificato, ma anche per le restanti ordinanze.
Così il pretore di Torino (ord. n. 76 del 1980) denunzia "gli artt. 183, 195, 334, primo comma n. 2 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103" ma soltanto "nella parte in cui prevedono la pena dell'ammenda e dell'arresto per chi esercita senza concessione un impianto radioelettrico ricetrasmittente di debole potenza di tipo portatile in ausilio a servizi di impresa industriale e non prescrivono alcuna pena per chi esercita privatamente senza concessione o autorizzazione, trasmissioni radiotelevisive via etere in ambito locale".
Il pretore di Modena, a sua volta, (ord. n. 838 del 1980) dubita della legittimità costituzionale degli artt. 183, 195, 334 d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975 n. 103, nella parte in cui prevedono la pena dell'ammenda e dell'arresto per chi esercita senza concessione un impianto radio- elettrico di debole potenza in ausilio delle attività professionali sanitarie, e non prevedono alcuna pena per chi esercita senza concessione o autorizzazione trasmissioni radiotelevisive via etere, in ambito locale. In termini anche letteralmente identici la questione é posta dal pretore di Torino (reg. ord. n. 291 del 1981, in riferimento ad un impianto radioelettrico ricetrasmittente di tipo portatile), dal pretore di Susa (r.o. n. 512 e n. 698 del 1981, in riferimento ad un impianto radioelettrico di debole potenza in ausilio ad attività sportive), dal pretore di Saluzzo (r.o. n. 916 del 1982 in riferimento ad un impianto radioelettrico ricetrasmittente di debole potenza) e dal pretore di Terralba (r.o. n. 40 del 1983 in relazione ad un impianto radioelettrico ricetrasmittente di debole potenza in ausilio a servizi di imprese industriali e agrarie).
Sostanzialmente uguali, infine, sono le prospettazioni del pretore di Verona (r.o. n. 460 del 1982) e del pretore di Morbegno (r.o. n. 143 del 1983) che del resto fanno riferimento tra le altre alle succitate ordinanze del pretore di Susa e del pretore di Torino.
5. - La questione da decidere (salve le precisazioni seguenti in questo stesso paragrafo) é essenzialmente quella avente ad oggetto l'art. 195 del T. U. del 1973, nel testo novellato.
La norma così denunziata punisce (con la sola pena dell'ammenda se il fatto non si riferisce ad impianti radioelettrici; con la pena dell'arresto e dell'ammenda se il fatto si riferisce ad impianti radioelettrici o televisivi via cavo) "chiunque installa, stabilisce od esercita impianto di telecomunicazione senza aver prima ottenuto la relativa concessione o l'autorizzazione" (di cui al secondo comma dell'art. 184 stesso T. U. e richiesta anche per gli impianti ripetitori via etere di programmi sonori e televisivi esteri o nazionali).
Il dubbio di costituzionalità nasce dal confronto che i giudici a quibus istituiscono tra la situazione qui sopra descritta e quella di chi "senza concessione o autorizzazione" "esercita privatamente" "trasmissioni radiotelevisive via etere in ambito locale".
Così posta, la questione é chiaramente infondata. Ciò non tanto in base al rilievo che potrebbe essere giudicato formale per cui la fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 195 in esame presuppone l'obbligo del preventivo ottenimento della concessione o della licenza per l'esercizio delle attività ivi considerate, mentre un tale obbligo allo stato non sussiste nelle situazioni poste a confronto, per le quali quindi é del tutto gratuito parlare di esercizio senza concessione o autorizzazione. L'infondatezza della questione nasce dal più sostanziale rilievo che il principio di uguaglianza viene invocato dai giudici a quibus in senso inverso a quello naturale, assumendo la situazione anomala (e, ci si augura, temporanea) determinata dall'inerzia del legislatore dopo la sentenza n. 202 del 1976 di questa Corte come metro di legittimità della regola generale, di cui alla normativa denunziata, che vuole l'installazione e l'esercizio degli impianti di telecomunicazioni subordinati alla concessione o all'autorizzazione governativa.
Ciò tanto più quando, proprio con la sentenza n. 202 del 1976 la Corte, lungi dal prospettare una deroga alla predetta regola generale per l'installazione e l'esercizio di impianti per le trasmissioni radiotelevisive via etere in ambito locale da parte dei privati, ha, per quanto di sua competenza, riaffermato l'esigenza di una "previa autorizzazione statale".
Vero é, del resto, che con la normativa della quale si discute, il legislatore ha perseguito il fine, più che legittimo, doveroso per lo Stato democratico, di garantire la funzionalità di servizi essenziali per la vita del Paese, di impedire il disordine e la sopraffazione nel campo considerato e di assicurare le condizioni per il rispetto del principio di uguaglianza.
La questione, dunque, sollevata dai giudici a quibus nei termini sopra puntualizzati, deve dichiararsi infondata, in coerenza con gli orientamenti ripetutamente espressi da questa Corte (cfr. sentt. nn. 42 del 1977; 71 del 1979; 162 del 1981; 168 del 1982 e 71 del 1983).
Per concludere sul punto, é bene aggiungere che le argomentazioni sin qui svolte e la conclusione raggiunta non cambierebbero quand'anche si dovesse ritenere che i giudici a quibus (con l'eccezione del pretore di Firenze) abbiano inteso coinvolgere negli incidenti di costituzionalità non le sole disposizioni sanzionatorie, ma l'intera, sebbene "incompleta" fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 195 del T.U. del 1973, nel testo novellato, integrandone il precetto con i disposti di altri articoli del T. U. medesimo.
Ciò perché, anche in siffatta ipotesi non muterebbero i termini e la caratteristica del confronto istituito dai giudici medesimi per dedurne la violazione del principio di eguaglianza.
6. - Il pretore di Torino (r.o. nn. 76/80 e 291/81) il pretore di Modena (r.o. n. 838/80) e il pretore di Terralba (r.o. n. 40/83) denunziano la disposizione di legge sopra esaminata anche in riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost.
Secondo i giudici a quibus, "colui che si vede condannato per un fatto meno grave di quello commesso da altri (di uguale natura, ma di maggiore rilevanza) che rimane impunito perché considerato lecito dal legislatore, sente una ingiustizia di fondo che toglie alla pena ogni possibilità di emendarlo" (ord. 76/80 del pretore di Torino, cui sono sostanzialmente conformi le motivazioni delle altre tre ordinanze in esame).
Ancora una volta, presupposto della censura é la comparazione delle due situazioni delle quali si é sin qui discorso.
La questione così proposta é però inammissibile perché l'invocato art. 27, terzo comma, Cost. "si riferisce propriamente alla esecuzione della pena in senso stretto" (sent. n. 167/73; cfr. anche sent. n. 104 del 1982), mentre sfugge al controllo di legittimità l'indagine sulla efficacia rieducativa della pena edittale, la cui determinazione é rimessa alla valutazione discrezionale del legislatore (cfr. sent. n. 22 del 1971 e n. 107 del 1980).
7. - Il Pretore di Bologna (r.o. n. 33/1983) dubita anche egli della legittimità costituzionale dell'art. 195 del T. U. del 1973, nel testo novellato, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost.. Diversamente da quanto dedotto nelle ordinanze più sopra esaminate (nn. 4 e 5) il giudice a quo lamenta la disparità di trattamento, a suo avviso ingiustificato, tra la situazione di chi installa ed esercita senza autorizzazione - quando l'autorizzazione non sia concedibile a causa delle caratteristiche dell'impianto - un apparecchio radioelettrico ricetrasmittente di tipo portatile, che per questo fatto é punito con pena pecuniaria e detentiva, da un lato, e la situazione di chi produce, importa, commercia e detiene gli stessi apparecchi ed é per questo soggetto a sanzione amministrativa, dall'altro.
Come giustamente eccepisce l'Avvocatura dello Stato, anche questa questione é inammissibile.
Invero, il fatto della produzione, dell'importazione, del commercio e della detenzione degli apparecchi in esame "non utilizzabili per le caratteristiche relative alla frequenza" (come rileva il giudice a quo) era punito con l'ammenda, à sensi dell'art. 402, in relazione all'art. 399 del T. U. del 1973. La fattispecie contravvenzionale é stata depenalizzata con la legge 24 dicembre 1975 n. 706, modificata ed integrata con la legge 22 maggio 1980 n. 209.
Le due situazioni a confronto derivano, quindi, da scelte discrezionali del legislatore al quale soltanto spetta di configurare le ipotesi di reato, determinando la pena per ciascuna di esse, e di depenalizzare fatti dianzi configurati come reato.
Scelte di politica criminale quali quelle in questione non sono sindacabili da questa Corte, quando rispondono a valutazioni non eccedenti i limiti della ragionevolezza, che non sono certamente stati superati nelle ipotesi considerate.
La questione sollevata dal pretore di Bologna deve pertanto dichiararsi inammissibile.
8. - Il pretore di Putignano (r.o. 347 del 1980) solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 183 e 195 del T. U. del 1973, nel testo novellato, in riferimento, oltre che all'art. 3, primo comma, nei termini più sopra riferiti, anche agli artt. 21 e 10 Cost.
La questione viene sollevata dal giudice a quo, a seguito della richiesta di perquisizione domiciliare avanzata dalla Direzione compartimentale PP.TT. di Bari nei confronti di un soggetto indicato quale responsabile del reato di cui ai citati artt. 1, 183 e 195 del T. U. del 1973, "per aver usato un impianto ricetrasmittente di debole potenza senza la prescritta concessione" governativa: richiesta che, come risulta dagli atti, traeva origine da una denuncia anonima relativa a molestie che sarebbero state commesse con l'utilizzazione di tale impianto.
L'incidente di costituzionalità é stato proposto dal pretore di Putignano sulla base soltanto della citata richiesta della Direzione compartimentale PP.TT. di Bari, prima ancora di aver inviato all'indiziato comunicazione giudiziaria per una specifica ipotesi di reato e prima di aver compiuto una qualsiasi, sia pure sommaria, indagine.
Può allora dubitarsi che la questione sia stata sollevata nel corso di un giudizio, come esige l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, ma anche a negare fondatezza ad un tale dubbio, si deve riconoscere che la questione medesima é irrilevante.
Invero, dal "sistema normativo risultante dall'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e dall'art. 23 della legge n. 87 del 1953 si deduce che la pregiudizialità necessaria della questione di costituzionalità rispetto alla decisione del giudizio a quo va intesa considerando tale decisione come conclusiva di un itinerario logico, ciascuno dei cui passaggi necessari può dar luogo ad un incidente di costituzionalità, ogniqualvolta il giudice dubita della legittimità costituzionale delle disposizioni normative che, in quel momento, é chiamato ad applicare per la prosecuzione e/o la definizione del giudizio" (sent. n. 53 del 1982).
L'osservanza dei riferiti criteri porta a ritenere che la semplice denunzia di un fatto di reato, rende meramente eventuale, soltanto possibile, l'applicazione della norma incriminatrice, i cui indispensabili presupposti devono ancora essere verificati.
L'incidente di costituzionalità é stato, dunque, proposto intempestivamente dal giudice a quo che, in quel momento, non era chiamato ad applicare la norma denunziata bensì a compiere atti di istruzione probatoria, in applicazione di norme del codice processuale penale. Ne consegue che le questioni proposte dal pretore di Putignano vanno dichiarate inammissibili.
9. - Per finire, il pretore di Torino (r.o. n. 291 del 1981) solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 184 e 195 del T. U. del 1973, nel testo novellato, oltre che in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma (del che ci si é occupati sub 5 e sub 6), anche in riferimento all'art. 21 Cost.
Peraltro la denunzia, formulata nei termini sopra descritti sub 4, investe, per come si é detto, la norma sanzionatoria e non anche la norma precettiva.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

- dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 2 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, i primi due nel testo sostituito con l'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 sollevate in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. dal tribunale di Livorno (ord. n. 358 del 1981) e dal pretore di Reggio Emilia (ordd. nn. 704 e 705 del 1981);
- dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale - tutte proposte in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. -: a) degli artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 2 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 - i primi due nel testo sostituito con l'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 - sollevate dai pretori di Torino (ord. n. 74 del 1980), di Modena (ord. n. 838 del 1980), di Susa (ord. n. 698 del 1981), di Verona (ord. n. 460 del 1982), di Saluzzo (ord. n. 916 del 1982), di Terralba (ord. n. 40 del 1983) e di Morbegno (ord. n. 143 del 1983); b) dei medesimi artt. 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, nel testo sostituito con il citato art. 45 legge n. 103/75, sollevata dal pretore di Susa (ord. n. 512 del 1981); c) del medesimo art. 195, nel testo come sopra sostituito, nonché dell'art. 184 del citato d.P.R. n. 156 del 1973, sollevata dal pretore di Torino (ord. n. 291 del 1981); d) dell'art. 195 del medesimo d.P.R., nel testo sostituito, sollevata dal pretore di Firenze (ord. n. 262 del 1978);
- dichiara l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale - tutte proposte in riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost. -: a) degli artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 2 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, i primi due nel testo sostituito con il citato art. 45 legge n. 103 del 1975, sollevate dai pretori di Torino (ord. n. 76 del 1980), di Modena (ord. n. 838 del 1980) e di Terralba (ord. n. 40 del 1983); b) del medesimo art. 195, nel testo sostituito, nonché dell'art. 184 dello stesso d.P.R. n. 156 del 1973 sollevata dal pretore di Torino (ord. n. 291 del 1981);
- dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, nel testo sostituito con l'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103, sollevata in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. dal pretore di Bologna (ord. n. 33 del 1983);
- dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, tutti nel testo sostituito con l'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, 10 e 21 Cost. dal pretore di Putignano (ord. n. 347 del 1980);
- dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 184 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 - il secondo nel testo sostituito con l'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 - sollevata in riferimento all'art. 21 Cost. dal pretore di Torino (ord. n. 291 del 1981).


Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1984.
ANTONINO DE STEFANO, PRESIDENTE
ALBERTO MALAGUGINI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 30 luglio 1984.

 (da Consultaonline http://www.giurcost.org/

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